Digitized by the Internet Archive in 2010 with funding from University of Toronto http://www.archive.org/details/operemach01mach OPERE D 1 NICCOLO MACHIAVELLI CITTADINO E SEGRETARIO FIORENTINO. VOLUME PRniO . MILANO Dalla Socieià Tipografica be' Classici Italiani , contrada di S. Margherita, N.°ni8. ANNO 1804. hi GLI EDITORI LORO ASSOCIATI. Ne ella Prefazione al Guicciardini noi ahhinnìo hrevemente dimostrato che ottimi irisegnainenti trar possono daìP Istoria i Reggitori de' popoli non meno che i grandi Condottieri degli eserciti . Questi insegna- menti però ancor più faci fi , dilettevoli e fruttuosi esser sogliono , allorché con niti- dezza di stile , con ingenua eloquenza e con fdosofica perspicacia presentati vengano da un Genio sublime , che saputo abbia penetrare sin al cuore , per così dire , del- l' Istoria stessa , scoprire l più segreti mo- tivi delle rivoluzioni , calcolarne le circo- stanze , dalle vicende de passati secoli predir quelle de' futuri , e finalmente bi- lanciando il lutto colla natura dello spirito umano , e colla propria esperienza nata e cresciuta nel vortice de' pubblici e pericolosi affari , formar quasi una scuola od una scienza , che amnuiestri ad un tempo i se- guaci di Marte ^ e i sommi Magisti^ati . Tan- to fece appunto JSiccolò Machiavelli , che IV frammezzo anche all' urto eli prepotenti pregiiidizj , ed all' orrore di civili discordie ardì spargere il primo vivissima luce sulla Politica , e sulla Tattica ; e le opere del tjuale corsero gran tempo per le mani di lutti lette, approvale, e scampate in più Juoglii , e persino in Roma dedicate al Papa, senzacliè alcuno pensasse, non che osasse, di dirne male . Quest' opere vengono ora da 7ìoi ristampate colla presente edizione , la quale y osiam dirlo francamente , sarà e la vili compiuta ^ e la più corretta di quante fin ora fatte ne furono , I doveri però di una verace ed osse- quiosa gratitudine vogliono che da noi ven- ga qui renduto un ben giusto omaggio ai nomi di Daniele Felici Consigliere e Ministro degli Affari Interni della Repubblica Italia- na , e di Alessandro Tassoni Miiàstro della stessa Repubblica presso S. M. il Re di, Etniiia , amendiie » alteri spegli » DI bontà integra , e fidi lumi e ciliari . >> D' invitta cortesia egregi ^ e veri Italiani, che fra le gravi , e moltiplici incumbcnze del Magistrato sanno flar luogo alle cure gentili delle Scienze e dell'Arti Belle ; a promovere le quali essi pure contribuiscono col loro esempio e col loro favore . ^j4d essi pertanto 7ioi siamo debitori delle moltissime lettere eli Machia- V velli , che veiranno per- la pi ima volta puh^ hlicnt.c in qircst' edizinne , tiitte asseti inipor- lanti Si per lo stile , die pe" Ik materie diplomatiche , su cui s' aggirano , e delle quali a più opportuno luogo renderemo ra- gione . A questo maggior compimento delle opere di Machiavelli t altro pregio pur s' aggiunge in qìtest' edizione , quello cioè- di una diligente ed esatta correzione . Il testo delC edizione di Livorno colla da- ta di Filadelfia 1796 , che fu reso alla più perfetta lezione mercè la giudiziosa sollecitudine del chiarissimo Cai). Giovam- hattista Baldelli , e che meritamente pri- meggia fra i testi di tutte le altre edizioni di Machiavelli ^ fu da noi , per quanto ci fu possibile , specialmente seguito . Non ab- biamo tuttavolta ommesso di collazionarlo di continuo coir edizione fatta in Firenze nel 1782. , edizione , la quale , comechè macchiata di qualche dif't'o^ voleva non di meno consultarsi , perchè fu dei suoi edi* tori realmente riscontiala sopra i Mss. ori-» giuali . Nelle correzioni però abbiamo noi pure costantemente tenuto a riscontro V edi- zione della Testina , così detta per esservi sopra i frontespizj delle diverse opere il ritratto dell' autore a mezzo busto , die fu, fatta nel i55o , secondo V llaym ed altri ^ in Pioma^ ma a sentimento del Cav. Baldelli in Ginevra , e che meritò d' essere citata dai Compilatori del Vocabolario della Crusca» TI Fra i molti Elogi che scrìtti Jurono di Nic- colò , abbiamo scelto noi ancora quello ^el già lodato Cav. Baldelli, perchè scritto con taleiito filosofico , ed in cui non solo hanno luogo i fatti istorici relativi alla vita civile del Macliiavelli , ma con profondità di sa- pere vi sono analizzate le sue Opere , onde aver sott' cccliio , come in un quadro , il vero spirito di esse . Neil' ordine abbiamo pur variato da tutte le altre edizioni , ri- stampando per le prime quelle opere , che ci sembrarono più interessanti , e più atte a far ben tosto spiccare il carattere dello stesso Scrittore . Machiavelli insomma ap- pare in questa nostra edizione corredato di tutti qua' pregi , che degni sono di lui , e molti de' quali indarno si cercherebbero in tutte le antecedenti . Noi proviamo così una > dolce e ben giusta compiacenza nel vedere ■ non solo superati ornai tutti gli ostacoli , che da principio sembravano opporsi alla nostra impresa ; ma portata eziandio la serie stessa delle nostre edizioni oltre il quarantesimo quarto volume . Un coraggio xincora maggiore , ed una più assidua at- tività noi svilupperemo in avvenire . Vivete- Jelici . Giusti , Ferrario , e C.*' ELOGIO NICCOLO MACHIAVELLI SCRITTO DAL CAVALIERE OIO. BATTISTA BALDELLI Animadverto in quara periculosum iter processerìm, Val, Max. Lib. iii. Cap. vi. ELOGIO DI NICCOLÒ MACHIAVELLI r irenze , non meno che tante altre Repub- bliche , nelle sue intestine discordie vedesi macchiata dal vizio dell* ingratitudine verso que' sublimi ingegni clie con le opere , o con gli scritti , pace , libertà e vita per lei tal volta sacrificarono ; ma pure convinta dagli eventi felici delle loro imprese, o dei loro consigli , ella rendè alla memoria dì molti suoi concittadini eterni tribù ii o con r eloquenza , o con lo scalpello . Ma il Ma- chiavelli non vide , se non (ino ai dì nostri , alcun segno d' onorata riconosccnya . Era sino dal secolo xiv rinaia la bella letteratura , ed avea già V Alighieri creata l'Italiana poesia, ringtntilita poi da! Petrar- ca , ed il ncccnccio cc-ndolta aveva la prc^.i a quel grado d' eleganza , d' armouia , e dà X DI NICCOLO MACHIAVELLI. numero , di cui la dolcissima nostra favella sembrò capace. Molti ingegni, animati da Sovrani emoli d'Augusto, spianata avevan la via dell' umano sapere a quelli del secolo del Machiavelli ; e il Poggio , Iacopo d'An- gelo da Scarperia , Cristoforo Buondelmon- ti , Ciriaco Anconitano , e Giovanni Torelli , dai loro penosi e lunghi viaggi , di codici preziosi tornarono ricchi iu Italia . Così gloriose spedizioni , e conquiste , più care ai Sovrani d'allora di quelle dei Piegni , si facevano ad onore delle lettere , allorché fatta schiava la Grecia , nuovamente eccitò il sapere nel seno della sua docile ed inge- gnosa rivale : e se al dire d'Orazio Gì cecia capta , feriim vicborem coepit et aries Inbullb agresti Latio e preparò così l'aureo secolo d'Augusto; Costantinopoli soggiogata dagli Ottomanni rendè immortale il secolo di Leone ; e gli Argiropoli , i Gemisti , i Giorgi da Trebison- da furono i nostri Tirannioni , i Filoni , e i Cameadi . Recando essi a noi la. cognizione della greca favella , la traduzione , l' interpetra- zione, e la correzione dei greci Scrittori, aprirono all' Italia feconde sorgenti dell' at- tica scienza , che a larga mano sparsero i Poggi , i Grisolori , Enea Silvio , il Platina , il Biondo , il Filelf ) , il Poliziano , e tanti altri . E per eccitare viepiù negl' Italiani ingegni rcmulazione, comparvcJ'artc , poco ELOGIO XI men che divina, delia stampa, che assicura e rende eltrne le fatiche dei dotti . Men rozza era la Storia , la maestra della vita , lino dal secolo precedente, come si legge in Paolino di Piero , in Dino Com- pagni, ed in Giovanr?.! Villani, che possono chiamarsi i restauratori di quel genere di jiittura politica della società, che ci trasmet- te i principi , r ingrandimento , e la deca- denza delle Nazioni , e che dipingendoci il bene , ed il male e' islrnisce ugualmente . Anche il Dandolo in Venezia emulo del A illani , ed altri Istorici sparsi nel resto dell' Italia , parca che apparecchiassero al secolo XV una plausibile foggia di scrivere le gesta degli uomini e dei governi ; ma i Ranzani , i Palmieri , i Patrizi , i Cor] , i Beccadelli noti sono soltanto alle biblioteche fastose, ed agli esatti eruditi. Si ecccUui per altro da questi Enea Silvio , sollevalo dal solo ingegno alla Tiara, per l'elegante Istoria de' tempi suoi, e Bernardo Giusti- niani chiamato il padre della veneta istoria . Anche il Poggio , e Liouardo d'Arezzo scris- sero r Istoria della Fiorentina Pvcpubblica , di cui erano segretari ; ma sebbene accurati molto, ed eleganti, furono privi di quella filosofica enel'gia , e di quell' acutezza che indaga e distingue le cagioni ; che risale alla sorgente dei fatti per iseeglierne i più istruttivi , e formarne sugose e profonde le- zioni . Abbagliati inoltre da vana e puerile ambizione, parca che emular volessero i XII DI NICCOLO ?iACHIAVELLr . Livi , i Taciti ed i Sallusti , scrivendo in latino lingnaggio . Furono essi imitati- da tutti i letterati d' allora con perniciosa am- bizione ; ])crchè rilardò in parte i lieti pro- grcKsi , che far ]ìolera m quel secolo dì Leir ingegni fecondo l'Italiana prosa e poesia. In sì felice riimovellamento delle umane cognizioni , oltre la perfezione dell' Istoria , parca che mancasse all'Italia la gloria d'es- ser la creatrice della Politica , che , al dire di Plutarco, è l'arte dì reggere e governare un' estesa riunione d' uomini : arte , che costituisce la forza degli slati , che gli diri- ge nella loro condotta e nei loro principj 4 che gli mena alle guerre o alle paci , che gli solleva neir interne discordie e nelle pubbliche disavventure : arte conservatrice e perspicace , che legge nell' avvenire, e che animata dalla virtù , può ritrarre gli stati dal precipizio , nel quale tentano di som- mergergli r ignoranza , l' ambizione , e più ancora le viziose passioni degli scostumati membri , che gli compongono . Ecco dunque all' Italia il creatore della Politica , lo scrittore filosofo dell' Istoria , r i!orao grande , che rinascer fece il genio di coltivare la propria lingua ; che propose modelli di un robusto , preciso ed amenis- simo stile , 1' cmulp di Tacito , l' imitatore di Terenzio , il comentatore di Livio ; ed e])be Firenze la gloria di darlo all' Italia in Niccolò Machiavelli . ELOGIO xin ■Vfu^que egli (F illustre prosapia (i) il 3 di maggio del mille qiialtroccnto sessanta- nove . Si cercano indarno le notizie delia sua piima eia , e solo sappiamo , che Mar- cello Virgilio lo diresse negli studi (2); che se noli ci fossero i piimi suoi progressi nella letteraria carriera , potremmo forse ammi- rarlo , e proporlo come modello delle istitu- zioni dei giovani : se pui'e il nutritivo e abbondante alimento , che V uomo forte so- (0 La famiglia dei Machiavelli fu delle più cospicue della Fiorentina Repubblica . Erano i suoi antenati Si- guori di IMont^spertoli , e sino dal 12 83 cominciarono a distinguersi in Firenze . Questa famiglia ebbe dodici Gonfalonieri di giustizia , primaria dignità di quella Re- pubUica , e cinquanta Priori . 11 nostro Niccolò nacque da Bernardo di JS'iccoIò M;iclii;i velli morto nel i5oo,che fu giureconsulto e tesoriere della Marca , e da Bnrtolom- mea di Stefano Nelli , vedova di Niccolò Benizi , che sì distinse come singolare coltiviitrice delle lettere e della poesia , la quale Bartoloramea sposò Bernardo nel 1458, Niccolò loro figlio sposò Marietta Corsini, dalla quale ebbe cinque figliuoli , Bernardo , Lodovico , Pietro ca- valiere di jAIalta , Guido prete, e Baccia maritata a Gio- vanni de' Ricci , madre di quel Giuliano , che molte no- tizie ci ha lasciate relative al Machiavelli in un Priorista esistente nell' Archivio dei signori Ricci di Firenze , e pubblicato, par ciò che riguard;i il Machiavelli , da Iacopo Gaddi de Scriptorihus . Il ramo del Segretario terminò in Firenze in Ippolita Machiavelli maritata a Pier Francesco de' Ricci nel itìo8. L' altro ramo dei Machiavelli , agnato a quello del Segretario, terminò in Francesco Maria marchese di Quinto nel Vicentino, morto in Firenze nel 1726. L' arme loro era una croce azzurra in campo bianco con un chioda in ciascun angolo della croce . ( Alb. de' Mach, di Lorenzo Moriani presso il sig. Gaeta* no Cambiagi . Ammirato , Fam. nob. fior. ) (-.) (Pauli Jovii Elogia. Bas. i^^G pag. 104.) XIT DI NICCOLO MACHIAVELLI. stiene e invigorisce , non divenisse talvolta all' uomo di debole costituzione pernicioso e contrario . Nato in libera città , sì educò da se stesso per C|aegli studi , che poscia lo ren- derojio utile alla sua patria . GÌ' Italiani d' allora occupa van si nel ricercare i preziosi codi'-i , che il sapere dell' augusta antichità racchiudcA ano , couservati dall' ignoranza , come la scintilla cui nasconde la selce, fìa- chè la mano industre non la trae fuori per applicarla al comune vantaggio : ma il Ma- chiavelli fu il primo ad applicare all' utile degli uomini i solidi e profondi precetti , che gli antichi abbondantemeute sparsi ave- vano ne^rli scritti loro . Fu la Repubblica , cui egli apparteneva, il primo oggetto delle sue cure . Deplorando di vederla avvilita da leggi fiacche e iueffi- caci , turbata da sanguinose discordie, priva affatto di quegli eroi , che la sostengano e la solleviuo , spogliata di quelle passioni , che formano gii animi grandi , e di quelle virtù , che Atene e Roma illustrarono , e renderono gloriose ; non credè di soddisfare all' obbligo di buon cittadino , che con la patria contrasse in virtù de'natali , studiando soltanto i vizi de' tempi suoi, ed offerendole uno sterile sentimento di dolore e di com- passione ; ma acceso dall' entusiasmo del- l' amor della patria , sforzossi estirparne fin dalle radici i vizi con le opere , con gli scritti, coi consigli e con gli esempli . L'a^e- ELOGIO XT re imrtiaginato un sì .-iiblime disegno, l'ugua- glia ai SoJoni ed al Licuiglil ; imperocché tali imprese non si debbono giudicare dagli eventi; ma per rendere immortale l'uomo grande, basta l'aver esso immaginato sì grandioso concepimento , e indicala , agevo- lata, e battuta la via per giungere a quello scopo sublime . Conoscendo il Macbiavclli che la più salda base d' una Repubblica è la virtù , il buono esempio e V istmi/ione in chi dee governarla; quindi, allorché Firenze ebbe ricuperata la libertà , compose i Discorsi per istruzione dei più qualilìc-iti Fiorentini , su i quali balenava un l'agg.'o di speranza , che gli annunziava della ;)atria utili citta- dini e sostenitori . Gli riuniva negli Orti Oricellari (i) già divetfuii per opra sua nuovo Liceo della do^a Atene . In questi Discorsi con ordine Aicidissimo e con filo- (0 Furono celeb* questi Orti Oricellari in tutta 1 Italia : Bernardo Rii^ellai, grand' isterico e grun citta- dino, si servì di Lepi Battista Alberti primo restauratore della buona architctura per adornarne 1' abitazione , ed ivi raccolse prezios-" monumenti d' antichità . Ne abbellì ilia greca usiinza • giardini con vaghi boschetti , e con ameni ed ombrosi passeggi . <^uivi accoglieva , e trattava i forsstier' bramo>i a ammirarlo ; e quivi ristabili 1' ac- cademia Platonica decaduta affatto dopo la morte dì Lorenzo de' Melici suo stretto congiunto • I suoi figli emularono il pidre nel proteggere i dotti e le scienze , ma ancor più ù distinsero per la stretta amicizia che gli ani col Michiavelli . ( Rei'. Italie. Script. Fior. 1 770 pag. 771, Nardi, Stor. Fior. Lion. »582 pag. 177.) XTI DI NICCOLÒ MACHIAVELLI . sofica precisione espresse quanto imparò per Tina lunga pratica e continua lezione delle cose del mondo e degli uomini , e special- mente dei politici ravvolgimenti dei governi antichi e dei regni ; e se conobbe il peri- colo di calcar nuova strada , 1' amore del pubblico bene lo fece con petto forte sprez- zare i privali riguardi, e l'invidiosa calun- nia . Volle eccitare alla gloria i capitani e i cittadini datori delle leggi , mostrando il glorioso destino delle antiche Nazioni , dei Regni , e delle Repubbliche , paragonandole con quelle dei suoi tempi , e dipingendo le gesta degli er(H . Fece nella Politica ciò che nelle scienze frìiche e naturali dei filosoli suole operarsi ai dì nostri , consultando cioè la natura su i faJt.i ; sull' esame di questi appoggiò le spiegazioni, dal risultato delle quali nascono i sistemi . Fra tutti gì' Impeti , dei quali la storia ri Ila trasmessa la memoria , sembrò al Ma- chiavelli che l'esame def' ingrandimento di Roma fosse la più copiosa sorgente , ove attingere i suoi luminosi e nagnanimi esem- pi ; perchè Roma da deboli princ."j>j , e for- mata sin dalla cuna da ma? composta mol- titudine , a poco a poco ne §urse , quindi s' ingrandi , e il mondo tutto alle sue leggi ridusse. Conosceva che i corp'\ morali come i corpi fisici debbono il loro vigore all' ar- monioso complesso delle parli clie li compon- gono , ed alla robusta e salda t^npra delle lor membra ; laonde convenir non poteva DI NICCOLÒ MACHIAVELLI . XVII ile con Livio , ne con Plutarco , che l' in- grandimento di Roma dovuto fosse ali' in- costante fortuna ; ma con fìlosolico acuto sguardo ei vide Romei ingrandirsi , perchè regolata da migliori leggi , perchè più mi- litar disciplina e più religione avea degli altri po]ìoli ; e nelle storie di Tito Livio , che trasmessi ci hanno i bei tempi della Repubblica , ad una ad una cercò le ragioni di sì rapidi e portentosi progressi . Da quelle storie trasse il soggetto dei suoi Discorsi , ove cominciò ad esaminare i principj d' oi>ni governo . » Vide gli stali retti o dal princi- » pe , o dagli ottimati , o dalla moltitudine «; osservò come tali governi , buoni ])er sé medesimi , facilmente posson corrompersi , >> percliè il principato può divenire tiran- >> nide , gli ottimati diventare lo stato di >> pochi , e il popolar governo in licenzioso » convertirsi^; e rivolgendosi all'origine dello stalo sociale , mostra come questi governi vi si stabiliscano, vi degenerino , vi divengan viziosi , e quindi si spengano a vicenda , e come le società lungamente oscillerebbero in così fatte rivoluzioni , se spesso da tali convulsivi sforzi indebolite non soggiacessero sotto il ferro di un feroce vicino . Rigetta come facili a mutarsi i governi semplici , soggiimgendo die un ordinatore di Repub- })lica dee stabilirvi un governo misto parte- cipante dei tre , come Licurgo il fece a Spar- la , Romulo a Roma , e noii popolare or • Mach. Voi l. b ■"XVm ELOGIO dinarlo come Solone in Alene, che stabilita vide ai suoi dì la tirannide di Pisistrato . Mercè di tali esami e di tal-i principj jl Machiavelli , benché Y Europa di tal go- verno uiun modello avesse ai suoi tempi, fu il primo fra i moderui politici a riguar- dare un governo misto come il solo con- venevole ad un popolo corrotto , come il solo capace d' accordare quella dose di li- bertà compatibile con le umane passioni ; governo, che stabilì hi felicità d'una colta JNa/ione d' Eu''0])a , encomiato da tutti i savi e lion entusiasti politici, e che l'ha inalzala già da gran tempo a quella opulen- za e cultura, che la re:id')no oggetto d'am- mirazione e d'invidia. Tali vantaggi potrcbr bero però divenire s'.rgente della sua deca- denza , se uon conserverà quel sauto e pro- fondo rispetto alle sue leggi , rispetto , che il Machiavelli, a norma di Tacito, inculca per qualunque governo . Da questi generali principj s'incammina all' esame di quelle istituzioni , che grande e mirabile fecero la Romana Repubblica . Mostra come il coraggioso Romulo contribuì col guerriero valore a preparare la pace ne- cessaria a Numa per ordinare e civilizzare lo stato ; come il bellicoso Tulio , ed Anco ap]>rcz-7.atore egli pure della pace , le mili- lai'i viitù deli' uno sostennero , e conserva- rono le civili e religiose virtù dell'altro; come queste s'accrebbero col bencGco in- flusso di due ottimi Principi ; come l'orgo- DI NICCOLO MACHIAVELLI . xiX glio e la tiranaiile di Tarc|uÌQÌo stabilirono Snella libertà assodata poi dall' eroica virtù i Bruto ; come il Senato d' amico e soste- nitore del popolo ne divenne quasi il tiran- no ; dal che nacquero quei tumulti , che procurarono il tribunato alla plebe , che nel suo incominciamento era l' e^ida della sua libertà . Passa inoltre a mostrare come il sacrosanto rispetto per la religione e pel giuramento impedì i funesti effetti delle popolari discordie , e come luni^amente man- tennesi quell'equilibrio fra gli ordini dello «tato , che gli rendè perspicaci nel giudi- care , e acerrimi difensori dei diritti loro , senza che ciò escludesse l' obbedienza alle leggi , ed il rispetto pei magistrati . Utili e Scìggie sono le osservazioni eh' ri fa sui dì felici di Roma, ma piìi profonda istruzione ritrae* dalla storia di quella triou- fante Repubblica , allor quando esamina che i vizi che la corruppero , vendicarono le conquistate Nazioni : Gala, et lux uria incuhult, "victumque ulciscltur orbem , Mostra il Machiavelli come gradatamente si perderono quegli aurei , semplici , vigorosi costumi , e come dalla mollezza ne nacque il lusso , dal lusso la cupidigia di possede- re, e quella d'usurpare; passioni, onde in- sorsero gli od] e le divisioni ; quindi le guer- re intestine, le ingiustizie , le fraudi, l'am- bizione nei grandi , il privato vantaggio «oslituito al ben pubblico , all' amor della XX ELOGIO patria , al timor delle leggi , al rispetto per le cose divine . Effetti tutti , che spensero affatto ogni primiera virtù , e ridussero l'Impero a lacrimevole servitù. » Servitù ne- » cessaria , perchè ove è tanta la materia » corrotta , che le lettili non hastauo a fre- » narla , vi bisogna ordinare con quella » maggior forza qual è una mano regia , » che con la potenza assoluta ed eccessiva » ponga freao all'eccessiva ambizione e cor- » rottela dei potenti . « Dallo slato interno delhi Repubblica passa all' esame delle sue istituzioni guer- riere . Vede come i Romani con instanca- bile e severa disciplina gli altri popoli sog- giogarono ; come le conquiste furono utili ai Romani , troA'ando sempre nella guerra onde luitrire la guerra ; come con la tol- leranza , con la magnanimità , e con la giu- stizia si procacciarono nelle conquiste amici ed alleati , e non nascosti nemici o vili schiavi . Esamina poscia come il lusso di Roma ed i trionfi portarono nei generali e nelle armate la corruzione ; le quali arma- te , obliata la y)atria loro , la immolarono all'audacia e alla cupidigia dei capitani. Da questi esami ne deduce quei precelti utili a chi governa , opponendo le antiche ■virtù di Roma ai vizi d' Italia , e sugli ab- bagli e sulle sventure del più vasto Impero fonda le regole per guidare gli uomini . Non seguirò il Machiavelli in quel vasto codice dell' arte di governare ; osserverò sob DI Niccolo MACHIAVELLI. XXl Innto eli' egli iiìfiamma il lellore con «11 csem])li delle somme virtù ; eh' ei solo i'ru i moderni aggunglia C. Tacito per penetrare nel tortuoso labcrinto del cuore umano , ove cerca tutti i fili e tutte le molle delle passioni, e insegna come contenerle, dirigerle e soffocarle . Quindi non è agevole il giu- dicare se la posterità debba più a Tito Livio per la storia eh' ei ci trasmise , o per ì sa- pienti discorsi , che essa fc' nascere . Il Ma- chiavelli non cadde ne"li abbaiali del mae- gior numero dei hloson , che dopo di lui corsero la carriera politica , i quali fabbri- catori di fantastici sistemi , vogliono sotto- porre r umau genere alle loro vane specu- lazioni ; compiacendosi di effigiare gli uo- mini quali gli vorrebbero , non già quali sono : ma conoscendo il Machiavelli la no- stra natura, e le umane affezioni, contem])lò l'uomo qual è ,. e a lui propose le leggi e le istituzioni , che un vasto impero rende- rono grande e felice . Volendo proseguire però l' intera rifor- ma del sistema politico della sua Repubblica, conobbe quanto le buone leggi inutili sieao, se non vengono difese dall' esterne e dall' in- terne aggressioni . Sapeva inoltre quanto contribuisca alla quiete , e alla pubblica prosperità una bene ordinata milizia , e qua- le civile virtù necessaria sia in chi giura di morire per diffondere la patria , » giacché » vedeva che le buone milizie sole manlen- » goiio gli itali bene ordinati , e che tal XXII ELOGIO » volta i non ben ordinati per virtù loro » sostengono . « Quindi mirar non poteva con occliio tranqnillo quanto in Italia e nella patria corrotte fossero allora le militari discipline. I Pi'incipi Italiani erano accesi di sraisnrata rabbia d' invadere e d' usurpare e di ven- dicarsi, non 2;ià con mire vaste ed eroiche, ma col raggiro , con la simulazione e col- r insidia ; e pass^ando nelle lascivie e nel- r ozio i giorni loro , sdegnavano affatto il mestiere dell' armi , e lo affidavano a mer- cenarie schiere , e ai condottieri . Erano i condottieri d'ordinario persone d'oscuri na- tali , che corsa avevano la carriera dell' ar- mi , i quali assoldando le più scostumate e dissolute genti d' Italia , vendevano queste mal composte ed inesperte milizie a clii in- traprendea la guerra. Combattevano queste senza amore per la gloria , senza interesse o affezione per chi le assoldava ; talché ve- devasi il più delle volte deciso il destino degli stati , e delle provincie dalla sola ma- lizia o dal raggiro , senza che il valor mi- litare spargesse goccia di sangue trai com- battenti . Ridotti i condottieri dalla pace all' indigenza , ricorrevano, per sussistere, ai saccheggi , alle rapine , tradivano le città ed i regni , e molti tra loro per questo ob- brobrioso sentiero acquistavano potenza e stati a spese di chi gli avea nndriti , e a suo danno esercitati nell' armi . Verso la fine del xv secolo era più gravemente af- DI NICCOLO MACHIAVELLI. XXIU ftitla da tai llai^elli riui]ia,clie olire all' in- terne piaghe soffriva i danni cUe le arre- cavano le armale slranieie. Scrisse dunque il Machiavelli i sette libri della Guerra por rendere all' Italia r antico splendore guerriero , per riaccen- dere r onor militare, e farle proscrivere quelle mercenarie milizie , cagione di de- bolezza e d'aftlizione . Ammiratore al solito dei conquistatori del mondo , trasse da quelli i veri precelti di questa utile disciplina . Senofonte, Polibio, Tito Livio e Vegezio furono i maestri suoi , e primo frai moder- ni determinò come aver si potea un' armala , che dannosa non fosse alla libertà d' uno stato . A tale oggetto propone , che la di- fesa della patria venga appoggiata ai citta- dini , consigliando che non facciasi dell' ar- mata un corpo staccato dalla società cui difende; altrimenti i difensori d^i cittadini divengono odiosi ai cittadini medesimi , e quindi spinti da altri interessi si vendono al capo ambizioso, che corrompere, o com- prare gli seppe . 1 Pretoiiani stabiliti per incatenare la tumultuante plebe Romana , e che d' anì)0£r»i del trono ne divennero i distruttori , quando scuopruono / arcano dell' iìnp ero ^ lo confermarono in tale opinio- ne ; e perciò ]n'opone milizie civiche, o vo- lontari cittadini , i quali, die' egli, avranno il sentimento d'onore, ed ameranno la patria senza nuocerle , peichè offendendo la i)a!ria , offenderebbero stì slessi : ed iu XXIV ELOGIO tal guisa Roma libera visse quattrocento aiì- bì , Sparla ottoceulo . Vide inoltre , die le armate permanenti sono perniciose agli sta- ti , perchè non si può sempre far guerra , ne posson quelle pagarsi senza rovinose imposizioni , che ahenano i sudditi , ne li- cenziarsi senza cimenlare il più delle volte la pubblica tranquillità . L' invenzione della polvere , e delle ar- tiglierie parca che ai tempi del Machia- velli avesse cambiate affatto le militavi or- dinanze , e che combatter facesse ad anni uguali la debolezza e la forza. Quindi l'eroe era condannato ad essere spento dal vile ; ed alla fisica forza d'impulsione nella bat- taglia si sostituì r impavido valor morale , che aspetta al suo posto le ferite, e la mor- te . Ma se tale invenzione cambiò in parte gli esercizj , le difese , 1' evoluzioni , gli at- tacchi , e le fortificazioni delle piazze , il Machiavelli mostrò all' Italia sbigottita da tali armi portate nel suo seno da Carlo viir come resistervi coli' antica guerriera virtù , e come adattare la Romana tallit-a ai mo- derni tempi . Egli insegnò pure alla sua nazione come coprirsi da quelle nuove fol- gori artifiziali , come vincere con quelle, e come adoperare tali spaventevoli istrumenti di distruzione. Volle correggere da un altro abuso r inesperta Italia , che ponca la sua salvezza contro eli aimressori nemici su sH uomini d arme a cavallo , dimostrando che il nervo delle armate sono le fanterie , la DI NICCOLO MACHIAVELLI. XXV cui bontà dipende J;»gli Ci^errl/j mllilarì che le rcmlono nUc ni dlsai^l , dall' ammaestrarle nel maneggio dell' armi ]>er rispingere e spegnere ì' inimico , e dall' accostumarle a mantenere V oidine e la norma nel cam- minare, nel combattere e nclT alloggiare . Ninna parte egli trascura delle militari isti- tuzioni , e ricavare ne possono le più im- ]>ortanli lezioni i capitani e i soldati , mo- strando ai primi ([uanto utili sieno le con- cioni agli eserciti , percliè , die' egli » il >> parlare leva il timore , accende gli animi, » cresce l' ostinazione , scuopre gì' inganni , » promette premi , mostra i pericoli , e la » via di fuggirli ; riprende, priega , minac- » eia , riemjìie di speranza , loda , vitupe- » ra , e fa tutte quelle cose , per le quvili » le umane passioni si spengono o si ac- » ccndono . « Tali furono i precelti , clie scrisse a "vantaggio della misera Italia , fatta già vi- tuperio del mondo nella militare disciplina, com'egli dice ; né a colpa di lui potrà giam- mai attribuirsi , se ella non rivide i suoi Scipioni , i suoi (iammilli e i suoi Metelli , giacché in lutti i tempi cld vorrà aspirare ad imitarli v. seguirli nel eammin delibi glo- ria , troverà nei militari precetti del Ma- chiavelli la vera guidti, che condur possa gli eroi (i) . (0 11 conte Algaroiti, nelle $ue lettere sopra la scienza XXVI ELOGIO E per additare ai pusillanimi e molli Principi dei suoi tempi, che praticabile era la militar disciplina, di cui egli addila i ca7ioni e la nonna , propone coli' aureo stile di Giulio Cesare il modello d'un gran ca- pitano . Ed ecco i falli e le gesta di Ca- struccio . Mostra come esso da oscuri natali ascese al grado d' eroe ; come si sviUipparo- Tio in lui i eermi delle virtù colla lettura d antichi esempli ; come acquisto vigore nei masclij esercizj , e fama col suo valore: co- me superò gli ostacoli con la costanza ; co- me adorare dalle armate si lece, guidandole alla battaglia , dividendo con quelle i disagj , i pericoli, la prospera e l'avversa fortuna; come tante viriù l' avrebber portato a si- gnoreggiare suir iuteia Toscana , se T invida sorte spento non avesse 1' eroe nelF allo di raccogliere la ])alma dei suoi militari trionfi; » eroe, com'egli dice, che se avesse avuto » per patria la Macedonia o Roma , avrebbe » senza dubbio superati e gli Scipioui , e i » Fi]ippi . » L'umana debolezza, strettamente colle- gata con la smoderata e vantaggiosa idea di noi stessi , creder ci fa lontani dai mali che afilisscro gli altri; quindi è che T esperien- za e le disgrazie degli altri popoli nulla curiamo , precipitandoci ciecamente nelle militare del Segretario Fiorcotino, ha meg^Iio d' ogal al- tro rile\ ati i meriti de suoi militari sistemi . DI NICCOLÒ MACHIAVELLI. XXV II slesse vo7'ai;ini , rlie inghiottirono gì' inesper- ti, e non rclUsslvi noslri antecessori. II ^Machiavelli , eonoscilore etesii uomi- ni , penetralo da tal verità , vedeva che inntilrnente faticalo avrebbe a rendeie mi- gliori i suoi concittadini , se non additiva loro quanto tali cambiamenti erano neces- sari . Fnitlo di tali benefiche cure furono l'Istorie sue Fiorentine, ove con energici tratti espresse le sventure degli avi per ntile dei nipoti . Fii^lio di libera città, os- servata Tavea aftlitta da continui cambia- menti per lo passato , ed. anco ai tempi suoi vede vaia ora schiava , ora libera ; e stanca sempre della servitù , incapace di libertà , ora porgere il collo alle catene , ora frangerle con convulsivo e prolungato sforzo, e ritornare lìnalmentc a quei lacci, che la condannavano nuovamente ad un letargico assopimento . Segue nelle sue Storie Fiorentine il governo in quei volubili cambiamenti , e mostra come V orgoglio e la cupidigia dei grandi tolsero loro il governo , che nelle mani del popolo si ridusse ; come il popolo corrotto dalla sua elevazione asifiiunse ai VIZI piopri quei vizi slessi rimproverati ai grandi poc' anzi , del che sommamente irri- tata la plebe , tolse a rpiesto il governo . SoUo r Impero della | le])c si veggono mol- tiplicarsi le tirannie e i tiranni, accendersi le passioni, irritarsi le vendette, sorgere la brama ddlu rapina giustitìcata con la cai un- XXVIII ELOGIO nia , sosleiiula col ferro , e la giustizia sbi- gottita coprirsi di cupo velo, vedendosi ogno- ra invocata dal tradimento . Dipinge poscia come il disordine rianimò le fazioni e i tumulti , poderosi nemici di libertà , e come Firenze per tre interi secoli agitata in tu- multuose rivoluzioni , cresciuti i vizi suoi , e le riccliezze dei cittadini , si vendè ad una potente famiglia , die soggiogolla . Reca stìipore e spavento il vedere a quante sventure soggiacque Firenze per la sua sfrenata e mal intesa libidine di libertà , prima di ridursi alla dittatura dei Medici : quanto atroce quel tempo fu per le guerre , tumultuoso per le sedizioni, e quanto in pace crudele ; quanti ottimati furon sacritì- cati col {erro ; come lo slato afllilto fu sac- cbcggiato dagli esteri ; come la citlà fu arsa e rovinata dai cittadini ; come desolati fu- rono i templi , corrotte 1' ecclesiastiche ce- rimonie , e i costumi ; come il suolo patrio asperso del sangue dei figli ; l' Italia piena d' esilj ; come le riccliezze , la nobiltà , i nomi, e soprattutto le virtù isiesse prendevan sembianza di capitali delitti ; come furono premiati gli accusatori , corrotti i servi con- tro i signori , i parenti contro i parenti ; e come in fine quelli , cbe non avevano ne- mici , furono oppressi dagli amici . Oltre al merito d' istruire la sua patria coir esposizione delle sue proprie sventure, il Machiavelli ha ancor quello d' essere il vero padre della moderna Italiana istoria ; DI NICCOLO MACHIAVELLI. XXIX giacché per istoria non si devono considc- lare le cronache inette , superstiziose e ap- }»asslonale , o le storie iiiesalle senza critica e senza spirito lllosohco , tpiaU si scrissero lino al tempo del Machiavelli . Egli inoltre coiiohbe prima d'ogni altro , che tanto iu politica, quanto in medicina non posson cu- rarsi le malattie che attaccano un corpo morale , senza anatomizzare le interne parti che lo compongono . Sobrio ed elegante scrittore , profondo pensatore , acuto osservatore, prepara all' in- telligenza delle sue storie, dipingendo con rapido e lllosolico pennello lo spazio di no- ve secoli , e mostra come operaronsi quelle sovversioni , che reuduti ci hanno si difie- rejiti da quei Romani, da noi ammirati, ed imitali non mai . Scrisse col metodo degli antichi le gesta dei regni , e degli uomini , e diede vita novella , e robusta eloquenza ai datori di leggi , e ai condottieri degli eserciti con quelle concioni , che mettono in azione gì' illustri personaggi , di cui ragiona , fonti inesauste d'istruzione al leggitore. Quantunque descriva un tempo sterile dì virtù, pone in luminosa vista i pochi nostri antenati degni di l'ama , per additarne che la virtù germoglia ancora nei nostri petti , e che da noi dipende V emularli nel cani- min della gloria . Dedicò le Storie Fiorentine a Clemen- te VII, da cui ottenne tenue ricompensa, quantunque lo consigliasse il Ponledce d'oc- XXX ELOGIO caparsi in sì fatto lavoro (i). Non asconde però uè T estensione di potere, che acquistò la tiara sul temporale nei secoli d' ignoran- za , ne (pianto nociva fosse alla f|nlete d' Europa la smisurata ambizione dei Pon- tefici ; e si perdona in parte a Clemente i mali, die all' Italia arrecò, quando si vede capace d'ascoltare simili verità, e qnando permette il pubblicarle . Non si pnò in line rimproverare al Machiavelli quella sterile loquacità attribuita agi' Italiuni scri(tori , degni per altro di scusa, qualora si ritletta ai diffìcili tempi, nei quali scrissero ; tempi che allacciavano l'insegno, e ristringevano le umane contemplazioni ; onde non e ma- raviglia , se quasi vedcasi spenta l'energia e la facoltà del pensare . Le sventure della sua patria un' altra opera alla posterità procurarono di questo sommo niosofo . Rientrati i Medici in Fi- renze , gl'inquieti Fiorentini di mala voglia sopportarono quei cambiamenti operati dal- l'ambizione Medicea , per ridurre a servitù. la ]):ìlria ; ma frenali i malcontenti dalla du- .rezza dei tempi , nascosi odj covavano con- ci ) (Vedi Giovio loc. cit. ) tu fondo della dedicatoria delle Storie originali esistenti nella JNIediceo-Laurenziana (Plut. 44 Cod. 'ój ) si legge : Libro dflle Storie Fior cntin.e compo'sto per Niccolò Machiavelli , cittadino e segretario Fiorentino , il quale lui presentò in Roma alla Santità di Nostro Signore Papa Clemente ni l'anno di N. S, G, C, 1525. DI NICCOLÒ MACHIAVELLI. XXXI tro quella polente famii^lia . il Machiavelli per con^ervai^e quelle rcpiibbiicaue scintille, moslraiido alla ]KìL:;ia ({ual i^ioi^o le sovra- sìava , sotto S]>ecic di ta\oiiie col consiglio 1' iu£;randimeiito dei Medici , scrisse il libro del Priuci])e, nel qualq dini(;stra ciò che un Principe nuovo è necessitalo di faie per soslenerbi , come iacilenar debba 1 odio ^ che accende nei sotloposli ; e protestando ch'egli non parla né dei Principi libera- mente eletti , uè delle monarchie stabilite , prosegue , che chi a tal perigliijso p(»sto s'iiial/a, sperare non dee né l'amore, che forma 11 più dolce legame tr.ii sudditi ed il trono nelle stabilite monarchie, nò quell'ar- monia d'autorità e d'obbedienza, che la forza dello stato costituisce . Quiiuli egli dice essere l' usurpatore obbligato per sostenersi a calcar la strada della crudeltà , della simu- laziime e del rigore . Corrobora queste dure necessiti con gli esempi dei più crudeli usurpatori, e de' più empi tiranni dei tem- pi antichi e moderni . Protesta » che l' in- » tento suo si è di scrivere cosa uti!e a chi » r intende, sembrandogli più conveuiente » andar dietro alla vciità elfettuale Jella » cosa , che all' immaginazione di essa , e » scriver ciò che è , non ciò che dovrebbe » essere . Perchè molti si sono immaginati » Repubbliche e Principati , che non si so- » no mai visti , né conosciuti essere in vero ; » })er(!hé egli è tanto discosto da come si » vive a come si dovcria vivere, che colui !£:XXII ~ ELOGIO » che lasclei ciò che si fa , per quello che » si dovcria fare , prepara piuttosto la ro- » vi uà sua , che la sua preservazione « . Additava così ai suoi concittadini , che non si lusingassero di vedere i Medici come do- vevano essere , e che non narrava ciò che un Principe nuovo doveva fare , ma ciò che egli realmente faceva (i). (0 II doppio oggetto d'impedire 1' ijigrandimento Mediceo, e di ammaestrare su ciò che i Principi face- vano, e non su ciò che dovevano fare, nello scrivere il libro del Principe, mi pare che giustifichi pienamente il MachiavrtJIi dalle tante censure che eccitò contro di lui questo clamoroso Trattato . cìpero nella presente an- notazione mostrare appunto eh' egli aveva questo doppio scopo nello scriverlo . Uomini sommi cosi ne pensarono . liacons ( de Augm. scioutidc. Lib. vt cap. 2 ) dice : Et tjuod gratlas agimus Machiavello , et kiùusinodi sciptoribiis qui aperte et indissimalanter proferunt quid homines facere soleant ^ non quid deheaiit , » C est ce que Machiavfl a fait voir uvee évidencc . En. felgiiant de donner des legons aux Rais , il eii a donne aux ]>euples . ( Rou5s. Contr. Soc. Lib. in cap. G. ) Lo sesso pensò di lui Traiano Boccali- ni ( Rag. di Parnaso , Cent, r , Rag. 89 ) e molti altri . Ma non fidandosi all' altrui opinione, ecco quali ragioni possono determinare a pensare cosi : i. I discorsi sulle Deche filiti per 1" istruzione de' giovani Fiorcirtini respi- rano principj diametralmente opposti , e pienamente Re- pubblicani, n. Propose per modello da seguitarsi Cesare Borgia, uomo odiato da tutta l'Italia, principe usurpa- tjfe e tiranno, ch'egli disprezzava , cóme si può vedere lielle sue lettere scritte nel tempo della sua legazione a lloma del i 3o3. tu. Perchè se insegnava ai Principi nuovi come sostenersi nell' usurpazione e nella tirannia , scopri- va con quali mezzi vi si perveniva , e procurava ai po- poli facilità di frastornare gli ambiziosi disegni degli usurpatori . iv. Perchè la sua condotta fu sempre Repub- blicana ; in falli dopo che i Medici rientrarono in Firen- ze si vide compromesso nella congiura del Boscoli e dal DI NICCOLO MACIITATELLI. XXXIII Quello che evidentemente dimostra , che egli tendeva un laccio all' inalzanicnto Medi- Capponi nel (5i2. Nuovamente preso a sospetto nella congiura degli Orti Oricellari nel i522 dopo avere scritto il Principe , che condusse a termine nel lòiS. Finalmen- te , come ne avverte il Segni (Stor. Fior. Aug 1728, p. 28 ) fu tenuto capo dei libertini nel 1527 , vale a dire del partico il più popolare della città . v A queir epoca es- sendo stati cacciati i Medici , tentò di sopprimere il Principe non ancora pubblicato , ( Varchi , iitor. Fior. Colon. 1721, p. 85) lo che prova eh' e'riguardava quella sua opera come uno scritto adattato alla circostanza , non più necessario . Ma tutto ciò diviene certezza , se si considera quello che ne dice il card. Riginaldo Polo ( Apol. ad Carol. v. Cassar, super Lib. de Unitat. Eccles. Brixiae 1744 tom. i. pag lóa.) scrittore contrario al Ma- chiavelli, come vedrassi : At vero ^ quod ad Machiavellum. attinet , si verum sit , qiicd Fiorentine superiori hyeme , cum eo in itinere divertissem , cum de occasione scnbendi illuni libruin ( il Principe ) tiim de animi eius in eodem. proposito audivi, de hac caecitate et ignorantia (di creder m'ugno il regnar per timore che per amore ) alnfua ex parte excusari potest , ut Eum tum cxcusabant cives eius , cum ser- mone introducto de illius Ubro , hanc impiam ccEcitatem obiecis- sem : ad quod illi respondcrunt idem , quod dicebant ab ipso Machiavello cum idem illi aliqiiando opponeretur , fiUsse re- sponsum ; se non solum quidem iudicium suum in ilio libro fuisse secutum , sed illius. ad qucm scriberet quem cum s^iret ty- rannica natura fuisse , ea inseruit quae non potuerunt tali nata- rae non maxime arridere ; eadem tamen si exerceret , se idem, iudicare quod reliqui omnes , quicumque de Regis vel Priaci- f>is viri institutione scripserant , et experientia docet , breve eius imperium futunim • id quod maxime exoptabat , cum in- tuf odio flagraret illius Principcs , ad quem scriberet : neque aliud spectasse in eo libro , quam scribendo ad Tyrannum ea ijuae Tyranno plncent , eum sua sponte ruentem praecipUem si posset dare . Dalla prefazione delia citata Opera apparisce che Riginaldo Polo scrisse quest'apologia nel i53S, ed avendo avuto questo colloquio con alcuni conr-ittadiui del Segretario nell' inverno antecedente, ciò accadde sette anni dopo la morte del Machiavelli . vi. Quando iji Fi- renze comparve il libro del Principe fu riguardato corno Mac/i. t^ol. I. C XXXIV ELOGIO c€o , è l'aver consigliato ai Principi nuovi di servirsi delle armi dei cittadini , c|uasi suggerendo loro in tal guisa d' armare alla vendetta il braccio dei numerosi nemici dì un nuovo gio;^o . Quando parla però di tutti i generi di principati , non lascia di dare a chi gli governa lodevoli e salutari consigli , e meglio nasconde così la sua dub- bia saella . un' istruzione uuicamente fatta pei Principi nuovi, eh' era- no allora tutti usuipatori in Italia ; e per tali li riguar- dava il Machiavelli , come ag;evoImente rileverà chi attentamente legge il suo Principe . E Giuliano de' Ricci, che scrisse verso la fine del secolo xvi ( loc. cit. not. i), nel fare l' enumerazione delle opere del Machiavelli , soggiunse : Scrisse ancora vìi Trattato del modo , che de- vono tenere i Principi nuovi nello consolidarsi mgli Stati . VII. Fu sempre riguardato dagli scrittori contemporanei come amatore di libertà. Il Busini (Stor. Fior, ms, nella Magliabechiana ) dice di lui : Messer Pietro Camesecchi , che venne seco da Roma con. sua sorella , l' udì molte volle sospirare^ avendo inteso , come la città era libera . Credo si dolesse de' modi suoi , perchè in fatti amava la libertà , e con lodi straordinarissime la lodava^ ma si doleva d'aversi impaccialo con Papa Chiniente . Che se mi si domanda , perchè voleva rovinare quello, a cui dedicò il suo Prin- cipe, risponderò «^crvent'oml dell'espressione del Ma- chiavelli medesimo riportata da un suo contemporaneo : Sed iuvat commemorare quid ipse responderit se eo nomine arguentibus . Ideo enim impiis praeceptis a se imbuto s Prin~ cipes ajffinnavit ; ut qui tum Jtaliam tyrannice vexabant , sua institutione deteriores redditi , eo celerius scelerum. suorunt poenas penderent . Fare enim ut cum se penitus vitiis immer- sissent , stati in meritam Numinis iram experirenLur . ( Math. Tose, Peplus Ita'ise, I.utet. iSyS, p. 52.) Le parole del citato autore dimosìrano evidentemente esser vera la no- stra asserzione , combinando maravigliosamente con le parole del Polo nel passo da noi citato . Ma quelli che io hanno screditato , videro eh' era necessario diffamarne ì'iplenzione , per seguitarne le massime . DI NICCOLO MACHIAVELLI. XXXV Olii pure si scorge quanto a cuore il suo paese gli fosse , cousigliaudo come solo mezzo a uu Priucipe nuovo per acquistare somma gloria il cacciare i barbari dall'Ita- lia . Vedeva quest' antica feconda madre d'eroi al tutto cambiata ; rammemora vasi , che le dazioni , che dal Ti^^ri al Tamigi s' estendono , piegato avevano il collo sotto il valoroso braccio dei suoi guerrieri . Ar- recavagli amara doglia il vederla senza capo, senz' ordine , divisa , inerme , tremante ; quindi battuta , spogliata , lacera , corsa e vilipesa da quei barbari, che calali a sciami dalle montagne , vi cercavano quelle dolcez- ze , che r asprezza dei chmi e dei costumi avevano loro ricusate . Avendo lungamente con gli esteri praticato , non aveagh veduti superiori agi' Italiani né per virtù , uè per forza , ne per ingegno ; quindi persuader vo- leva , che dove erano gentili ingegni , cuori magnanimi , robuste genli , potevano aversi valorosi , e prudenti guerrieri , capaci di battere e superare i barbari , che 1' Italia inondavano ; perchè sapeva quanto animosi alla difesa ci renda il combattere pei patri lari , per le mogli , pei figli , e quanto in- vincibile sia chi le proprietà , le leggi , i templi difende . Ben conosceva esser l'Italia forte pel mare , e per 1' alpi , favorita dal cielo, perchè popolosa, ricca, ingegnosa fatta r avea ; quindi increscevagli , (;he di tali vantaggi precariamente godesse , e per molle non curauza fosse esposta alla cupi- XXXTI ELOGIO (ligia di chi invadere la voleva . Soggiunge quindi essere virtù grande nelle membra di essa , quando di capi ella non mancasse , e la rappresenta in atto di preorare il cielo , che qualche campione le mandi , che dalla crudeltà e dall' insolenza dei barbari la re- dima _, ben disposta a seguire il vessillo di quello . Grande , valoroso , magnanimo cittadi- no , ecco i consigli , che alla patria propo- ni ; la penetrante tua mente antivedeva le sciagìire , che a cagione di sua mollezza al- ritalia avverrebbero: e nel tuo libro gli scioli , i nascosti amici d' ogni sorte di ti- rannide, che smasch,erati aveà alla posteri- tà , trovarono quel yVeleso veleno , che tu svelasti a comune vantaggio : essi maligna- mente non curarono gli ai)tidoti , che pro- ponesti a ciascun passo di ogni tua opera per soffocarlo . Né infruttuosi furono i loro sforzi presso il comune degli uomini , che giudica senza pensare , che poco cura di rivendicare la verità , o di cercarla . Acer- rimo oppugnatore di ogni tirannide , i tuoi nemici t' incolparono d' essere divenuto il precettore dei tiranni ! E in qual paese ? ia quello che sopportati e nutriti avea nel suo seno gli Sforzi , i Cesari e gii Alessandri Borgia . Quali lezioni dar potevi a tai mo- stri che l'ipocrisia, la finzione, l'irreligio- ne , i tradimenti , gli assassinj , i veleni , ì pugnali con loro vantaggio impiegarono ? 1 tuoi detrattori a bella posta fìnsero di DI NICCOLO MACHIAVELM. ^XXVII scordarsi che tu annunciando alla patria la prigionia del Valentino, avevi detto che a poco a poco i peccati suoi lo avevano con- dotto alla penitenza . Essi a bella posta nou valutarono quel sublime, limato , eloquente discoi-so , ove tante meritale laudi dispensi ai fondatori delle Repubbliche e delle mo- narchie . Perchè non rimproverano ugual- mente al Profeta d' Iddio il discorso , in cui dipinse il diritto regio agi' incostanti Ebrei , che un Re domandavano , ove loro espres- se non il felice regno di David , ma 1' ob- brobbrioso , e tirannico degli Acabbi e dei Manassi ? Ecco quanto il Machia velH scrisse e immaginò per rendere alla patria lustro e virtù . Si ammiri adesso nella carriera d' uomo di slato e di privato , nella quale lo vedremo corroborare con gli esempj le sue dottrine; e se in quelle per modello propose le antiche istituzioni , vedrassi de- gno egli pure d'essere agli antichi uguaglia- to per la dottrina , per la fermezza , e pel carattere , sembrando che la sorte donato Jo avesse a Firenze nella sua decadenza , come donò Focione ad Atene , Cicerone a Roma negli spinosi tempi di quelle Repub- bliche , per provare agli uomini , che le passioni e i vizj sempre infruttuosi ci ren- dono quei beni eh' ella concede . Esaminiamo rapidamente la situazione, in cui erano Firenze e l'Italia, allorché fu chiamato ai pubblici affari . Verso la metà "KXXVm ELOGIO del XV secolo , Venezia , Roma , Milano , Napoli e Firenze erano i primarj siali dlla- lia . Tutti ugualmente animati dalla brama d' invadere , scambievolmente colle leghe si bilanciavano , coi trattati si contenevano, s'indebolivano con le guerre. L'Italia era allora ciò clic V Europa posteriormente di- venne , e si reggeva con quell' artificiosa politlra , clie ridusse ad arte l'ingannarsi a vicenda , arte agi' Italiani rimproverala , quando adottata fu dai detrattori d'Italia , Lo Sforza chiamò i Francesi in Italia , e gF Italiani sbigottiti dai progressi di Car- lo viii, gli opposero gli Aragonesi , facendo in tal guisa di quella bella regione una vastissima arena , lungamente insanguinata da questi potenti atleti ; tanto la debolezza privi di rillesslone ci rende . Così era l' Italia . Firenze però in quei tempi riassunse la libertà . Era stata la Re- pubblica lungamente retta dai Medici , che a tal grandezza inalzaronsi coi servigi ren- duti alla patria , con la protezione accor- data ai dotti ed alle arti , con le civili ed iificiose maniere , e specialmente con le mu- iiificenze verso quel popolo , nel die impiega- rono le ricchezze del loro esteso commercio . Le virtù di Cosimo e di Lorenzo piegarono maggiormente i cittadini alla dittatura dei Medici non gravosa , perchè spoutanea , Quando Carlo viii ]iassò in Italia, Piero la Repubblica reggeva coll'ereditala autoritìi del padre e dell'avo, ma non con uguale virtù; DI NICCOLÒ MACHIAVELLI. XXXlX anzi con modi altieri crasi alienalo T affetto dei cittadini . Collegatosi eoa gli Aragonesi contro i Francesi , allora amati dai Fioren- lÀni , miuacciato da Carlo per questa lega , seco parlamentò , ma lo fece con sì poco vai taggio , che fu obbligato d'abbandona i*e parte del dominio della Repubblica; diche sominamente irritali i cittadini, il cacciaro- no dilla patria con la famiglia . Fu riformalo lo stato dalla parte ne- mica dei ^Medici , che per cattivarsi la ple- be impiegò il famoso Savonarola , il quale con dubbia fama fu giudicato dai posteri ; tanto le virtù ed i vi/.j con doppio aspetto si vciicono nelle civili discordie. Costui vol- nr> ... le rendersi più rispettabile alla moltitudine^ prendendo sembianza di profeta; e nelT as- sunto carattere non risparmiò la stessa Ro- ma . Il Machiavelli scherzosamente disse di lui » che i profeti non armali capitavano » male, quindi consigliavali ad armarsi «; il qua! detto fu poi dall' evento verificato , giacche (r) reclamato dal Pontefice, e per- duta r aura della plebe , abbruciato fu da quel popolo , che adorato 1' avea . Accresciute le discordie civili nella Re- pubblica , i Pisani ne piofìtlarono per iscuo- tere il giogo dei Fiorentini , i fjuali , dopo varj tumulli , ridussero il governo nelle. fi) Lettera del Busini al Varchi del 14 febb. 1369 esistente nella BUgliabechidiia ( CI. xxv Ced. 48. ) XL ELOGIO mani del gran consiglio e del gonfaloniere perpetuo Soderini, cittadino onesto e officioso abbastanza , ma non abbastanza grande e robusto per reggere il timone degli affari in tempi sì burrascosi . Temendo i Fioren- tini il risentimento dei Medici , che ogni via tentavano per rientrare nella patria , più. strettamente alla Francia s' unirono ; quindi furono involti in tutti gli ambiziosi cLsegni del successore di Carlo viii. Le diftìcoltà dei tempi produssero al Fiorentini molte negoziazioni coi primari potentati dell'Euro- pa , nelle quali principalmente si servirono del Machiavelli , che larga fama erasi acqui- stata pei suoi talenti . Egli addestrossi agli affari come Cancelliere , ofizio importante della Repubblica , sotto Marcello Virgilio Segretario della medesima , ed insieme con lui poco dopo a sì eminente posto venne inalzato . Non seguirò il Segretario Fiorentino (i) nelle numerose legazioni , che sostenne pres- (i) Le Legazioni del Segretario furono le seguenti : Alla Contessa di Forlì nel ,j 439. Quattro volte in Francia , cioè nel i5oo, nel i5o3, nel i5io e nel i5ii. Al cam- po contro i Pisani nel 1 5oo e nel 1 5o8. AI Duca Valen- tino nel i5o2. Due volte a Roma nel i5o3 e nel i5o6. In Perugia nel i5cS. Due volte in Mantova nel i5o5 e nel 1609. Al Signore di Piombino nel i5o4. Tre volte a Siena. \ir Imperadore nt-l 1507. A Carpi a' Frati Minori nel i52i. In Venezia nel i525. Due volte a Francesco Guicciardini a cagione della lega nel i526. Oltre di ciò ebbe alcune commissioni in varie parti del dominio della Repubblica per creare e assoldare le milizie nel i5o5. DI Niccolo MACHIAVELLI. XH SO l'Imperatore, il Pontefice, il Re di Fran- cia ; e, i primarj potentati d'Italia. Le let- tere , che egli scrisse nel corso di quelle , sono un prezioso monumento per 1' istoria dei tempi suoi ; e , per quanto a lui si rim- proverino insidiosi e dubbi principi (i) , le nel iati e nel i5i2. nelle quali comniissioui militari, secondo ciò che riferisce il Caddi ( de Scriptoribus . Lugd. 1649 ) ?^* ^" ^^^ Magistrato che presiedeva alla guerra , accordata un' autorità quasi dittatoria su i capi- tani e sulle armate , Fu spedito al Concilio di Pisa nel i5m. Giuliano de' Ricci riporta , eh' egli occupò il posto di Segretario della Repubblica dal !494 al i5i2, anno, in cui ne fu spogliato da' Medici, come si è detto. (.) L'avversione, che ha per il Machiavelli il co- mune degli uomini , supponendolo empio , irreligioso , della più corrotta e perniciosa morale, trattiene , rispinge e spaventa dalla lettura delle sue opere . Per temperar», se sia possibile, tant' avversione contro l'autore e i suoi scritti, credo opportuno di riunire varj documenti, onde mostrare, anche ai più scrupolosi, quanto calunniose siano siffatte imputazioni. Il Varchi, ( Stor. l'ior. Col. 1711, p. 85) benché in ninna maniera favorevole a lui, dice; Era nondimeno il Machiavelli nel conversare piacevole , of" Jìcioso verso gli amici , amico degli uomini virtuosi. Teucri- de Anneo scrittore Tedesco del xvi secolo e lontano dai partiti , ove parla di lui : Sunt vero etiamnum superstites viri boni , graves et fide digni , qui cum eius nolitiam in. Italia familìariter habuerint , de eodem ingenue testimonium perhibere non verentur , quod fuerit nimirum vir stupendae eruditonis et prudentiae , qiiin vilae integerrimae morumque innocentia insigni et pielale summa . ( Icon. viror. ili. Boas- sardi par. ni, {>ag. 325 ) Giuliano de' Ricci ( loc. cit. ) e il Giovio dicono , che usc^ dall' impiego di Segretario poverissimo . Qual più beli' elogio di questo si può fare a chi cuoprì tanti importanti posti della Repubblica ? Ve- diamo adesso su quali fundiimenti si siano appoggiati gli scrittori, che lo hanno vituperato presso la posterità. <^iò non solo giustificherà il Machiavelli , ma dimostrerà ancora con qual leggerezza e con «juale isgiustizia sulle XLII ELOGIO sue lettere respirali tutte viu puro amore per la patria ed un iugenuo candore . Esse altrui Rsserzioni si giudichino gli uomini somrnj . II Gio- vio , che coir apparenza di encomiarlo , stampò contro di lui le più mordaci invettive , il Giovio penna venduta ai Medici , il Giovio bugiardo istorico , come lo prova Michele Bruto nella prefazione alle sue storie Fiorentine, oltre molte altre ingiurie, narra che mori scherzando; ed il Busini da noi citato conferma una tale asserzione . Ciò non vuol dire però empiamente . Ma pure il signor canonico Bandini ( Collect. Vet. Monument. Aretii in pra^f. ) pubblicò la seguente lettera trovata nell' archivio de' signori Nelli , scritta dal figlio Pietro al suo cugino Francesco Nelli , allora in Pisa , che smentisce affatto tal racconto del Giovio .• Carissimo Francesco tr Non posso fare di meno di piangere in doverci dire com' è morto il di 1% di questo mese Niccolò nostro padre di dolori ài ven.- tre cagionrti da un medicamento preso il di 20. Lasciassi confessare le sue peccata da frate Matteo , che gli ha tenuto compagaia fino a morte . Il padre nostro ci ha lasciato in somma povertà , come sapete . Quando farete ritorno quassà vi dirò molto a bocca . Ho fretta, e non vi dirò altro , salvo che a voi mi raccomando. 1627." Vostro parente Pietro Machiavelli . Il Bayle all' articolo Machiavelli ha riunito ciò che i diversi scrittori aveano detto per far passare il Machiavelli per un empio ; ed è uno di quelli , che più d' ogni altro ha sparsa e accreditata una tale opinione ; dico per esempio , che fu astretto dai Magistrati a ricevere i Sacramenti : cita Varillas f Anecdotes de Florence). Va- rillas nell'edizione dell' Aja di Arnould Liers ( 1687, pag. i65 ) dice il contrario. Soggiunge il 'Qayle : Alcuni dicono , che morì bestemmiando , e si appoggia sul Gesuita Teofilo Raynaudi ( de malis et bonis libris i658, p. 48) il quale è posteriore al IMachiavelli di più d'un secolo, e non cita nessuno . Racconta che il Machiavelli si van- tava d' avere avuta una visione , per la quale gli parve di vedere da una parte dei poveri contraffatti , mal co- perti , in iscar«:o numero , che gli fu detto essere gli eletti ; vide dall' altra numeroso stuolo di gravi perso- naggi , tra i quali Seneca , Tacito , Platone , che gli fa detto essere i dannati, onde egli preferì di andare eoa «juelli . Cita il Gesuita Binet ( òalut d'Origene, pa^. Sj^) ) DI NICCOLO MACHTATELM. XLIH fanno fede «kl maravii^lioscì di lai taleuto per esporre con lucida giustezza gli affari , e per appoggiarli con adattale ragioni al personaggio, con cui trattava . Penetralo il Segretario del sacro diritto delle genti , non. mai intorbidò la fjnìete interna dei paesi , che r accoglievano , e stimando i governi non per le popolose città, né per le ricche Provincie, ugualmente la sovranità rispettò nel Duca di Piombino e nella Contessa di Forli , di quello che la risj^ettasse nelF Im- peratore o nel Pontefice . Ma il giusto os- sequio per ogni fatta di governo , ma il rispetto per chi lo amministrava non lo ab- bassò ad una timida adulazione, o ad una servile compiacenza , imperocché con petto di libero cittadino rispln^eva le ingiurie e 1 motteggi , ed esigeva quegli stessi riguardi che praticava verso gli uomini , che vesti- vano il carattere degl' imperanti ; di che fece mostra allorché trattava gli affari della che non si sa donde tragga questo racconto ; e per dar- gli maggior colore vi aggiunge ia citazione dello Spi- zelio (Scrutinio Atheismi, pag. i32 ) il quale si riporta ad un certo Marchant , che si appoggia di nuovo sul- r autorità dello stesso Binef. R;icconta poco dopo il Bayle lo stesso sogno con piccola differenza , appoggiandosi snir Holtomano ( Frane. Hottomnn Epistolae 99 ) il qual-i si lagna , che si lascino stampare al Poma di Basilea le opere dfl Machiavelli , che . per quanto ne ha udito, contengono una tale empietà . Vcgga.si dunque su quali autorità s' appoggia il Bayle per iscreditarlo , citando o Gesuiti , membri di una società sua nemica , o scrittori che visserw più d' un secolo dopo di lui . XLIV ELOGIO Repubblica a Nantes col Cardinale di Roano, più noto sotto il nome di Cardinale d'Ara- boise,che, di politica seco lui ragionando, gli disse , che gì' Italiani non s' intendevano della guerra ; al die rispose con voce fran- ca ed intrepida , che i Francesi non s' inten- devano dello stato , perchè intendendosene non avrebbero lasciati venire in tanta gran- dezza il Pontefice e la Spagna in Italia; ed in fatti si avverò la sua profetica risposta , mentre, fatti potenti ambedue, cacciarono i Francesi da quel paese . Era la Repubblica giusta apprezzatrice del Machiavelli , ma non generosamente lo ricompensava dei suoi importanti servigi e delle faticose sue cure ; talché 1' obbligava talvolta a ricorrere agli scalasi fondi , che Ja fortuna sobriamente accordogli , e talora alla Signoria perchè quasi dall' indigenza lo ritraesse ; ciò non ostante spinto più dal- l'amor della patria , che dall' interesse , e non avvilito dalle anguste sue circostanze, sempre riassunse gli affari con uguale ardo- re . Alle osservazioni , eh' ei fece negl' in- trapresi viaggi per le sue legazioni , devonsi i ritratti delle cose di Francia e di Alema- gna , non favorevoli a quei popoli , scritti forse ad oggetto di correggere la patria da quella illusione e da quello omaggio , che alle cose d' ol tramonti fuor di misura e ciecamente profonde . La Piepubblica lo consultò nei più spi- nosi affari del suo dominio , ed ei le diede DI NICCOLO MACHIAVELLI . XLV i più salutari consigli, quando i popoli del- la Val di Cliiaua si ribellarono . Molti altri suggerimenti e concigli diede alla patria neir utizio di Segretario, come lo dimostra- no le molte sue leti ere , che conservano i nostri pubblici Archlvj : si ama in quelle il Macliiavelli quando si vede consigliar la pace , gli accomodamenti amichevoli , rac- comandare la severa e distributiva giustizia, il risparmiare il popolo nei dazi , e valuta- re le più piccole circostanze , quando al privato o al ])ubblico bene utili le credeva . La Repubblica non trascurò le sue mi- litari dottrine , prolittanlo del suo consiglio, di servirsi cioè delle armi proprie. Egli fu incaricato di scrivere ie provvisioni per creare le milizie, e di far le leve dei difen- sori, che volea trarre dal suo seno; e tanto fu reputato da' suoi coucittadini per la scien- za militare , che i magistrati gli accordarono autorità quasi dittatoria su i capitani , e sul consiglio di guerra : ed a norma dei precetti e dei suggerimenti di lui creata fu una legione toscana , che posteriormente sotto la condotta di Giovanni de' Medici gloriosamente combattè , e fece vedere (i) che alla virtù latina O nulla manca , o sol la disciplina , (i) Vedi Ammirato Opuscoli. Jacob. Gaddi toc. cìU Segni Stor. Fior. iiL. i. XLVI ELOGIO Ma avvezzo, per lunga pratica e lungo studio , dal |:)assato a dedurre V avvenire , il Segretario diceva : » La buona fortuna dei » Francesi ci ha fatta perdere la metà dello » stalo , la cattiva ci farà perdere la libertà «; predizione , che avverossi maravigliosamen- te ; imperocché, declinate le cose di Francia in Italia per opera di Giulio ii , volle Lui- gi XII, per vendicarsi del Pontefice, adunare un Concilio in Italia , e a tale oggetto ai Fiorentini ri(rhiese Pisa ; ma illuminati dal Segreiario , temendo i fulmini e le vendette di Pio ma , pensarono di ricusarlo . Inviarono a tal uopo , ma infruttuosamente , il Machia- velli al Re , acciò limovesse il Concilio , e tornato in patria lo spedirono a Pisa per vegliare sopra di esso , ed effettuarne lo scioglimento . 11 Pontefice però irritato per r involontario fallo dei Fiorentini riunì le forze sue a quelle degli Aragonesi , tolse loro la libertà , e ristabilì i Medici nella patria . Sono le avversità ai cuori magnanimi ciò che sono le procelle pel nocchiero , che ne pongono in luminosa vista il coraggio e il valore . Non andò il Segretario esente da quelle disgrazie, che se renderono chiaro il suo nome , gli procui'arono altresì una vita sempre angustiata e tempestosa : impe- rocché avendo egli fatto ogni sforzo per sostenere la libertà della patria con le opere e coi cousigli , i Medici lo riguardarono com' un ostacolo al vagheggiato ingrandi- DI NICCOLO MACHIAVELLI. XLVII mento; quindi Lorenzo, assillila la dlttaLura della Repubblica, lo fece spogliare per pub- blico decreto dei suoi impiei^bi, e lo lasciò iieir oblio . Cosi languiva il Machiavelli , allorché renduto sospetto di complicità nella con- giura del Boscoli e del Capponi contro il cardinale Giovanni dei Medici, trascinato si vide nelle pubbliche carceri , e sottoposto a ignominiosa tortura , eh' ei supportò nel silenzio e con eroica fermezza . Vedea con stoico coraggio accostarsi il supplizio , allor- ché il Cardinale divenuto Ponietice in quel pubblico giubbilo gli fece rendere la liber- tà . Fu peraltro mandato in esilio , esilio eh' ei sopportò come Aristide, portandovi, come esso , dopo lunghi servigi , un cuore senza rimproveri , ed una nobile indigen- Rientrato libero in patria , se per le sofferte sventure non potè giovarle con le opere , volle giovarle almeno col consiglio . » Perchè egli credeva oflìcio di buon citta- » dino quel bene , che jier la malignità d^i » tempi ei non potette operare , insegnarlo » almeno agli altri , acciocché essendone » molti capaci, alcuno di quelli più amato » dal cielo operar lo potesse « ; quindi pubblicò i suoi Discorsi sulle Deche di Tito Livio , e successivamente compose tutte le (i) (Giul. de' Ricci . Giovio loc. cit, ^ XLVIII ELOGIO altre opere sue , rendendosi immortale col- r ingegno ; gloria, che ai suoi nemici non era dato di potergli involare . Con la dedicatoria dei suo Principe a Lorenzo dei Medici calmò in parte il ri- sentimento di quella potente famiglia . Il cardinale Giulio , che governaA'a Firenze per Leon x, ne diede non equivoca prova, consultandolo a nome del Pontefice sulla riforma del governo di Firenze , dal mal- contento e dal sospetto , che vi regnava , renduta omai necessaria . Abbracciò questa commissione il Machiavelli , non già per adulare il Pontefice , ma per servire alla patria. Conseguente nei suoi principj, espose a Leone , non poter essere tranqniilo , se non accordava un governo adattato al ca- rattere dei cittadini. Propose d'equilibrare i partili , e di rendere ad essa la libertà soito gli auspicj del Pontefice , conservando- ne il supremo dominio . Così , soddisfacen- do air ambizione di Leone , due vantaggi procurava alla patria : la sua libertà dopo la morte di esso, e l'equilibrio delle parti, che, preponderanti, sempre aspersa di sangue l' avevano . Chiaramente si scorge quanto a cuore gli fosse , che il Pontefice adottasse quel nobile disegno , giacche dopo d' aver parlato della fortuna di chi pcUè riformare uno stato, soggiunge: » Questi sono, dopo » quelli , che sono stati iddii , i primi lauda- » ti . E perchè e' sono stati pochi che abbi- » no avuto occasione di farlo, e pochissimi DI NICCOLO M.iCHIAVELLI. XLIX » quelli che lo abbino sapulo fare , sono » piccolo numero quelli , che lo abbino » fatto ; ed è slata stimata tanto questa » gloria dagli uomini , che non hanno at- » teso ad altro che a gloria, che non avendo » possuto fare una Repubblica in atto , » r hanno fatta in iscritto , come Aristotile , » Platone , e molti altri , i quali hanno vo- » luto mostrare al mondo , che se , come » Soloue e Licurgo , non hanno potuto fon- » dare un viver civile , non è m.ancato dal- » r ignoranza loro , ma dall' impotenza di » metterlo in atto « . Ma il cardinal Giulio facendo scrivere su tale oggetto, non pensava però di rifor- mare lo stato (i) ; volea soltanto simulare amore per la patria, e brama di soddisfare ai numerosi clamori dei malconlenti . I più intolleranti fra questi erano i giovani otti- mati, che negli Orti Oricellari si riunivano , istruiti e diretti dal Miichiavelli . Oi'dirono questi una congiura , che fu scoperta dalle severe perquisizioni del Cardinale . Varj de' congiurati con la fuga poterono salvarsi , alcuni vi perderouo la vila , e il Machiavelli cadde in sospetto d' esserne stato il segreto motore ; ma non ci è noto , che ciò gli ar- co Il Nardi (Stor. Fior. Lion. 1682, p. 282) riferisce, che oltre al Machiavelli molti altri scrissero sullo stesso argomento , fra i quali con sommo plauso Alessandro de" Pazzi . Mach. Voi. I. d t ELOGIO recasse altro infortunio , che 1' esser nuova- mente lascialo neir umile forluna , nella quale per lo avanti languiva . 11 Machiavelli trascarato e depresso cer- cò in sé medesimo quelle gloriose consola- zioni , proprie dell' uomo graude , e gli amici che erasi conciliati quando serviva la Repubblica, addolcirono in parte le sue disgrazie . Furono questi Francesco Yettori , il GuicciardJiio , Filippo Strozzi, il Valori, il Buondelmonti , il Ruccllai , e tutti i più onesti e reputati personaggi della città . L'aureo e scherzoso suo carattere, la sua sagacità (i) , il suo sapere lo rendeauo a questi caro e bramato ; era infine Cicerone novello , consultato dai Catuli , dagli Attici e dai Metelii , e ciò che prova quanto degno fosse della loro affezione, è l'essersi veduto, ciò eh' è raro ai dì nostri, l'amicizia di (0 Raccontasi che Claudio Tolomei Sena-se gli disse un giorno : Jn Firenze gli uomini hanno meno scienza e sono meno dotti^ che in Siena , eccettuandone però voi ; a cui soggiunse tosto .- e anche in. Siena gli uomini sono più pazzi senza eccettuarne voi . Un altra volta un ambasciatore di Venezia richiestolo cosa gli paresse del Bembo, che in- segnava la lingua toscana ai Fiorentini , rispose : Dico quello che direste i>oi , se un Fiorentino insegnasse la lingua veneziana ad un Veneziano . Quando senti la morte di Piero SoJerini , cosi leggiadramente lo caratterizzò : La notte che morì Pier Sederini, L' alma n andò dell' inferno alla bocca , E Pialo le gridò : anima sciocca , Ck' inferno ? va nel limbo de' bambini . DI NICCOLÒ MACHIAVELLI. LI quelli non mai spenta dall' avversa sorte , che r opprimeva . Le morali facoltà dell' animo , anche nell'uomo giande, come le fìsiche facoltà dopo luuijo esercizio, abbisognano della quie- te , la quale dando a queste nuovo vigore, più robuste ed atte le rende a nuovi ser- vigi . Il Maoliia velli , tutto intento allo studio dell' arte di condurre gli uomini , trovò cfuesta quiele in opere meno severe , ma eh' ei sep[)e rendere ugualmente istruttive. Scrisse delle commedie libere alquanto, per- chè Aristofane e Plauto imitò , ove smasche- rando ingegnosamente l'ipocrisia , e scher- zando, attaccò quella depravazione di costu- mi troppo allora comune . La Mandragola tanta fama gli acquistò , che Leon x fece venire da Firenze a Roma gli attori e la scenica decorazione della medesima (i); tan- to quei tempi eran dai nostri lontani . Le commedie, eia sua traduzione dell' Andria sono modelli di lingua , che i posteri leg- geranno sempre con piacere , perchè con vivi colori e con verità vedousi disegnati (i) Il Giovio racconta ciò della Nicia ; ma il Ma- cliiavelli non scrisse mai commedia con tal titolo . Scam- biò egli probabilmente con la Mandragola , ove avvi un messer Nicia, che vi la una così scherzosa figura. Sog- giunge il Giovio , che quando fu per la prima volta rap- presentata in Firenze , tanto eccitò il riso anche nei jiiù malinconici , che quegli stessi che , assistendo a tal rap- presenlanisa, si videro mordacemente scherniti , sopporta- rono r ingiuria con affabile piacevolezza . tu ELOGIO i costumi dei tempi suoi : tempi in y)arte felici , che se la santa castità dei costumi era alquanto macchiata , il corrompere , e V esser corrotto non fu chiamata moda del secolo : inoltre la lettura di queste disingan- nerà certamente gì' increduli , che negavano al traduttore di Terenzio, al seguace di Plau- to e di Aristofane l' intelligenza della latina favella (i) . Ei coltivò le muse con non mediocre fortuna ; ammiratore del tenero e sfortuna- to cantore di madonna Laura , scrisse varj poetici componimenti , alcuni dei quali il (i) A me pare, che se il Machiavelli avesse saputo scrivere tanto elegantemente senza il soccorso degli an- tichi classici , sarebbe stato forse un ingegno più creato- re , e però più raro . Il seguente aneddoto riportato dal chiarisse signor canonico Bandirà ( loc. cit. not. 9 ) ci fa conoscere perchè egli non volle sottoporsi a scrivere in latino, co- me lo facevano gli scrittori d' allora . Soleva leggere il Machiavelli le Storie sue a varj dotti amici, onde sotto- porle al loro giudizio . Le le5se fra gli altri ad un let- terato , il quale Icdandole molto , soggiunse : Altro non vi manca , che le Jncciate lacine ; ed egli rispose : E' fu già un Re di Lacedemone ^e^ se ben mi ricordo^ fu chiamato Aga- sicle , al quale un suo Jnmigliure , che sapeva eh' egli avea desiderio d' imparare , disse : perchè non pigliate per maestro il soj'ista Fdofanc ? No , rispose il Re , perch' io voglio esser discepolo di cui son Jìgliuolo . La mia lingua sarà Jìorentinx per ora , e non romana , Taluno lo rimproverò di trascura- tezza nello stile ; ma se si considerano le tante opere che egli scrisse , le sue moltiplicate incumbenze , e la breve sua mortale carriera , non dee recar maraviglia il vederlo un poco trascurato in alcuni suoi scritti , occu- pandosi maggiormente delle cose che voleva dire , che dei modo di ^irle . DI NICCOLO MACIITAVELLI. Ltl t Petrarca stesso non avrebbe forse sdegnati per suoi . Devesi pure all' ozio della sua vi- ta privala l'elegante novella di Belfagor, che la Fontaine credè degna di far sua propria ; e se è vero , come pretendesi , che in quella dipingesse Manetta Corsini sua consorte , vedcsi perseguitalo dalla fortuna anche nelle domestiche dolcezze , che tanto alleggerisco- no o accrescono le umane sventure . Rivendicò alla patria la lingua di Dan- te , e nel suo discorso così s' esprime : » Sempre che io ho potuto onorare la patria » mia, eziandio con mio carico e pericolo, » r ho fatto volentieri , perchè Tuomo non » ha maggior obbligo nella vita sua , che » con quella , depeiidendo prima da essa » r essere , e dipoi tutto quello , che la » fortuna e la natura ci hanno concesso . « E in ciò di gran lunga superiore a Dante , prova a quel cinico , e vendicativo poeta , benché immortale , che non in lingua cu- riale egli scrisse , come il pretende , ma in Fiorentina favella . Fecelo il cardinale Giulio de' Medici , dopo lunga dimenticanza , ricomparire nella carriera politica , inviandolo al capitolo dei frati minori di Carpi per separare la Tosca- na provincia da altra di quei religiosi . Biz- zarre lettere ci rimangono del Guicciardino a lui scritte , scherzando su tal commissio- ne . In una di queste lo paragona a Lisan- dro , che , dopo tante vittorie e trofei , eb- be la cura di distribuire le carni a quei LIV ELOGIO soldati , che tanto gloriosamente avea co- mandali . Vedendo la Repubblica innalzalo alla tiara il cardinale Giulio col nome di Cle- mente VII , e sapendo che il Machiavelli godeva del favore di lui , lo fece ricompa- rire nel maneggio dei ])uhhlici affari. Quindi allorché i Fiorentini si unirono con questo Pontefice contro Borbone generale di Car- lo v , lo spedirono all' armata della lega per portarla alla difesa della Toscana minacciata da quel petulante capitano . In tal occasione eccitato fu il Machiavelli dal Duca d' Urbi- no , che comandava gli eserciti , di porre in ordinanza le schiere ; ma egli lo ricusò : tanto negli uomini sommi la modestia e il sapere collegati si vedono (i) . Coli* ordina- ria avvedutezza predisse in tale circostanza alla Signoria le disgrazie d' Italia ; vedendo , come sovente accade , senza accordo e mal composta la lega . Tornato in patria dopo il sacco di Ro- ma , trovò la plebe , che credevalo instlga- tore della tirannide rimproverata ai Medici , irritata . Era nata quella popolare avversio- ne contro di lui dai tenui favori che aveva ottenuti negli ultimi tempi dal cardinal Giulio e da Lorenzo , dimenticando la pa- tria le sventure , eh' ei sopportò per giovar- ci) ( Crist. Besoldi. De arte joreque. Argen. 1642, pag. 3. ) DI Mccou) Machiavelli . lV le. In tale angustia, e dall' ini^jratltudine colpito nel più vivo dell' animo , preso un Tiicdicamento , di cui usava sovente, cristia- namente morì il 22 di giugno dei 1527(1), unicamente compianto dagli apprezzatori del vero merito , che furono sempre in iscarso numero , e dagli amici , di cui fece la deli- zia nella sua pubblica e privata carriera ; dopo avere cspcrimentalo quanto pericoloso sia pel filosofo l'istruire gli uomini , il con- sigliarli , il servirli , se il cielo nei generosi suoi sforzi non lo seconda . Atene decretò la x^icuta a Socrate e a Focione , i più giusti fra gli uomini ; ma mitigò in parte il giudizio severo , che la posterità pronunciato avrebbe contro di lei , col pentimento sincero , e con le laudi e con le lacrime sparse sulle ceneri loro . Il Machiavelli provò l' ingiustizia degli uomini anche al di là della tomba . Erasi fatti ne- mici tutti i sostenitori degli abusi , tentan- do d' abbatterli ovunque polca discernerii ; penetrato del sacro rispetto per la religione dei!;li avi , vedea con pena il clero di quei tempi allontanarsi dalla decenza di costu- mi , che predicava : onde alcune volte negli scritti suoi lo sferzò amaramente; perlocliè sorsero contro di lui numerosi nemici , quando furono con le stampe, e con 1' ap* provazione del Pontelìce , in Roma stessa (ij (Varchi, 6tor. Fior. Col. 17-1, pag. S5. ) LVI ELOGIO pubblicati i suoi scrini . Il cardinale Rìgi- naldo Polo fu il primo ad oppugnare il Machiavelli , prevenuto senza dubbio dal- l'abuso cbe vedeva farsi del Principe nella sua corle ; ma il discreto Prelato avendo in seguilo conosciuta Ja mente di lui , ne scusò , come abbiamo osservato , 1' opera e l'Autore . Poscia il Ca tarino scagliossi contro di lui , ed ottenne un segnalato trionfo , vedendo coronate le sue declamazioni con la proibizione delle opere del Segretario . Il Giovio , il Gentilelto , l'Osorio e molti altri seguirono le orme del Catarino . Chi nella morale , chi nella scienza lo percuo- teva , altri tacciandolo d' ignorante della la- tina favella, altri com' empio scrittore e co- me maestro di tirannia . Tutti questi cam- pioni sembravano i Greci occupati a stra- ziare il cadavere d' Ettore , che in vita gli avrebbe cacciati in fuga col solo sguardo . Volcasi a cjuei tempi accordare però una qualche giustizia al calunniato Filosofo , ristampandone le opere , sopprimendo sol- tanto quella picciola parte di esse , eh' ec- citati avca quei ripetuti clamori; quando il Posse vino , ardendo forse di sacra invidia , perocché membro d'una Società, clic sola esser volea a possedere la riputazione d' il- luminata , giunse nuovamente a trionfare di si grand' uomo , Il Machiavelli fu per esso un nuovo Prometeo rapitore del celeste fuoco a benclìzio degli uomini ; quindi di mala voglia soffrì , che sorla fosse fuora DI MCCOLO MACHIAVELLI. LVII della sua società un'anima generosa a span- der luce neir univeiso ; ed ecco i suoi ileri assalti contro le spoglie del Fiorentino Se- gretario , clie gli confermarono la lanciata censura ; ed eccolo privo per sempre delle sue opere , che erano la sola difesa , die dopo morte rimaner gli poteva per giusti- lìcare le sue dottrine . Fu rivendicato per altro dalla giusta e verace lentezza dei se- coli , giacché la posterità ritorse contro la relii^iosa Società quelle armi , con cui attac- cato aveva lo sventurato Filosofo , e ad essa attribuì i principj stessi di arliticiosa , di simulata politica, e d'insidiosa scienza di governare . Anche al Possevino si riunì altra turba di detrattori del Machiavelli (r), i quali (i) Credo di far cosa grata al lettore mettendogli sotto gli occhi i principali avversar) del Machiavelli , coir esame delle segrete cagioni , che gli mossero a per- seguitarlo con tanto furore . Un tal esame potrà essere utile per dimostrare , che i dotti spesse volte odiano o amano , lodano o vituperano a seconda delle passio- ni che gli agitano , di cui sov'ente sono vittime più de- gl' idioti . Il Polo scrisse contro di lui per le lodi straordina- rissime , che Cromvello diede al Principe del Macluavel- li . Cromvello era il ministro favorito d'Enrico viii , e principal promotore de' cambiamenti religiosi , che si operarono in Inghilterra sotto quel Re, e perciò nemico del Polo stesso . 11 pregio , in cui teneva le dette opere Caterina de' Medici, fu Ja cagione, per la quale il calvi- nista Innocrnzio Gentilctto scrisse l'opera sua; Discuurs Sur les moyens de gnm'erner un Koyaunie cantre Niz-olas Ma- chiavcl nel iSyb'.Egli stesso lo avverte nella sua dedica- toria al Duca d'Alenqon . Era in Francia odiatissimo il / I.VIII ELOGIO altro non fecero , che ripetere i clihaltiiti rimproveri. Il Bayle, e l' aiUore dcirAn- Machiavelli per 1' opinione prevalsa , che si dovesse ai principi sparsi nelle sue opere la sJrage di s. Bartolom- meo consigliata da Caterina e ordinata da Carlo ix. (Vedi il princ. del 52 lib. del Tuano ) Ambrogio Catarino Po- liti domenicano , poi Vescovo di Consa , in un tomo in foglio di miscellanee stampato in Roma dal Biado nel i552, tra varie dissertazioni o libri che trattano di di- verse materie , uno ne scrisse col titolo : De divinis et canonicLs scripiuris ^ sulla fine del quale si legge un para- grafo che ha per titolo : Quam exccrandi sint Mnchiat'elli Discursus , et iiistilutio sui Principis . La Mandragola si pretende che gli ponesse in mano la penna contro il Fiorentino Segretario . Si sa però , che questo rigorista pel Blach'avelli si rendè famoso per la singolarità delle sue opinioni teoloeriche . Sino allora non solo pubblicamente si leggevano le opere del Segretario , come si è detto , ma Clemente va accordò di più uno special privilegio per istamparle , come si vede alla testa dell' edizione di Antonio Biado d'Asola elei i53i e Sa. Era questi stam- patore pontificio , e dedicò 1' edizione sua a monsignor Giovanni Gaddi gran protettore del Machiavelli , e gran- de amatore degli scritti di lui . Ma dopo i clamori del Cat;«ririo comparve la proibizione delle opere del Ma- chiavelli nel catalogo dei libri proibiti fatto da Paolo !V nel iSSy; poscia dal Concilio di Trento nel i564, come lo racconta Giuliano de' Ricci , il quale soggiunge : E perchè levatone alcune poche elle restano tali , che sì posso- no ammettere . Fu ditta la cura a me Giuliano de' B'cci e a messer Niccolò Machiavelli mio cugino , ambedue suoi ne- poti , io Jìgliuolo di una figliuola , e messer Niccolò fi- gliuolo d' un figliuolo , come appare per una lettera scritta tìgli detti dagV illustrissimi signori Cardinali deputali sopra la rivista dell' indice^ dato al 3 d'agosto lóyS, sottoscritta da fr, Antonio Posi allora Segretario di detti Cardinali , e sì bene si faticò attorno alla detta revisione^ e si corressono tutte ^ e a Roma si mandò la correzione dell' Istorie . Sino adesso che siamo nel 1694, ho» 5t è condotta a f ne ^ perchè y nello stringere , volevano quelli Signori , che si ristampassero SQU' altro nome ; a che. si diede passata . Pare , come si è DI MCCOIO MACTTIAVELLT. LIX (iniacliiavello si rolle^aroiio contro le massi- me e 1 principi dei Segretario, sperando forse detto, che contrariasse il progetto della ristampa la guer- ra , che cominciarono a fiare contro la memoria del Se- gretirio i Gesuiti , i quali volendo governare gli stati e i Principi esclusivamente , odiavano tutti i politici , ch'avrebbero voluto gareggiare seco loro, e specialmen- te il Machiavelli , eh' era riguardalo come Principe dei politici, come lo provano le invettive scagliate da essi contro i politici ne' loro scritti , e tutto ciò che fecero per iscreditare il nostro autore nei paesi, ove erano sta- biliti . II gesuita Antonio Possevino pubblicò in Rosr.a Bel i5c)i un libercolo contenente la censura, e la con- futazione di alcune opere politiche di vari autori , e fra questi comprese il Machiavelli, a cui diede un arti- colo coli intitolazione : Cautin de iis , quae scripsit tum Nicolaus Machiavellus , tum is qui adversus eum scripsit Ariti Machiavellum ^ (cioè il Gentiletto ) artico'o che ristam- pò nella sua Bibliotkeca selecta . Ciò che avvi di strano, si è, ch'egli non avea letto il Principe , che confutava, come si rileva dal citare secondo e terzo libro del Prin- cipe , eh' è un libro solo , come lo avvertì il Coringio nella sua prefazione apologetica , che messe alla testa del Principe tradotto in latino , e stampato ad Helmcstat nel 1660; il qual Coringio provò pure, ch'egli erasi servito del libro del calvinista Gentiletto , del quale di- ce : Sed ubi Machiavellus cathoUcam oppugnai Ecclesiam , " vel ubi occasio sese dat , facile Mnchiavellum blasphemando equat et superai^ ( Bibliot. select. \ en. i6o3 t. li, p. 4o3 ). Dopo di questo il gesuita padre Lucchesini raddoppiò i suoi sforzi nel suo saggio delle sciocchezze di Niccolò Machiavelli ( Rom. 1697 ) . Non si contentò che il Ma- chiavelli fosse creduto un empio , volle provarlo ancora un mentecatto, né risparmiò di prodigargli ingiurie per sostenerne 1' assunto . Parve ciò tanto strano ad un poe- to , che si crede il Menzini , che scrisse di lui in una sua satira : Tante sciocchezze non ccntien quel bello Opuscolo del padre Lucchesini , Che tacciò di coglione il Mnchiavello . L' accanita Società non contenta di perseguitare la sua LX ELOGIO di cuoprirc, col l'in giurie, scagliale contro di lui , le massime ed i piiucipj iniqui sparsi memoria in Italia , fece scrivere in Spagna contro di lui dal padre Ilibadcneyra gesuita Spsgnuolo . Pubblicò questi il suo trattato delle virtudi del Principe cristiano contro Kiccolò Machiavelli , che fu tradotto in italiano da Sci- pione Metelli (Gen. lógS. ) Per acquistare un' idea delle virtù , eh' egli vuole inculcare al suo Principe , ecco ciò che dice nella sua dedicatoria all' Infante don Filippo, erede presnntivo di tutte le Spagne , suggerendo ad esso gli avi suoi per modello , e lasciando a parte gli altri , di uno di loro ( che fa il Ke don Ferdinando il Santo ) scrivo- no autori gravi , eli era tanto lo zelo eh' egli aveva di con- servare la Fede nostra pura e sincera , che non si contentava di comandare che fossero gastigati gli Eretici^ ma egli stes- so ^ quando occorreva che se ne avesse ad abbruciare alcuno^ vi poneva il fuoco e le legna per fare il sagrifizio . Questo santo Re deve vostra Altezza imitare , ed imitare i suoi avoli Isabella e Ferdinando , che cacciarono i mori e i giudei di Spagna , e stabilirono in essa V UJìzio della s. Inquisizione , Abbiamo veduto ( not. 9 ) come i gesuiti R.aynauJi e Binet tentarono di diffamarlo in Francia . La Società i^on lo risparmiò neppure in Germania, giacche i Gesuiti d'Ingolstat in Baviera fecero abbruciare la statua del ?■ f-r.'' ::»(.- 3„.,V •"• :-^>r IL PRINCIPE DI NICCOLO' MACHIAVELLI SEGRETARIO E CITTADINO FIORENTINO. CAPITOLO L Quante siano le specie de' Piincipati , e con quali modi si acquistino . T ulti gli Stati , tutti i (lominii che han- no avuto , ed hanno imperio sopia gli uo- mini , sono stati e sono o Repubbliche o Principati . I Principali sono o ereditari , de' quali il sangue del loro Signore ne sia stalo lungo tempo Principe, o e' sono nuo- vi . I nuovi o sono nuovi tutti , come fu Milano a Francesco Sforza , o sono come membri aggiunti allo stato ereditario del Principe che gli acquista, come è il Regno 8 IL PRINCIPE. di Napoli al Re di Spagna . Sono questi dcminii, così acquistali, o consueti a ^ivere sotto un Principe ;, o usi ad esser liberi ; ed acquisiansi o con le armi di altri o con le proprie, o per fortuna o per \irtù. CAPITOLO II. De Principati ereditari . lo lascerò ii»dietro il ragionare delle Bcpubbliche , percliè altra volta ne ragio- nai a lungo . Voltert^mmi solo al Piinoipa- to , e anelerò, nel iites>ere queste orditure di sopra , di^putando come questi Principi si possono governare e man; enere . Dico adunque, che itelli Stati ereditari, ed assue- fatti al sangue del loro Principe , sono as- sai minori diffi("ulià a mantenergli , che ne' nuovi ; perchè basta solo n^n trapassare l'ordine de' suoi anten.iti , e dipoi tempo- rotaia re con iili aciidcnti , in modo che se tal Principe e di ordinaria industria , sem- pre si manterWi nel suo Slato , se non è lina straordinaria ed eccessiva forza che ne lo priva ; e privato che ne sia , quantun- que di sinistro abbia roccupalcre, lo riac- quista. Noi abbiamo in Italia, j er esempio, il Duca di Ferrara , il quale non ha retto agli assalti de* Vini/iani neir84, ne a quelli di Papa Giulio nel io per altre cagioni , ìeIic per essere antiquato in quel dominio . ILPRINCIPE. T^ Perchè il Principe naturale ha minori ca- cioui e minori necessità di offendere; don- de conviene che sia ^nì\ amato ; e se stra- sordinaril vizi non lo fanno odiare , è ra- gionevole che naturalmente sia ben voluto da' suoi ; e nell' antichità e contiiìuazione del dominio sono spente le memorie e le cagioni delle innovazioni ; perchè sempre una mulazioiu' lascia lo addentellato per la edificazione dell' altra . CAPITOLO III. JDe Principati misti . Ma nel Piincipato nuovo consistono le difficuhà . E prima se non è tutto nu< \o , ma come membro , che si pur- chiamare tutto insieme quasi misto, le variazi ni .sue nascono in prima da una naturai difucul- tà , quale è in tutti i Princi] ati nuovi; per- che gli uomini mutano volentieri Siijnore , crcflendo migliorare; e questa credenza gli fa pigliar 1 arme contro a chi regge; diche s'ingannano, perchè veggono poi jier espe- rienza aver peggiorato . Il che dipende da un'altra necessità naturale ed ordinaria , quale fa che sempre bisogni offendere quel- li , di chi si diventa nuovo Principe ; e con gente d'arme , e con in finii e altre iuj;iuric che si tira dietro il nuvvo acquisto Dimo- doché li trovi avere inimici tulli quelli che tu hai offcbi iu occupare quel Principato ; rO ILPRINCIf» E.- e non li puoi mantenere amici quelli, che vi ti hanno messo , per non gli potere sa* tisfare in quel modo che si erano presup- posto , e per non potere lu usare con tra di loro medicine forti , essendo loro obbli- gato ; perchè sempre , ancorché uno sia fortissimo in su gli eserciti , ha bisogno del favore de' provinciali ad entrare in una pro- vincia . Per queste ragioni Luigi Xll Re di Francia occupò subito Milano , e subito lo perde , e bastarono a torglielo la prima volta le forze proprie di Lodovico ; perchè quelli popoli , che gli avevano aperte le porte , trovandosi ingannati della opinione loro , e di quel futuro bene che si aveano presupposto , non potevano sopportare fa- slidi del nuovo Principe . E ben vero che acquistandosi poi la seconda volta i paesi ribellati , si perdono con più difficullà ; percìiè il Signore , presa occasione dalla ri- bellione , è meno rispettivo ad assicurarsi , eon punire i delinquenti , chiarire i sospet- ti , provvedersi nelle parti più deboli . In modo che se a far perdere Milano a Fran- cia bastò la prima volta un Duca Lodovi- co, che romoregglasse in su' confini; a far- lo dipoi perdere la seconda , eli bisognò avere contro il mondo tutto, e ciie gli eser- citi suoi fossero spenti, e cacciati d'Italia 5 il che nacque dalle cagioni sopraddette * JNondiraeuo e la prima e la seconda volta gli fu tolto . Le cagioni universali della prima si sono discorse ; resta ora a vedere ILPRINCIPE. ri quelle della secoiìda , e dire che rimedi egli a\eva, e quali ci può avere uno che fasse ne' termini suoi , per potersi meglio mantenere nello acquistato , che non lece il Re di Francia. Dico pertanto, che questi Stati , i quali acquistandosi si aggiungono a uno Stato antico di quello che gli acqui- sta , o sono dell I medesima provincia e deh la medesima lingua , o non sono . Quando siano , è facilità grande a tenergli , massi- mamente quando non siano ubi a vivere liberi; e, a possedergli sicuramente, basta avere spenta la linea del Principe che gli dominava ; jierchè nelle altre cfise , mante- nendosi loro le condizioni vecchie , e non vi essendo disformità di costumi , gli uo- mini si vivono quietamente , come si è vi- sto che ha fatto la Borgogna, la Bertagna, la Guascogna , e la Normandia , che tanto tempo sono state con Fiancia; e benché vi sia qualche disformità di lingua, nondime- no i costumi sono simili , e possonsi tra loro facilmente comportare : e a chi le ac- quista, Yoknidole tenere , bisogna avere due rispetti; Tuno che il sangue del loro Prin- cipe antico si spenga ; l'altro di non alte- rare nò loro leggi né loro dazi ; talraenle- chè in brevissimo tempo diventa con il lo- ro Principato antico tutto un corpo . Ma quando si acquistano Stati in una provin- cia disforme di lingua, di costumi, e di oroca , ve le manda e tiene , e solamente offende coloro , a chi toglie i campi e le case per darle a' nuovi abitatori , che sono una minima parte di quello Stato; e quelli che egli offende, ri- ma nen lo dispersi e poveri , non gli posso- no mai nuocere ; e tulli gli altri riiaangoao IL PRINCIPE. l3 da una parte non offesi , e per questo si (jiiiotano facilmente; dall'altra paurosi di uon eriare , perchè non intervenisse loro come a quelli che sono stati s})ogliali. Con- chiudo ^ che queste colonie che non costa- no , sono più fedeli , offendono meno , e ^Vi offesi, essendo poveri e dispersi, non possono nuocere , come ho detto . Perchè si ha a notare , che gli uomini si debhono o vezze£;i;;iare o spegnere , perchè « vendi- cano delle leggieri offese ; delle gravi non possono : sicché l'offesa che si fit» ali uomo, deve essere in modo , che ella non tema la vendetta . Ma tenendovi , in cambio di colonie, genti d'arme, si spende più assai, avendo a consumare nella guardia tutte l'entrate di quello Stato : in modo che l'ac- quistato gli torna in perdita , ed offende molto più; perchè nuoce a tutto quello Sta- to , tramutando con «li allo£;£ìiamenti il suo esercito ; del quale disagio ognuno ne sen- te , e ciascuno li diventa nimico , e sono inimici che gli possono nuocere , rimanen- do battuti in casa loro . Da ogni parte dun- Sue questa guardia è inutile , come quella elle colonie è utile . Debbe ancora chi è in una provincia disforme , come è detto , farsi capo e difensore de' vicini minori po- tenti , ed ingegnarsi d'indebolire i più po- tenti di quella , e guardare clie , per acci- dente alcuno, non v'entri uno forestiere non meno potente di lui : e sempre interverrà che vi sai'à mesio da coluro che saranno 14 fL PRINCIPE. in quella malcontenti o per troppa ambi-» zione o per paura ; come si vide già che gli Etoli misero li Romani in Grecia ; ed in ogni altra provincia che loro entrarono^ vi furono messi dai provinciali . E l'ordine della cosa è , che subito che un forestiere potente entra in una provincia , tutti quelli che sono in essa meno potenti, gli aderisco- no, mossi da una invidia che hanno con- tro a chi è stato potente sopra di loro ; tantoché rispetto a questi minori potenti , egli non ba a durare fatica alcuna a gua- dagnarli , perchè subito tutti insieme volen- tieri fanno massa con lo Stato , che egli vi ha acquistato. Ha solamente a pensare, che non piglino troppe forze ;, e troppa autori- tà ; e facilmente può con le forze sue , e con il favor loro abbassare quelli che sono potenti, per rimanere in lutto arbitro ài quella provincia . E chi non governerà be- ne questa parte , perderà presto quello che ara acquistato ; e mentre che lo terrà , vi ara dentro infinite difficullà e fastidi, l Ro- mani nelle provincie che pigliarono , ossei^ varono bene queste parti , e mandarono le colonie , intraltenerono i men potenti senza crescere loro potenza , abbassarono li poten- ti , e non vi lasciarono prendere riputazio- ne a' potenti forestieri. E voglio mi basti solo la provincia di Grecia per esempio . Furono intrattenuti da loro gli Achei , e gli Etoli , fu abbassato il Regno de' Mace- doni , fuaue cacciato Antioco ; né mai gli IL PRINCIPE. ig meriti degli Achei o degli Etoli fecero che permettessero loro accrescere alcuno Stato , uè le persuasioni di Filippo gli indussero mai ad essergli amici senza sbassarlo , ne la potenza di Antioco potè liire gH consentis- sero che tenesse in quella provincia alcuno Stato . Perchè i Romani fecero in questi casi quello die tutti i Principi savi debbo- no fare , li quali non solamente hanno ad aver riguardo alli scandoli presenti, ma alli futuri , ed a quelli con ogni industria ri- pai'are ; perchè prevedendosi discosto , fa- cilmente vi si può rimediare , ma aspettan- do che ti s'appressino , la medicina non è più a tempo , perchè la malattia è divenu- ta incurabile ; ed interviene di questa , co- me dicono i Medici dell'etica , che nel prin- cipio è facile a curare , e difficile a cogno- scere , ma nel corso del tempo, non l'aven- do nel principio cognosciuta né medicata , diventa facile a cognoscere , e difficile a cu- rare . Cosi interviene nelle cose dello Stato, perchè cognoscendo discosto , il che non è dato se non ad un prudente , i mali ohe nascono in quello , si guariscono presto ; ma quando , per aon gli aver cognosciuli , sì lascino crescere in modo che ognuno li cognosce , non vi è più rimedio . Però i Romani vedendo discosto gl'inconvenienti, li rimediarono sempre , e non gli lasciaro- no mai seguire per fuggire una guerra, perchè sapevano che la guerra non si leva, ma si differisce con vantaggio d'altri ; però l6 IL PRINCIPE. volsero fare con Filippo ed Antioco guerra in Grecia , per non Tavere a fare con loro in Italia ; e potevano per allora fuggire Tuna e l'altra; il die non volsero, «è piac- que mai loro quello che tutto di è in boc- ca de' savi de' nostri tempi , godere li bene- fidi del tempo ; ma bene quello della virtù e prudenza loro; perchè il tempo si caccia innanzi ogni cosa , e può condurre seco bene come male , male come bene . Ma torniamo a Francia , ed esaminiamo se del- le cose dette ne ha f\lto alcuna ; e parlerò di Luigi e non di Carlo , come di colui , del quale, per aver tenuta più lunga pos- ^ sessione in Italia , si sono meglio visti li . suoi andamenti ; e vedrete come egli ha fatto il contrario di quelle cose , che si debbono fare per tenere uno Slato disfor- me. Il Re Luigi fu messo in Italia dall'am- bizione de'Viniziani , che volsero guadagnarsi mezzo lo Stato di Lombardia per quella ve- nuta . Io non voglio biasimare quella ve- nuta o partito preso dal Re; perchè, volen- do cominciare a mettere un piede in Ita- lia , e non avendo in questa provincia ami- ci , anzi essendoli, yjer li portamenti del Re Carlo, serrate tutle le porte , fu forzato pren- dere quelle amicizie che poteva ; e sareb- beli riuscito 11 pensiero , quando negli altri mancij"! non avesse fatto errore alcuno . Acquistala adunque il Re la Lombardia , si riguadagnò subito quella riputazione che ^li aveva tolta Carlo ; Genova cedette , i IL J>RINC1PE. 17 Fiorentini gli diventarono amici , Marchese di Mantova , Duca di Ferrara , Bentivogli , Madonna di Furli , Signore di Faenza , di Pesaro , di Rimino , di Camerino , di Piom- bino , Lucchesi , Pisani , Sanesl , ognuno se li fece incontro per essere suo amico . Ed allora poterono considerare i \ iniziani la temerità del partito preso da loro , i quali, j>er acquistare due terre in Lombardia, fe- cero Signore il Re di duoi terzi d'Italia . Consideri ora uno con quanta poca diffi- cultà pf»teva il Re tenere in Italia la sua riputazione , se egli avesse osservate le re- gole sopraddette , e tenuti sicuri , e difesi tutti quelli amici suoi , li quali, per essere gran numero , e deboli e paurosi chi della Chiosa, chi de'Viniziani , erano sempre ne- cessitati a star seco, e per il mezzo loro poteva facilmente assicurarsi di chi ci re- stava grande . Ma egli non prima fu in Milano, che fece il contrario , dando ajuto a Papa Alessandro , perchè egli occupasse la Romagna . Né si accorse con questa de- liberazione che faceva sé debole , toglien- dosi lì amici , e quelli che se li erano fit- tati in grembo, e la Chiesa grande, aggiu- gnendo allo spirituale che gli dà tanta au- torità , tanto temporale . E fatto un primo errore, fu costretto a seguitare ; intantochè, per porre fine all'ambizione di Alessandro , e perchè non divenisse Signore di Toscana , gli fu forza venire in Italia . E non gli ba- stò aver fatto grande la Chiesa, e toltisi gli Mach. Voi. 1. z j8 IL PRINCIPE. amici , elle per volere il Regno di I^apoU , lo divise COI) il Pie di Spagna ; e dove egli era prima arbitro d' Italia , vi messe un compagno , acciocché gli ambiziosi di quel' la provincia e malcontenti di lui avessero dove ricorrere ; e dove poteva lasciare in quel Regno un Re suo pensionarlo , egli ne lo trasse per mettervi uno che potesse cac- ciarne lui . E cosa veramente molto natu- rale e ordinaria desiderare di acquistare, e sempre , quando gli uomini lo l'anno che possino , ne saranno laudali e non biasi- mali ; ma quando non possono e vogliono farlo in ogni modo , qui è il biasimo e l'errore , Se Francia adunque con le sue forze poteva assaltare Napoli , doveva farlo; se non poteva , non doveva dividerlo. E se la divisione che fece con i Vinizlani di Lombardia , meritò scusa per aver con quella messo il pie in Italia, questa meritò biasimo per non essere sensato da quella uecessità . Aveva adunque Luigi fatto que- sti cinque errori : spenti i minori potenti ; accresciulo in Italia potenza a un potente ; messo in quella un forestiere potentissimo ; non venuto ad abitarvi ; non vi messo co- lonie . Li quali errori, vivendo lui, poteva- no ancora non Io offendere, se non avesse fatto il sesto, di torre lo Stato a* Vinizlani ; perchè quando non ascs^e fatto grande la Chiesa, né messo in Italia Spagna, era bea ragionevole e necessario abbassarli ; ma , Avendo preso quelli primi partiti , non do- IL PRINCIPE. la veva mai consentire alla rovina loro ; per- che; essendo quelli potenti , arebbono sem- pre (enuli gli altri discosto dalla impresa di Lombardia , sì perchè i Vinizlani non vi arebbcro consentito, senza diveutarne Si- gnori loro ; sì perchè gli altri non arebbc- ro voluto torla a Francia per darla a loro; e andarli ad urtare ambidui non arebbero avuto animo . E se alcun dicesse, il Re Luigi cede ad Alessandro la Romagna , ed a Spagna il Regno y)er l'uggire una guerra ; rispondo con le ragioni dette di sopra, che non si debba mai lasciar seguire uno disor- dine per fuggire una guerra ; perchè ella non si fu^i^e , ma si ditTerisce a tuo dìsav- vantaggio . E se alcuni altri allegassero la fede , che il Re aveva data al Papa, di far per lui quella impresa per la risoluzione del suo matrimonio, e per il Cappello di Roano, rispondo con quello ciie per me di sotto si dirà circa la lede dei Piincipi , e come ella si debba osservare . Ha perduto dunque il Re Luigi la ì Lombardia per non avere osservato alcuno di quelli termini os- servali da altri , che hanno preso provin- cic , e volutele tenere . Nò è miracolo al- cuno questo , ma molto ragionevole ed or- dinario . E di questa materia parlai a Nan- tes con Roano , quando il A aienlino , che così volgarmente era chiamato Cesare Bor- gia figliuolo di Papa Alessandro , occupava la Romagna ; perchè dicendomi il Cardina- le Roano , che gì' Italiani non s''intendevano 20 IL PRINCIPE. della guerra , io risposi , che i Francesi non s'intendevano dello Stato » perchè^ in- tendendosene , non lascerebbono venire la Chiesa in tanta grandezza . E per esperien- za si è visto , che la grandezza in Italia di quella , e di Spagna , è stata causata da Francia , e la rovina sua è proceduta da loro . Di che si cava una regola geneiale, quale non mai , o raro falla , che chi è cagione che uno diventi pofente , rovina ; peichè quella potenza è causata da colui o con industria , o con forza , e l'una e l'al- tra di queste due è sospetta a chi è dive- nuto potente . CAPITOLO IV. Perchè il Regno di Darlo da Alessandro occupato non si ribellò dalli successori di Alessandro dopo la morte sua . Considerate le difficultà _, le quali si hanno in tenere uno Stato acquistato di nuovo , potrebbe alcuno maravigliarsi , don- de nacque che Alessandro Magno diventò Signore dell' Asia in pochi anni, e, non l'avendo appena occupata, moii , donde pa- reva ragionevole che tutto quello Stato si ribellasse ; nondimeno li successori suoi se Io mantennero , e non cbbono a tenerselo altra difficultà , che quella che intra loro medesimi per propria ambizione nacque . IL PRINCIPE. 21 Rispondo come 1 Principati, de' quali si ha memoria, si trovano governati in due modi diversi , o per un Principe, e tutti gli altri kSCi^vì , i quali come ministri per grazia e concessione sua ajutano governare quel Re- guo ; o per un Principe e per Baroni , i qnali non per grazia del Signore , ma per antichità di sangue tengono quel grado . Questi tali Baroni haimo Slati e sudditi propri , li quali gli riconoscono per Signori, ed hanno in loro naturale affezione . Quelli Stati che si governano per un Principe e per servi , hanno il loro Principe con più autorità ; perchè in tutta la sua provincia non è alcuno che riconosca per superiore se non lui ; e se uhbldiscono altro, lo fan- no come a ministro e ufficiale, e non gli portano particolare amore . Gli esempi di queste due diversità di governi sono, ne no- stri tempi , il Turco e il Re di Francia . Tutta la monarchia del Turco è governata da un Signore; gli altri sono suoi servi; e distinguendo il suo Regno in Saugiacchi, vi manda diversi amministratori , e gli muta e varia come pare a lui. Ma il Re di Fran- cia è posto in mezzo di una moltitudine antica di Signori ricognosciuti da' loro sud- diti, ed amati da quelli; hanno le loro preminenzie ; ne le può il Re torre loro senza suo pericolo . Chi considera adunque l'uno e l'altro di questi Stati , troverà dif- ficultà neir acquistare lo Stato del Turco ; ma vinto che sia, è facilità grande a tenera 22 IL PRINCIPE. lo . Le caj^ioni delle diffìcullà in potere oe- ctij>are il Regno del Turco sono , per non potere roccu})atorc essere chiamalo da'Priu- cìpi di quel Rcirno, né sperare con la ri- bellione di quelli ch'egli ha d'intorno, po- tere facilitare la sua impresa ; il che nasce dalle ragioni sopraddelte. Perchè essendogli tutti schiavi ed ohi)ligali , si possono con più difficultà corrompere ; e quando bene si corrompesslno , se ne può sperare poco utile , non potendo quelli tirarsi dietro i popoli per le ragioni assegnate. Onde a chi assalta il Turco è necessario jiensarc di averlo a trovare unito , e li conviene spe- rare più nelle forze proprie , che ne' disor- dini di altri ; ma vinto che fusse , e rotto alla campagna , in modo che non possa ri- fare eserciti , non s'ha da dubitare d'altro, patria ne fu nobilitata , e diventò felicissima . Quelli i quali per vie virtuose simili a costoro di- ventano Principi , acquistano il Principato con vii acuità _, ma con facilità lo tengono ; e le difficullà die hanno neiracquistare il Principato, nascono in parte da' nuovi ordi- ni e medi , che sorio forzati introduiTC per fondare lo Stato loro e la loro sicurtà . E debbesi considerare come non è cosa più difficile a trattare , né più dubbia a riu- scire , nò più pericolosa a maneggiare, che farsi capo ad introdurre nuovi ordini. Per- chè r introduttore ha per nimici tutti co- I L r R I N e I P E . 29 loro che degli ordini vecchi fanno bene ; e tejìidi difensori lutll quelli che degli ordini nuovi farebbono bene ; la qual tepidezza nasce parte per paura degli avversari , che hanno le leggi in beneficio loro , parte dal- la incredulità degli uomini , i quali non credono in verità le cose nuove, se non ne veggono nata esperienza ferma . Donde na- sce che qualunque volta quelli che sono nimici, hanno occasione di assaltare, lo^fwi- no pyrziaìraente , e quelli altri difendono tepidamente, in modo che insieme con loro si periclita . E necessario pertanto , volendo discorrere bene questa parte , esaminare se questi innovatori stanno per lor medesimi , o se dipendano da altri , cioè se per con- durre l'opera loro bisogna che preghino , ovvero possono forzare . iNel primo caso ca- pitano sempre male , e non conducono co- sa alcuna ; ma qYiando dependono da loro proprii , e possono forzare , allora è che rade volte periclitano . Di qui nacque che tutti li Profeti armati vinsono , e li disar- mati rovinarono ; perchè oltre le cose det- te , la natura de' popoli è varia ^ ed è faci- le a persuadere loro una cosa , ma è diffi- cile fermargli in quella persuasione. E però conviene essere ordinato in modo, che, quan- do non credono più, si possa far loro cre- dere per forza. Moisè , Ciro , Teseo , e R.o- mulo non arebbono potuto fare osservare lungamente le loro costituzioni , se fussero stali disarmati, come ne' nostri tempi inter- 3o IL PRINCIPE. venne a Frate Girolamo Savonarola, il qua- le rovinò ne' suoi ordini nuovi , come la moltitudine cominciò a non credergli, e lui non aveva il modo da tenere fermi quelli che avevano creduto , nò a far credere i discredenti . Però questi tali hanno nel con- dursi gran difficultà , e tutti i loro pericoli sono tra via , e conviene che con la virtù gli superino; ma superati che gli hanno , e che cominciano ad essere in venerazione, avendo spenti quelli che di sua qualità gli avevano invidia, rimangono potenti , sicuri, onorati , e felici. A si alti esempi io voglio agglugnere un esempio minore ; ma bene ara qualche proporzione con quelli , e vo- glio mi basti per tutti gli altri simili ; e questo è Jerone Siracusano . Costui di pri- vato diventò Principe di Siracusa, ne an- cor egli cognobbe altro dalla fortuna , che l'occasione; perchè essendo i Siracusani op- pressi , l'elessono per loro capitano , donde meritò di esser fatto loro Principe; e fu di tanta virtù ancora in privata fortuna , che ehi ne scrive dice , che niente gli mancava a regnare , eccetto il Regno . Costui s|)cnse la milizia vecchia , ordinò la nuova , lasciò le amicizie antiche, prese delle nuove; e tcomc ebbe amicizie e soldati che fossero suoi, potette in su tale fondamento edifica- re osLiìì edificio ; tantoché e£;U durò assai r • • • P fatica m acquistare , e poca in mantenere . IL PRINCIPE. 3X CAPITOLO VII. De Principati nuovi , che con forze cCaUri e per fortuna si acquistano . Coloro i quali solamente per fortuna diventano di privati Principi , con poca fa- tica diventano , ma con assai si mantengo- no ; e non hanno dif(ì(-u]là alcuna tra via, perchè vi volano ; ma tutte le diftìcuUà nascono dappoi che vi sono posti. E questi tali sono quelli , a chi è concesso alcuno Slato o per danari , o per giazia di chi lo concede, come intervenne a molti in Gre-- eia nelle città di Ionia, e dell'Ellesponto, dove furono fatti Principi da Dario , acciò le tenessero per sua sicurtà e gloria , come erano ancora fatti quelli Imperadori , che di privati per corruzione de' soldati perve- nivano allo Imperio . Questi stanno sempli- cemente in su la volontà e fortuna di chi gli ha fatti grandi , che sono due cose vo- lubilissime e instabili , e non sanno e non possono tenere quel grado ; non sanno, per- chè se jion è uomo di grande ingegno e virtù, non è ragionevole, che, essendo sem- pre vissuto in privata fortuna , sappia co- mandare ; non possono , y)erchè non hanno forze che gli possine essere amiche e fedelio BZ IL PRINCIPE. Dipoi gli Stati che vengono subito , come tutte le altre cose della natura che nasco- no e crescono presto , non possono avere le radici e corrispoudenzie loro , in modo che il primo tempo avverso non le spenga ; se già quelli , come è detto , che sì in un subito sono diventati Principi , non sono di tanta virtù , che quello che la fortuna ha messo loro in grembo , sappino subito pre- pararsi a conservare , e quelli fondamenti , che gli altri hanno fatti avanti che diventi- no Principi , gli faccino poi . Io voglio al- l'uno e all'altro di questi modi, circa il diventare Principe per virtù o per fortuna, addurre duoì esempi stati ne' dì della me- moria nostra ; e questi sono Francesco Sfor- za , e Cesare Borgia . Francesco , per li de- biti mezzi , e con una sua gran virtù , di privato diventò Duca di Milano, e quello che con mille affanni aveva acquistato, cou poca fatica mantenne . Dall'altra parte Ce- sare Borgia, chiamato dal vulgo Duca ta- lentino , acquistò lo Stato con la fortuna del padre , e con quella lo perdette , non- ostante che per lui si usasse ogni opera , e facessinsi tutte quelle cose che per un pru- dente e virtuoso uomo si dovevano fare per meltcre le radici sue in quelli Stati , che l'armi e fortuna di altri gli aveva concessi. Perchè , come di sopra si disse , chi non fa i fondamenti prima , gli potrebbe con una gran virtù fare dipoi ^ ancoraché si faccino con disagio dell'architettore, e pericolo del- ir, PRINCIPE. 33 lo edificio. Se adu^ique si considererà lutti i progressi del Duca , si vedrà quanto lui avesse fatto gran fondamenti alla futura po- tenza , li quali non giudico superfluo dis- correre , perchè io non saprei quali pre- cetti mi dare migliori ad un Principe nuo- vo , che lo esemjno delle azioni sue ; e se gli ordini suoi non gli giovarono , non fu sua colpa, perchè nacque da una slrasordi- naria ed estrema malignità di fortuna. Ave- va Alessandro VI nel voler far grande il Dnca suo figliuolo assai diifiicullà jresenti e future . Prima, non vedeva via di poter- lo far Signore di alcuno Slato , che non fusse Stato di Chiesa; e sapeva che il Duca di -Milano e i Viniziani non glielo consen- tirchbono , perchè Faenza e Rimino erano già sotto la protezione de' Viniziani. Vede- va, oltre a questo, le armi d'Italia , e quelle in spezie, di chi si fusse possulo servire, es- sere nelle mani di coloro che dovevano te- mere la grandezza del Papa ; e però non se ne poteva fidare , essendo tutte negli Or- sini , e Colonnesi, e loro seguaci. Era dun- que necessario che si turbassero quelli or- dini , e disordinare gli Stati d'Italia, per potersi insignorire sicuramente di parte di quelli ; il che gli fu facile; perchè trovò i Viniziani , che mossi da altre cagioni si era- no volti a fare ripassare i Francesi in Ita- lia ; il che non solamente non contraddis- se , ma fece più facile con la risoluzione del matrimonio antico del Re Luigi , Passò Mach, P^ol I. 3 34 II' PRINCIPE. aJimffiie il Re in Italia con raJLilo de'Vi- niziani e consenso di Alessandro; uè prima fu in Milano , che il Papa ebbe da lui gen- te per r impresa di Roinagna , Ja quale gli fu consentita per la riputazione del Re . Accfuislala adunque il Ì)uca la Romagna , e battuti i Glonnesi, volendo mantenere quella, e procedere più avanti, l'impedi- vano due cose : Tuna l'armi sue , cbe non gli parevano fedeli ; l'altra la volontà di Francia; cioè temeva che Tarmi Orsine, delle quali si era servilo , non gii mancas- sero sotto , e non solamente gì' impedissero Tacquislaie , ma gli togliessero l'acquistato; e che il Re ancora non gli facesse il simi- le . Degli Orsini ne ebbe uno riscontro , quando dopo l'espugnazione di Faenza as- saltò Bologna , che gli vide andare freddi in quello assalto . E circa il Re , cognolìbe l'animo suo, quando, preso il Ducalo di Ur- bino, assaltò la Toscana ; dalla quale impre- sa il Re lo fece desistere : otidechò il Duca deliberò non dipendere più dalla fortuna ed armi d'altri. E la prima cosa indebolì le parti Orsine e Colonnesi in Roma, percuè tulli gli aderenti loro, che fussino gentiluo- mini, si guadagnò , facendogli suoi gentiluo- mini , e, dando loro gran provvisioni, gli onorò , secondo le qualità loro , di condot- te e di governi ; in modo che in pochi mesi negli animi loro l'affezione delle parti si spense, e tutta si volse nel Duca . Dopo onesto appettò roccasione di spegnere gii IL PRINCIPE. 35 Orsini , avendo dispersi quelli di casa Co- lonna, la quale gli venne Lene, ed Cj^li l'usò meglio ; peirhè avvedutisi gli Orsini tardi che la grande/za del Duca e della Chiesa era la lor rovina , Cecero una dieta a Magione nel Perugino. Da quella nacque la ribellione di Urbino , e li tumulti di Romagna , ed infiniti pericoli del Duca , li quali superò tulli con l'aiuto de' Francesi ; e ritornatoli la riputazione , uè si fidando di Francia , né di altre forze esterne , per non le avere a cimentare si volse ngl' ingan- nì, e sepi^e tanto dissimulare l'animo suo, che gli Orsini, mediante il Signor Paulo, si riconciliarono seco , con il quale il Duca non mancò di ogni ragione di ufizio per assicurarlo, dandoli \este ^ danari, e caval- li; lantoclic la semplicità loro gli condusse a iSinigaj^lia nelle sue mani . Spenti adun- que questi capi, e ridotti li partigiani loro amici suoi , aveva il Duca gitlali assai buo- ni fondamenti alla potenza sua , avendo tutta la Romagna con il Ducato di Urbino, e guadagnatosi tulli quei })opoli, per avere incominciato a gustare il ben essere loro . E perchè questa parte è degna di notizia , e da essere imitata da altri , non voglio la- sciarla indietro . Preso che ebbe il Duca la Romaiina , trovandola essere stata comanda- ta da Signori impotenti, quali piuttosto ave- vano spoglialo i loro sudditi, che correttoli, e dato loro più materia di disunione, che di unioncj tantoché quella provincia era piena 36 I L P R I N e I P E . Ji latrocini, di Lrii^lie , e di ogni altra sor- te d'insolenza ; giudicò necessario, a volerla ridurre pacifica ed obbediente al braccio regio , pose Messer Ramiro d'Orco, uomo ciudele ed espedito , al quale dette pienissima po- testà. Costili in breve tempo la ridusse pa- citlca e uni!a con grandissima riputazione . Dipoi giudicò il Dnca non essere a propo- sito sì eccessiva autorità , perchè dubitava non diventasse odiosa ; e pre: o^evì un giu- dizio civile nel mezzo della provincia, con un Presidente eccellentissimo , dove ogni città avea l'avvocato suo . E perchè cogno- sceva le rigorosità passate avergli generato qualche odio , per purgare g!i animi di quelli popoli , e guadagtiarsegli in tutto , volse mostrare, che se crudeltà alcuna era seguita , non era nata da lui , ma dall'acer- ba natura del ministro. E, preso sopra que- sto occasione , lo fece mettere una mattina in duo pezzi a Cesena in su la piazza con lui pezzo di ìegno e un coltello sanguinoso a canto . La l'erocità del quale spettacolo fece quelli popoli in un tempo rimanere soddisfatti e stupidi . Ma torniamo donde noi partimmo. Dico, che trovandosi il Duca assai ])olente , ed in parte assicurato de pre- senti pericoli , per essersi armato a suo modo, ed avere in buona ]iarte spente quel- le armi che vicine lo potevano offendere , li restava, volendo procedere con l'acqui- sto , il rispetto dì Francia , perchè cogno- I L P R I N e I P E . 37 sceva elle dal Re , il quale lardi si era av- veduto dell'eriore suo, non gli sarebbe S(^p- portalo . E cominciò per questo a cercare acuii Ì7.ie nuove, e vacillare con Francia, nella venuta che fecero i Francesi verso il Re^^uo di Napoli contro alll Spaf^uuoll cbe assediavano Gacla. E Tanimo suo era di assicurarsi di loro ; il che già saria presto riuscito, se Alessandro viveva . E questi fu- rono i governi suoi circa le cose presenti . Ma quanto alle future egli aveva da dubi- tare ; j-irima die un nuovo successore alla Chiesa non gli fusse amico, e cercasse tor- gli quello che Alessandro gli aveva dato ; e pensò farlo in quattro mudi . Primo, cou ispegnere tutti i sangui di quelli Signori che egli aveva spogliato, per torre al Papa quelle occasioni. Secon(l>i rosa gli era fa- cile . Ed egli mi disse ne' dì che fu creato Giulio IT, che avea pensato a Jullo quello ^he potesse nascere morendo il Padre , e a tutto aveva trovato rimedio , eccetto che nm pensò mai in su la sua morte di stare airora lui per morire . Raccolte adunque tute queste azioni del Duca , non saprei ripienderlo ; anzi mi pare, come io ho fat- to , di proporlo ad imitare a tutti coloro, che per fortuna e con Tarmi d'altii sono salili air imperio . Perchè egli avendo Fani- mo grande , e la sua intenzione alta , non si poteva governare allrimenle ; e solo si oppose alli suoi disegni la brevità della vita di Alessandro, e la sua infìrmità. Clii adun- que giudica necessario nel suo Piiucipafo nuovo assicurarsi degl inimici, guadagnarsi amici , vincere o per foiza o pei' fraude , farsi amare e temere da' popoli , seguire e riverire da' soldati , spegnere quelli che ti possono o debbono oifendere , e innovare con nuovi modi gli ordini antichi , essere severo e grato, niiigimnimo e liberale, spe- gnere la milizia infedele, creare della umo- va , mantenersi le Mnlci/ie de'Re e dclli Principi , in modo che ti abbino a benell- caie con grazia , o ad odendero rrn risnc'- to , non può trovare più freschi esempi , 4© I L P R 1 N e I P E . che le azioni di costui . Solamente si può accusarlo nella creazione di Giulio II, -nella quale egli ebbe mala elezione; percbè , co- me è detto , non potendo fare un Papa a suo modo, poteva tenere che uno non fus- se Papa ; e non dovea acconsentire mai al Papato di quelli Cardinali , cbe lui avesse offesi , o che diventati Pontefici avessino ai aveie paura di lui . Perchè gli uomini o- fendouo o ])er paura , o per odio . Qudli che egli aveva offesi , ciano , tra gli altri , S. Pietro ad Vincula , Colonna, S. Giorgio, Ascanio . Tutti ^!i altri assunti al Poitifi- cato avevano da temerlo , eccetto Piociio e gli Spagnuoli . Questi per congiunzione e obbligo , quello per potenza , avendo con- giunto seco il Regno di Francia . Pertanto il Duca innanzi ad ogni cosa doveva creare Pa])a uno S]>agniio]o; e, non potendo, doveu consentire cbe fusse Roano , e non S. Pie- tro ad \ incula . E chi crede che ne' perso- naggi grandi i beneficii nuovi faccino di- menticare r ingiurie vecchie, s'inganna. Errò adunque il Duca in c[uesla elezione , e fu cagione dell'ultima rovina sua. V . CAPITOLO VITI. Di quelli Clic per scelleratezze sono pervenuti ai Principato . Ma percbè di privato si diventa anco- la in duoi mudi Principe , il che non si IL PRINCIPE. 41 ])iin al tutto, o alla fortuna, o alla virtù at- tribuire , non mi ]\ire da lasciargli indie- Ivo ^ ancora che dell uno si possa più dil- fnsfunente ragionare deve si trattasse delle RejM.bhliehe . Questi sono , quando o })er qualche via scellei-ala e nefaiia si ascende al Principato , o quando uno ]:)rivato citta- dino con il favore degli altri suoi cittadini diventa Principe della sua patria . E , par- lando del primo modo , si mostrerà con duoi esempi , 1 uno antico , Faltro moder- no , senza entrare altrimenti ne'raeriti di questa parte, ])erchè giudico che bastino a chi fusse necessitato imitargli . Agatocle Si- ciliano, non solo di privata, ma d infima ed abietta fortuna, divenne Pie di Siracusa. Costui nato di un orciolajo , tenne sem])re per i gradi della sua fortuna vita scelleia- ta . Nondimanco accompagnò le sue scelle- ratezze con tanta virtù di animo e di cor- po , che voltosi alla milizia , per li irradi di ([uella pervenne ad essere Pretore eric<'li , e la gran- dezza dell'animo sno nel sopportare e su- perare le cose avverse, non si vede perchè egli abbi ad essere teoulo inferiore a qual- sisia eccellcutissimo Capitano . Nondimeno IL PRINCIPE. 43 lì sua efferata crudeltà ed inumanità , coii ìniìnite scelleratezze, non conseuloiio che sia tra li eccellcnl issimi uomini celebrato. ISon ìsi può adunque attribuire alia fortuna o alla virtù quello die senza l'una e Taltra fu da lui conseguilo . Ne' tempi nostri , re- gnante Alessandro VI, Oliverolto da Fermo, essendo più anni addietro rimaso piccolo , fu da un suo zio materno, chiamato Gio- vanni Fogliani , allevalo , e ne' primi tempi della sua gioventù dato a militare sotto Paulo ditelli, acciocché ripieno di quella disciplina pervenisse a qualche grado eccel- lente di milizia. Morto dipoi Paulo , militò sotto Vitellozzo suo fratello , ed in brevissi- mo tempo , per essere ingegnoso , e della persona e dell'animo gagliardo, diventò de' primi ucmini della sua milizia. Ma pa- rendogli cosa servile lo stare con altri ^ pen- sò, con Taluto di alcuni cittadini di Fermo, a'quali era più cara la servitù, che la liber- tà della loro patria , e con il favore Vitel- lesco , di occupare Fermo ; e scrisse a Gio- vanni Fogliani , come essendo stato più an- ni fuor di casa , voleva venire a veder lui e la sua ciltà, e in qualche parte ricogno- scere il suo patrimonio. E perchè non si era affaticato per altio, che j er acquistare onore , acciocclsè i suoi ciltadiiii vedes^ero come non aveva speso il tcm} o iuvnno , voleva venire onorevolmente , ed accompa- gnato da cento (avalli di suol amici e ser- vitori , e prcgavalo che fusse conlento or- 44 IL PRINCIPE. diuare che tla'Firmfini fiisse riceviiio ono- ratamente ; il che non solamente tornava onore a lui , ma a se proprio , essendo suo allievo . Non mancò pertanto Giovanni di alcuno oHìcio debito verso il nipote, e fat- tolo ricevere onoralainentc da' Fii mani, al- loggiò nelle case sue _, dove passato alcun giorno , ed atteso a ordinare quello che al- la sua fulura scelleratezza era necessario , fece un convito solennissimo , dove invitò Giovanni Fogliani e tutti li primi uomini di Fermo . Ed avuto che ebbero fine le vi- vande , e tutti gli altri intrattenimenti che in simili conviti si f;»nno , Oliverotto ad ar- te mosse certi ragionamenti gravi, parìanda della grandezza di Papa Alessandro e di Cesare suo figliuolo , e dell' imprese loro ; alii quali ragionamenti rispondendo Giovan- ni e gli altri , egli ad un tratto si rizzò , dicendo quelle essere cose da parlarne in più segreto luogo, e ritirossi in una came- ra, dove Giovanni e tutti gli altri cittadini gli andarono dietro . Nò prima furono po- sti a sedere , che da' luoghi segreti di quel- la uscirono sold;itl , che ammazzarono Gio- vanni e tutti gli altri. Dopo il quale omi- cidio montò OliveroUo a cavallo, e corse la terra, ed assediò nel palazzo il supremo magistrato ; tanto che ])er paura furono co- stretti ubbidirlo , e fermare un governo , del ({uale si fece P!Mnci]>e. E morti tutti qwelli che, per essere malcontenti, lo pote- viino olfendere, si corroborò con nuovi or- IL PRINCIPE. 45 dilli civili e militari ; in modo che in spa- 7Ìo di un anno che tenne il Principalo , non solamente egli era sicuro nella città di Fermo, ma era diventato formidabile a tutti li suoi vicini ; e sarebbe slata la sua espu- gnazione diftìcile come quella di Aij;atocIe , se non si fusse lasciato ingannare da Cesare Borgia , quando a Sinigaglia , come di so- pra si disse , prese gli Drsini e Vitelli , do- ve, ])reso ancora lui, un anno dopo il com- messo j)arricidIo , lu insieme con Yilelloz- zo , il quale aveva avuto maestro delle vir- tù e scelleratezze sue , strangolato. Potrebbe alcuno dubitare doodc nascesse che Amato- rie ed alcuno simile, dopo iniìnili tradi- menti e crudeltà, potette vivere lungamen- te sicui'O nella sua patria , e difendersi da- gl' inimici esterni, e da' suoi cittadini n. n gli fn mai conspirato contra ; conciossiachè molti altri, mediante la crudeltà, non abbi- no mai possuto ancora ne' tempi paciiici manterjere lo Stalo, nonché ne' tempi dub- biosi di guerre . Credo che questo avvenga dalle crudeltà male o bene usate . Bene ii>ate si possono chiamare quelle , se del male è lecito dire bene , che si fanno una sol volta per necessità dell'assicurarsi , e di- poi non vi s'insiste dentro, ma si conver- tiscono in più utilità de' sudditi che si può. Le male usate sono quelle, quali , ancora che di principio siano poche , crescono pini- tosto col tempo, che le si spengliino. Coloro che osierverunno quel primo modo , posso- 4b IL PRINCIPE. no con Dio e con gli uomini avere allo Sta- to loro ([Tulclie rimedio , come ebbe Agato- cle . Quelli altri è impossibile che si man- leng'iino. Ontle è da notare, che nel piglia- re uno Stalo, debbe J'occupatore di esso discorrei'e e fare tutte le crudeltà in uu tratto , e per non avere a ritornarvi ogni dì , e per potere, non le innovando, assicu- rare gli uomini , e guadagnarseli con bene- ficargli . Chi fa altrimeule per timidità o per mal consiglio , è sempre necessitato te- nere il coltello in mano, uè mai si può fondare sopra i suoi sudditi, non si poten- do quelli, per le continue e fresche ingiurie, assicurare di lui . Perchè le ingiurie si deb- bono fare tutte insieme , acciocché, assapo- ran<^losi meno , offendino meno ; li benehcii £Ì debbono fare a jìoco a poco , acciocché si assaporino meglio . E deve sopra tutto un Principe vivere con li suoi sudditi in modo che nessuno accidente o di male , o di bene lo abbia a far variare ; perchè, ve- nendo per li tempi avversi la necessità , tu non siei a tempo al male ; ed il bene che tu fai, non li giova , perchè è giudicato for- zato , e non grado alcuno ne riporti . - '. CAPITOLO IX. , ' . r. . 2)qI Principato civile. IMa venendo all'altra parie quando un Principe cittadino , non per scelleratezza o II. PRINCIPE. 47 «Itrn intolleral)ile violenza , ma con il favo- re tle^li altri suoi rit ladini diventa Principe delia sua patria , il quale si può chiamare Principiito civile, ne al pervenirvi è neces- sario o tiilta virtù, o tutta fortuna, ma piut- tosto un'astuzia fortunata; dico, cUesi accen- de a questo Principato o col favore del po- polo , o col favore de' grandi . Feichè in ogni città si trovano questi duoi umori di- versi , e nascono da questo , che il popolo desidera non esser comandato né oppresso da' grandi , e i grandi desiderano coman- dare ed opprimere il popolo ; e da c[uesti duoi a])peiiti diversi sjirge nelle città uno de' tre effetti , o Principato , o Libertà , o Licenza . Il Principato è causalo o dal po- polo, o da' grandi, ^sccondocliè Tutia,©! al- tra di queste parti ne ha l'occasione ; per- chè vedendo i grandi non poter resistere al popolo , cominciano a Aoltare la rijiula.- zione ad un di loro , e lo fanno Principe per poter sotto l'ombra sua sfogare l'ppe- tito loro . 11 popolo ancora volta la riputa- zione ad un solo , vedendo non poter resi- stere alli grandi , e lo fa Principe per es- sere con l'autorità sua difeso . Colui che viene al Principato con l'aiuto de' grandi , si mantiene con più difhcultà , che quello che diventa con l'aiuto del popolo ; perchè si trova Principe con di molti intorno che a loro pare essere eguali a lui ; e per que- sto non gli può né eomandaie, ne maneg- giare a suo modo . IMa colui che arriva al 48 IL PRINCIPE. Princlp.ito con il favor popolare , vi sì tro- va solo, ed ha intorno o nessuno o pochis- simi che non sieno p^irati ad ubbidire . Ol- tre n questo non si può con onestà satis- fare a' glandi , e senza ingiuria d'altri, ma sibbene al popolo; perchè quello del popo- lo è più onesto une, che quel de' grandi , volendo questi opprimere, e quello non es- sere oppresso . Aggiungesi ancora, che del popolo nimico il Principe non si può mai assicurare per essere troppi ; de' grandi si può assicurare per esser pochi . Il peggio che possa aspettare un Principe dal popolo nimico , è l'essere abbandonato da lui ; ma da' grandi nimici, non solo debbe temere di essere abbandonato , ma che ancor loro gli venghino contro ; perchè essendo in quel- li più vedere e più astuzia, avanzano sem- pre tempo per salvarsi , e cercano gratli con quello che sperano che vinca. E necessitato ancora il Piincipe vivere sempre con quel medesimo popolo , ma può ben fare senza quelli medesimi grandi , potendo farne e disfarne ogni dì, e torre e dare, quando li piace, riputazione loro. E per chiarire me- glio questa pnrte dico , come i grandi si debbono considerare in duoi modi princi- palmente, cioè o si governano in modo col procedere loro che si obbligano in tutto alla tua fortuna, o no: quelli che si ob- bligano , e non sieno rapaci , si debbono onorare ed amare ; quelli che non si obbli- gano , si hanno a considerare in duoi mo- ILPRINCIPE. 49 di ; o fanno questo per pusillanimità e di- fettx) naturale crauimo , ed allora li debbi servir di loro, e di quelli massime che so- no di buon consiglio , perchè nelle prospe- rità te ne onori , e nelle avversità non hai da temere . Ma quando non si obblijj;ano ad arte -, e per cagione ambiziosa , è segno come e' pensano più a sé, che a le . E da quelli si deve il Principe guardnrc , e tener- gli come se fussero scoperti nimici , perchè sempre nelle avversità l'aiuteranno rovina- re . Debbe pertanto uno che diventa Prin- cipe per favore del popolo , mantenerselo amico; il che gli Ila facile , non domandan- do lui se non di non essere oppresso . Ma uno che contro il popolo diventi Principe con il favor de' grandi , deve innanzi ad ogni altra cosa cercare di guadagnarsi il popolo; il che gli fia facile, quando piglila protezione sua . E perchè gli uomini, quan- do hanno bene da chi credevano aver ma- le , si obbligano ])iii al beneficatore loro , diventa il popolo suddito più suo benevolo, che se si fosse condotto al Principato per li suoi favoi-i ; e puosselo il Principe gua- dagnare in molti modi , li quali perchè va- riano secondo il suggello , non se ne può dare certa redola; però si lasceranno indie- tro . Condì inderò solo che ad un Principe è necessario avere il po])olo amico , altri- menti non ha nelle avversità rimedio . Na- Ijide Principe degli Spartani sostenne lossi- dione di lui la la Grecia, e di uno esercito Mach. Voi. I, 4 So ÌL PRINCIPE. Romano vittoriosissimo , e difese coixtro a qudli la patria sua e il suo Stato , e gli bastò solo , sopravvenendo il pericolo , assi- curarsi di pochi . Glie se egli avesse avuto il popolo nemico , questo non gli bastava . E non sia alcuno die ripugni a questa mia opinione con quel proverbio tri lo, che chi fonda iìi sul populo , fonda in sul fango ; perchè quello è vero , quando un cittadino privato vi fa su fondamento , e dassi ad in- tendere che il popolo lo liberi quando esso fusse oppresso dagl'inimici , o da' magistra- ti ; in f|uesto caso si potrebbe trovare spes- so inoannato , come intervenne in Roma a' Oraceli i , ed in Firenze a Messer Giorgio Scali . Ma essendo un Principe quello che sopra vi si fonda , che possa comandare , e sia un uomo di cuore , né si sbigottisca nel- le avversila , e non manchi delle altre pre- parazioni, e tenga con l'animo e ordini suoi animato Tuniversale , non si troverà ingan- nato da lui , e gli parrà aver fatti i suoi fondamenti buoni . Sogliono questi Princi- pati periclitare quando sono per salire dall'ordine civile allo assoluto ; perchè que- sti Principi o comandano per loro medesi- mi, o per mezzo de' magistrati . NcU'idtimo caso è più debole e più pericoloso lo Stato loro, jìerchè egli stanno al tutto con la vo- lontà rli quelli cittadini , che sono preposti a' magistrali , li quali, massimamente ne' tempi avversi , gli ptìssono torre con facili- tà grande lo Slato o eoa fargli contro , o IL PRINCIPE. 5r col non rubbidire ; e il Principe non è a tempo ne' pericoli a pigliare raiitorilà asso- luta , perchè li cittadini, e sudditi, che so- gliono avere li comandamenti da' magistrati , ijon sono in quelli frangenti per ubbidire a' suoi , ed ara sempre ne' tempi dubbi pe- nuria di chi si possa fidare . Perchè simil Principe non può fondarsi sopra quello che vede ne tempi quieti , quando i cittadini hanno bisogno dello Stalo ; perchè allora ognuno corre , ognuno promette , e ciascu- no vuole morire per lui quando la morte è discosto ; ma ne' tempi avversi , quando lo Stato ha bisogno de' cittadini , allora se ne trova ])ochi . E tanto più è questa espe- rienza pericolosa , quanto la non si può fa- re se non una volta . Però un Principe sa- vio deve pensare un modo, per il quale li suoi cittadini sempre , ed in ogni modo e qualità di tempo, abbino bisogno dello Sta- to di lui , e sempre poi gli saranno fedeli . CAPITOLO X. Jn che ììiodo le forze di tutti i Principati si debbino misurare . Conviene avere , nell' esaminare le qua- lità di questi Principati , un' altra conside- razione ; cioè se un Principe ha tanto Sta- to , che possa, bisognando, per sé medesimo leggersi , ovvero se ha sempre necessità del- la dcfenbiouc d'altri. E, per chiarire meglio 62 IL PRINCIPE. cjuesta parie, dico, come io giudico potersi coloro reggere per sé medesimi , che posso- no o per abboiidanzia d'uomini, o di da- nari mettere insieme un esercito giusto , e fare una giornata con cjualunque li ^ieue ad assaltare; e cosi giudico coloro aver sempi'e necessità d'altri , che non possono comparire contro gli inimici in campagna , ma sono necessitati rifuggirsi dentro alle mura , e guardare quelle . JNel primo caso si è discorso ; e per l'avvenire diremo quel- lo che ne <;cc()rre. INel secondo caso nou 8Ì può dire altio , salvo che confortare tali Principi a munire e Ibitifìcare la terra pro- pria , e de) paese non tenere alcun conto . E qualunque ara bene fortificata la sua ter- ra , e circa gli altri governi con i sudditi si sia mane£[inato , come di sopra è detto , e di sotto SI cura , sarà sempre con gran rispetto assaltato ; perchè gli uomini sono sempre nimici delle imprese^ dove si vegga difficultà ; né si può vedere facilità assal- tando uno che abbia la sua terra gagliarda , e non sia odiato dal popolo. Le città d'Ale- magna sono libéralissime , hanno poco con- tado , ed ubbidiscono all' Imperadore quan- do le vogliono , e non temono ne questo , né ahro potente che l'abbino intorno, per- chè le sono in modo fortificate , che ciascu- no jiensa la espugnazione di esse dovere es- sere tediosa e diffìcile , perchè tutte hanno fossi , e mura convenienti , hanno artiglie- ria a sufficienza , e tengono sempre nelle TL PRINCIPE. 53 fianove pubbliche da wianglare e da bere , e da ardere per un anno . Etl olire a que- sto, per potere tenere la plebe pasciuta , e senza perdita del pubblico , hanno sempre in comune per un anno da poter dar loro da lavorare in quelli esercizi che siano il nervo e la vita di quella città , e dell' in- dustria de' quali la plebe si pasca; tengono ancora gli esercizi militari in riputazione , e sopra questo hanno molti ordini a man- tenerli . Un Principe adunque che abbia una città forte , e non si facci odiare, non può essere assaltato ; e se pur fusse chi la assaltasse , se ne partirebbe con vergogna ; perchè le cose del mondo sono sì varie , che egli è quasi impossibile che uno possa con gli eserciti stare un anno ozioso , e campeggiarlo . E chi replicasse , se il popo- lo ara le sue possessioni fuora , e veggale ardere , non ara pazienza ; e il lungo asse- dio e la carità propria gli farà sdimenticare il Principe ; rispondo che un Principe po- tente ed animoso supererà sempre c[uelle difficultà, dando ora speranza a' sudditi che il male non sia lungo , ora timore della crudeltà del nimico , ora assicurandosi con destrezza di quelli che gli paressouo troppo arditi . Oltre a questo il nimico debbe ra- gionevolmente ardere e rovinare il paese loro in su la giunta sua , e ne'lempi quan- do gli animi degli uomini sono ancora cal- di , e volenterosi alla difesa ; e però tanto meno il Principe debbe dubitare , perchè 54 IL PRINCIPE. dopo qualche giorno che gli animi sono raffredditi , sono di già fatti i danni , sono ricevuti i mali , e non vi è più rimedio ; ed allora tanto più si vengono ad unire col loro Principe , parendo che esso abbia con loro obbligo , essendo state loro arse le ca- se, e rovinate le possessioni per la difesa sua . E la natura degli uomini è , così ob- bligarsi per li beneficii che essi fanno , co- me per quelli che essi ricevono . Onde se si considera bene tutto, non fia difficile ad un Principe prudente tenere prima e poi fermi gli animi de^suoi cittadini nella ossi- dione , quando non gli manchi da vivere , uè da difendersi. CAPITOLO XI. De Principati Ecclesiastici , Restaci solamente al presente a ragio- nare de' Principati Ecclesiastici , circa i quali tutte le difficullà sono avanti che si posseg- ghino ; perchè si acquistano o per virtù , o per fortuna, e senza Tuna e l'altra si mantengono; perchè sono sostentati dagli ordini anticati nella Relii^ioue , quali sono tutti potenti , e di qualità , che tengono i loro Principati in istato , in qualunque mo- do si procedìno e vi vino. Costoro soli han- no Stati e non gli difendono , hanno sud- diti e non gli governano ; e gli Stati , per essere indifesi, non sono loro tolti; e li sud- IL P II I N 0 l I' E , 55 diti, per non essere governati, non se ne cu* rane, né pensano nò possono alienarsi tU loro . Solo adunque questi Principati sono sicuri e felici . Ma essendo quelli retti da cagioni superiori , alle quali Ja mente uma- na non aggiugne , lascerò il parlarne , per- chè essendo esaltati e mantenuti da Dio , sarebl)e ufficio d'uomo presuntuoso e teme- r.irio il discorrerne. Nondiraanco se alcuno mi ricerca donde viene che la Chiesa nel temporale sia venuta a tanta grandezza , conciossiachè da Alessandro indietro i po- tentati Italiani , e non solamente quelli che si chiamano potentati , ma ogni Barone e Signore , benché minimo , quanto al tem- porale, la stimava poco ; e ora un Re di Francia ne trema , e V ha potuto cavare d'Italia, e rovinare i Viniziani ; ancoraché ciò noto sia, non mi pare superfluo ridur- lo in qualche parte alla memoria . Avanti che Carlo Re di Francia passasse in Italia ^ era questa provincia sotto l'imperio del Pa- pa , Viniziani , Re di Napoli , Duca di Mi- lano , e Fiorentini . Questi Potentati aveva- no ad avere due cure principali : l'una, che un forestiero non entrasse in Italia con Farmi ; l'altra , che nessuno di loro occu- passe più stato . Quelli , a chi s'aveva più cura , erano il Papa e Viniziani . Ed a te- nere addietro i Viniziani bisognava l'unione di tutti gii altri , come fu nella difesa di Ferrara ; e a tener basso il Papa si servi- vano de' Baroni di Roma , li quali essendo 56 |LPKI^'CIP^. divisi in due fazioni» Orsini e Colonnesi , sempre v'era cagione di scandoli tra loro» e stando con l'armi in mano in su gli oc- chi del Pontefice , tenevano il Pontificalo debole ed infermo . E benché surgesse qual- che volta un Papa animoso, come fu Sisto; pure la fortuna o il sapere non lo pc.lè inai disobblìgai-e da queste incomodità . E la brevità della vita loro ne era cagione , perchè in dieci anni che ragguagliato vive- va un Papa, a fatica che potesse abbassare l'una delie fazioni ; e se, per modo di par- lare i l'uno aveva quasi spenti i Colonnesi , surgeva un altro nimico agli Orsini , che gli faceva risurgere , e non era a tempo a spegnerli . Questo faceva che le forze tem- porali del Papa erano poco stimate in Ita- lia . Surse dipoi Alessandro VI , il quale di tutti li Pontefici che sono stati mai, mostrò quanto un Papa e con il danajo, e con le forze si poteva prevalere ; e fece con l'istru- mento del Duca Valentino, e con la occa- sione della passata de' Fran<;esi tutte quelle cose , che io ho discorso di so])ra nelle azio- ni del Duca . E benché l'intento suo non fusse di far grande la Chiesa , ma il Duca; nondimeno ciò che fece, toinò a grandezza della Chiesa , la quale dopo la sua morte , spento il Duca, fu erede delle fatiche sue. Venne dipoi Papa Giulio , e trovò la Chiesa grande , avendo tutta la Romagna , ed es- sendo spenti lutti li Baroni di Roma, e, per le battiuire. d'Alessaudro , annullate quelle IL principe; S^ fazioni ; e trovò ancora la via aperta al mo- do dcirarcuraulare denari , non mai più usitato da Alessandro indietro. Le quali co- se Giulio non solamente seguitò , ma ac- crebbe , e pensò guadagnarsi Bologna , e spegnere i Viuiziani , e cacciare i Francesi d'Italia; e tutte queste imprese gli riusci- rono , e con tanta più sua laude , quaul» fece ogni cosa per accrescere la Chiesa , e non alcun privalo . Mantenne ancora le parti Orsine e Colonnesi in quelli termini che le trovò; e benché tra loro fusse qual- che capo da fare alterazione, nientedimeno due cose gli ha tenuti fermi : l'una, la gran- dezza della Chiesa che gli sbigottisce; l'al- tra, il non avere loro Cardinali, quali sono origine di tumulti tra loro ; né mai staran- no quiete queste parli qualunque volta ab- bino Cardinali , perché questi nutriscono in Roma e fuori le parti , e quelli Baroni sono forzati a difenderle; e cosi dall'ambi- zione de'Prelati nascono le discordie e tu- multi tra' Baroni . Ha trovato adunque la Santità di Papa Leone questo Pontificato potentissimo , del quale si spera che se quelli lo fecero grande con l'armi, esso con la bontà ed infinite altre sue virtù lo fai'à grandissimo e venerando. 53 XLPRINCIPE. CAPITOLO XII. Quante siano le spezie della milizia , e de' soldati mercenari , Avendo discorso particolarmente tutte le qualità di quelli Principati , de'quali nel principio proposi di ragionare , e conside- rato in qualche parte le cagioni del bene e del male essere loro , e mostro i modi , con li quali molti hanno cerco di acqui- stargli e tenergli; mi resta ora a discorrere generalmente l'offese , e difese , che in cia- scuno dei prenominati possono accadere . Koi abbiamo detto di sopra come ad un Principe è necessario avere li suoi fonda- menti buoni ; altrimente di necessità con* viene che rovini . I principali fondamenti che abbino tutti gli Stati, cosi nuovi come vecchi, o misti , sono le buone leggi e le buone armi ; e perchè non possono essere buone leggi dove non sono buone armi , e, dove sono buone armi , conviene che siano buone leggi ; io lascierò indietro il ragiona- re delle leggi , e parlerò dell' armi . Dico adunque, che l'armi, con le quali un Prin- cipe difende il suo Stato, o le sono pro- prie , o le sono mercenarie , o ausiliari , o miste. Le mercenarie ed ausili.iri sono inu- tili e pericolose ; e se uno tiene lo Stato suo fondato in su l'armi mercenarie , non sarà mai fermo ne sicuro , perchè le sono IL I' R 1 N f; I P E . '.'ìCf disunite, ambiziose, e senza disciplina, in- fedeli, gagliarde tra gli amici, tra li iiimici v"!i , non lianno timore di Dio , non fede con gli nomini , e tanto si differisce la ro- vina , quanto si differisce l'assalto : e nella pace siei spogliato da loro , nella guerra da'uimici. La cagione di questo è , che non hanno altro amore, né altra cagione che le tenga in campo , che un poco di stipendio , il quale non è sufficiente a fare che e'vo- glino morire per te. Vogliono bene essere tuoi soldati mentre che tu non fai guerra; ma come la guerra viene , o fuggirsi , o andarsene . La qual cosa dovrei durar poca fatica a persuadere, perchè la rovina d'Ita- lia non è ora causata da altra cosa , che per essere in spazio di molti anni riposatasi in sull'armi mercenarie , le quali feciono già per qualcuno qualche progresso , e pa- revano gagliarde tra loro; ma, come venne, il forestiero , elle mostrarono quello che l'erano. Onde è che a Carlo Re di Francia fu lecito pigliare Italia col gesso; e chi di- ceva che ne erano cagione i peccati nostri, diceva il vero ; ma non erano già queUi che credeva , ma questi eh' io ho narrato . K perchè gli erano peccati di Principi , ne hanno patita la pena ancora loro . lo vo- glio dimostrare meglio la infelicità di que- ste arini . I capitani mercenari o sono uo- mini eccellenti , o no ; se sono , non te ne puoi fidare , perchè sempre aspirano alla grandezza propria o con l' opprimere te 6o IL PRINCIPE. che li siei padrone, o con l'opprimere alwi fuora della tua inlenzione ; ma se non è il capitano virtuoso, ti rovina per l'ordinario. E se si risponde, die qualunque ara Tarme in mano, farà questo medesimo , o merce- uario o no ; replicherei come l'armi hanno ad essere adoperate o da un Principe, o da tina Repubblica; il Principe deve andare in persona , e fare lui l'ufficio del capitano ; la Repubblica ha da mandare i suoi citta- dini ; e quando ne manda uno che non riesca valente , debbe cambiarlo ; e quando sia , tenerlo con le leggi che non ]>assi il segno . E per esperienza si vede i Principi soli, e le Repubbliche armate fare progressi grandissimi , e l'armi mercenarie non fare m^ai se non danno ; e con più difficoltà vie- ne air ubbidienza di un suo cittadino una Repubblica armata di armi proprie , che un'armata d'armi forestiere . Sterono Roma € Sparla molti secoli armate e libere . I Svizzeri sono armalissìmi e liberissimi. Del- l'armi mercenarie antiche, per esempio, ci sono li Cartaginesi , li (.[uali furono per es- sere oppressi da' loro soldati mercenari , fi- nita la prima guerra co' Romani , ancora- ché i Cartaginesi avessero per capitani pro- pri cittadini. Filippo Macedone fu fatto da' Tebani , dopo la morte di Epaminonda , capitano della loro gente , e tolse loro, do- po la vittoria, la libertà . 1 Milanesi , morto il Duca Filippo , soldarono Francesco Sfor- za contro a' Veneziani ; il quale , superati IL PRINCIPE. 6i li iiimici a Caravaggio , si congiunse eoa loro per opprimere i Milanesi suoi padro- ni . Sforza suo padre essendo soldato della Regina (Giovanna di Napoli , la lasciò in un tratto disarmata , onde ella, per non perde- re il Regno, l'u costretta gettarsi in grembo al Re d Aragona . E se i Yini/iani e Fio- rentini hanno accresciuto per 1 addietro lo imperlo loro con queste armi , e li loro capitani non se ne sono però faiti Princìpi, ma gli hanno difesi; rispondo, che gU Fio- rentini in (jnesto caso sono stati lavoriti dalla sorte ; perchè de' capitani virtuosi , li quali potevano temere , alcuni non hanno vinto, alcuni hanno avuto opposizioni, al- tri hanno volto l'ambizione loro altrove . Quello che non vinse, fu Giovanni Acuto , del quale, non vincendo, non si potea cono- scere la fede ; ma ognuno confesserà , che, Tinceudo, stavano i Fiorentini a sua rliscre- zione. Sforza ebbe sempje i Bipcceschi con- trari , che izuardarono l'uno l'altro . Fran- Cesco volse l'ambizione sua in Lombardia . Braccio contro la Chiesa e il Regno di Na- poli . Ma vegniamo a quello cbe è seguito poco tempo fa . Fecero i Fiorentini Faolo Aite-Ili loro capitano, uomo prudentissimo, e che di })ri\ala fortuna aveva pieso ripu- tazione grandissima . Se costui espugnava Pisa, veiuno fia che neghi come e' conve- niva a' Fiorentini stare seco ; perchè, se fus- 6e diventalo solelato de'loro nimici, non ave- vano rimedio , e, tenenelolo, avevajiio ad ub- fì2 ILPRINCIPE. bidirlo . I Viniziani , se si considera i, pro- gressi loro , si vedrà quelli sicuramente e gloriosamente avere operato , mentrcchè fe- cioiio guerra i loro propri , che i'u avanti che si volgessino con l'imprese in terra, dove con li gentiluomini e con la plebe ar- mata operarono virtuosamente ; ma co- m.e cominciarono a combattere in terra , lasciarono questa virtù, e seguitarono i co- stumi d' Italia . E nel principio dell' augu- niento loro in terra, per non avere molto stato, e per essere in gran riputazione, non avevano da temere molto de' loro capitani ; ma come essi ampliarono , che fu sotto il Carmignuola , ebbono un saggio di questo errore; perchè, vedutolo virtuosissimo , bat- tuto che ebbero sotto il suo governo il Du- ca di IMllano , e Cognoscendo dall'altra par- te come egli era freddo nella guerra , giu- dicarono non potere più vincere con lui , perchè non A'olevaao , né poteano licenziar- lo , per non perdere ciò che avevano acqui- stato ; ondechè furono necessitati, per assi- curarsi, di ammazzarlo. Hanno dipoi avuto per loro capitani Bartolommeo da Bergamo , lluberto da S. Severino, il Conte di Piti- gliano , e simili , con li quali avevano da temere della perdita , non del guadagno lo- ro ; come intervenne dipoi a Vaila , dove in una giornata perdcrono quello che in ottocento anni con tante fatiche avevano acquistato ; perchè da queste armi nascono solo i lenti , tardi e deboli acquisti , e le ILPRINCIPE. 63 subite e miracolose perdite . E perchè io sono venuto con questi esempi in Italia, la quale è stata governata già molti anni dal- l'armi mercenarie, le voglio discorrere più da alto ; acciocché veduta l' origine e pro- gressi di esse , si possano meglio correggere. Avete da intendere come, tostochè in que- sti ultimi tempi l' Imperio cominciò ad es- sere ributtato d'Italia, e che il Papa nel temporale vi prese più riputazione, si divi- se l'Italia in più Stati ; percbè molle delle città grosse presono Tarmi contro i loro no- bili , li quali prima, lavoriti dall' Imperado- le, le tenevano oppresse , e la Chiesa le l'a- voriva per darsi riputa/ione nel temporale; di multe altre i loro cittadini ne diventaro- no Princijoi . Ondechè, essendo venuta l'Ita- lia quasi in mano della Chiesa , e di qual- che Repubblica, ed essendo quelli Preti e quelli altri Cardinali usi a non cognoscere l'armi , incominciarono a soklare forestieri . Il primo che dette riputazione a questa mi- lizia, fu Alberigo da Como Romagnuolo . Dalla disciplina di costui discese tia gli al- tri Braccio e Sforza, cbe ne^loro tempi fu- rono arbitri d' Italia . Dopo questi vennero lutti gli altri , clic fino a' nostri tempi ban- no governate l'armi d'Italia; ed il fine del- le loro virtù è stato , che quella è stata corsa da Carlo , predata da Luigi , forzata da Ferrando , e vituperata da' Svizzeri , L' ordine che loro hanno tenuto , è stato , ])rima per dare riputazione a loro propri. 64 IL PRINCIPE. aver tolto riputazione alle fanterie. Feciono «iiesto pcrcliè essendo senza Stato , e iu su 1 industria , i pochi fanti non davano loro riputazione , e li assai non potevano nutri- re ; e però si ridussero a' cavalli , dove con numero sopportabile erano nutriti e onora- ti ; ed erano le cose ridotte in termine, che in un esercito di ventimila soldati non si trovavano duemila fanti . Avevano , olti e a questo , usato ogni industria per levar via a se , e a' soldati la fatica e la paura , non s'ammazzando nelle zuffe , ma pigìiandcsi prigioni e senza taglia . Non traevano di notte alle terre , quelli delle terre non trae- vano di notte alle tende, non facevano in- torno al campo né steccato nò fossa, non campeggiavano il verno. E tutte queste co- se erano permesse ne' loro ordini militari» e trovate da loro per fuggire , come è det- to , e la fatica ed i pericoli; tanto che essi hanno condotta Italia schiava e vituperata. CAPITOLO XUL De soldati ausiliari, misti, e propri . L'armi ausiliarie, che sono le altre ar- mi inutili , sono quando si chiama un po- tente ;, clic con l'ai mi sue ti venga ad aju- tare e difenclcre , come fece ne' prossimi tempi Papa Giulio, il quale, avendo visto neir impresa di Ferrara la trista prova delle I L P R I N e I P E. 65 sue armi mercenarie, si volse alle ausiliarie, e convellile con Ferrando Re di Spagna , che con le sue genti ed eserciti dovesse ajutarlo . Queste armi possono essere utili e buone per loro medesime, ma sono per chi le chiama sempre dannose ; perchè per- dendo rimani disfatto , vincendo resti loro prigione . E ancora che di questi e^jempi ne sieno piene l'antiche istorie ; uondimanco io non mi voglio partire da questo esempio di Papa Giulio li , quale è ancora fresco , il partito del quale non potè essere manco considerato , per volere Ferrara , mettendosi tutto nelle mani d'uno forestiere. Ma la sua buona fortuna fece nascere una terza causa , acciò non cogliesse il frutto della sua mala elezione ; perchè , essendo gli au- siliari suoi rotti a Ravenna , e surgendo gli Svizzeri che cacciarono i vincitori fuora d'cgiii opinione e sua , e d'altri , venne a non rimanere prigione degli inimici, essendo fugati , né degli ausiliari suoi, avendo vinto con altre armi, che con le loro, l Fioren- tini essendo al tutto disarmati condussero diecimila Francesi a Pisa per espugnarla ; per il qual partito porUiro^o più pericolo, che in qualunque tempo de' travagli loro . Lo lm)>eradore di Costantinopoli , per op- porsi al li suoi vicini , mise in Gjecia dieci- mila Turchi, li quali, finita la guerra, non se ne volsero partire ; il che fu principio della servitù della Grecia con gì' infedeli . Colni adunque che vuole non poter vin- Mach, VgL 1, 5 66 I L P R I ?x' e I P E. cere , si voglia di queste armi , perchè so- no molto più pericolose , che le mei-cciia- rie ; perche in queste è la rovina fatta , sono tutte unite , tutte volte all' obbedien- za di altri ; ma nelle mercenarie , ad of- fenderti , vinto che elle hanno , bisogna più tempo , e maggiore occasione , non essendo tutte un corpo , ed essendo tro- vate e pagate da te , nelle quali un ter- zo che tu facci capo , non può pigliare subito tanta autorità che ti offenda . In somma nelle mercenarie è più pericolosa la ignavia , nelle ausiliarie la virtù . Un Principe pertanto savio sempre ha fuggito queste armi , e voltosi alle proprie , e vo- luta piuttosto perdere con le sue, che vin- cere con l'altrui , giudicando non vera vit- toria quella che con Farmi d'altri si acqui- stasse . lo non dubiterò mai di allegare Cesare Borgia , e le vSue azioni . Questo Duca entrò in Romagna con le armi ausi- liarie, conducendovi tutte genti Francesi, e con quelle prese Imola e Furlì; ma, non li parendo poi tali armi sicure , si volse alle mercenarie , giudicando in quelle manco pericolo , e soldo gli Orsini e Vitelli ; le quali poi nel maneggiare trovando dubbie, infedeli, e pericolose, le spense e valsesi alle proprie . E puossi facilmente vedere che differenza sia tra l'una e l'altra di queste armi, considerato che differenza fu dalla riputazione del Duca quando aveva gli Orsini e Vitelli , e quando rimase con I L P R I N e I P E. 6n gli soldati suoi , e sopra di sé stesso , e si troverà sempre accresciuta ; uè mai fu sti- mato assai , se nou quando ciascuno vide che egli era intero possessore delle sue ar- mi . Io nou mi volevo partire dagli esempi Italiani e freschi : pure non voglio lasciare indietro Jerone Siracusano , essendo uno de' sopra nominati da me . Costui , come di già dissi , fatto dalli Siracusani capo de- gli eserciti , cognobbe subito quella jnihzia mercenaria non essere utile , per essere conduttori fatti come li nostri Italiani , e parendogli nou gli poter tenere uè lasciare, gli fece tutti tagliare a pezzi ; dipoi fece guerra con Tarmi sue, e non con l'altrui. Voglio ancora ridurre a memoria una fi- gura del Testamento Vecchio fatta a questo proposito . Offerendosi David a Saul di andare a combattere con Golia ])rovocatore Filisteo , Saul , per dargli animo, l'armò del- l' armi sue , le quali come David ebbe indosso , ricusò, dicendo , con quelle non si potere ben valere di sé si esso ; e però vo- leva trovare il nimico con la sua fromba , e con il suo coltello . In somma Tarmi d'altri o le ti cascono di dosso , o elle ti pesano , o le ti stringono. Carlo Vii padre del Re Luigi XI avendo con la sua fortu- na e virtù libera la Francia dagT Inglesi , cognobbe questa necessità di armarsi d'armi proprie, ed ordinò nel suo regno l'ordi- nanze delle genti di arme e delle fanterie . Dipoi il Re Luigi suo figliuolo spense quella 68 ILPRINCIPE. de' fault , e cominciò a soldare Svizzeri ; il quale errore seguitato dagli altri , è , come si vede ora in latto, cagione de' ])ericoli di quel Regno. Perchè, avendo dato riputa- zione a' S^dzzeri , ha invilito tutte Farmi sue , perchè le fanterie ha spento in tutto, e le sue genti d'arme ha obbligate all' arme d'altri , perchè essendo assuefatti a militare con Svizzeri , non pare loro di poter vin- cere senza essi. Di qui nasce, che gli Fran- cesi contro a' Svizzeri non bastano , e senza i Svizzeri contro ad altri non provano . Sono adunque stati gli eserciti di Francia misti, parte mercenari, e parte propri; le quali arme tutte insieme sono molto mi- gliori, che le semplici mercenarie, o le sem- piici ausiliarie , e molto inferiori alle pro- prie. E basti l'esempio detto, perchè il Re- gno di Francia sarebbe insuperabile , se l'ordine di Carlo era accresciuto o preser- vato . Ma la poca prudenza degli uomini comincia una cosa , che per sapere allora di buono non manifesta il veleno che v' è sotto , come io dissi di sopra delle febbri etiche . Pertanto se colui che è in un Principato , non cognosce i mali se non quando nascono, non è veramente savio; e questo è dato a pochi . E se si consi- derasse la prima rovina dell' Imperio Ko- maiio , si troverà essere stato solo il co- minciare a soldare i Goti ; perchè da quel principio cominciarono ad enervare le forze dell' Imperio Romano; e tutta quella virtù IL PRINCIPE. 69 clic si levava da lui , si dava a loro . Con- cliiudo adunque , che , senza avere arme proprie, nessuno Princi])ato è sicuro ; anzi tutto obbligato alla fortuna , non avendo virtù che nell' avversità lo difenda . E fu sempre opinione e sentenzia degli uomini savi , che niente sia cosi infermo ed insta- bile , come è la fama della potenza non fondata nelle forze proprie. E l'arme pro- prie sono quelle che sono composte di sud- diti , o di cittadini , o di creati tuoi ; tutte r altre sono o mercenarie , o ausiliarie . E il modo ad ordinare 1' arme proprie sarà facile a hovare , se si discorreranno gli or- dini sopra nominati da me; e se si vedrà come Filippo , padre di Alessandro Ma- gno , e come molte Repubbliche e Princi- pi si sono armali ed ordinati ; a' quali or- dini io mi rimetto al tutto . CAPITOLO XIV. , Quello che al Principe si appartenga circa la milizia. Deve adunque un Principe non avere altro oggetto , nò altro pensiero , né pren- dere cosa alcuna per sua arte , fuori della guerra, ed ordini e disciplina di essa; per- chè quella è sola arte che si aspetta a chi comanda; ed è di tanta virtù, che non solo mantiene quelli che sono nati Principi, ma molle volte fu gli uomini di privata forluwa yO IL PRINCIPE. salire a quel grado . E per contrario si Te- de , che quaudo i Principi hanno pensato più alle delicatezze, che all' ai^me , hanno perso lo Stato loro . E la prima cagione che ti fa perdere quello , è il dis])rezzare ([uesla arte; e la cagione che te lo fa acquistare, è Tessere professo di questa arie . Francesco Sforza, per essere armato, diventò di jìrivato Duca di Milano ; e li figliuoli , per fuggire le fatiche e i disagi dell'arme , di Duchi di- Tentarono privati . Perchè ti^a le altre ca- gioni di male che ti arreca Y essere disar- mato^ ti fa disprezzare; la quale è una di quelle infamie , dalle quali il Principe si dehhe guardare , come di sotto si dirà . Perchè da uno armato a un disarmato non è proporzione alcuna ; e la ragione non vuole, che chi è armalo uhbidisca volentieri a chi è disarmato , e ehe il disarmato stia sicuro tra i servitori armati . Perchè essen- do ncir uno sdegno , e nell' altro vsospetto, non è possibile operino bene insieme . E })erò un Principe che della milizia non s'in- tende, oltre all'altre infelicità, come è det- to , non può essere stimalo da' suoi soldati, riè fidarsi di loro. Non debbe per*anto mai levare il pensiero da questo esercizio della guerra , e nella pace vi si deve più eserci- tare, che nella guerra; il che può fare in due modi , V uno con V opere , 1' altro cou la mente. E qnanto all'opere, deve, oltre al tener bene ordinati ed esercitati li suoi , star sempre in sulle caccic , e mediante IL PRINCIPE. 71 ({uelle assuefare il corpo a' disagi, e parte imparare la natura uè' siti , e cogiioscere come sorgono i monti , come imboccano le valli, come giacciono i piani, ed intendere Ja natura de' fiumi e delle paludi , ed in questo porre grandissima cura . La qual co- gnizione è utile in dnoi modi . Prima si impara a cognoscere il suo paese , e può meglio intendere le difese di esso . Dipoi , mediante la eoguizione e pratica di quelli siti , con facilitìi comprende un altro sito , che di nuovo gli sia necessario speculare j perchè li ]>oggi, le valli, e piani, e tlumi , e paludi che sono, verbigrazia, in Toscana, hanno con <[uelle dell' altre provincie cer- ta similitudine ; tale che dalla cognizione del sito di una provincia si può facilmeur te venire alla cognizione dell' altre . E quel Principe che manca di questa perizia , man- ca della prima parte che vuol avere un ca- pitano; perchè questa insegna trovare il ne- mico , ])igliare gli alloggiamenti , condurre gli eserciti , ordinare le giornate , campeg- giare le terre con tuo vantaggio. Filopeme- ne Principe degli Achei, traile altre laudi, che dagli scrittori gli sono date , è che ne' tempi della pace non pensava mai se non ai modi della guerra , e quando era in cam- pagna con gli amici , spesso si fermava e ragionava con quelli : se gli uimici fusscro in su quel colle , e noi ci trovassimo qui col nostro esercito , chi di noi arebbe van- taggio ? Come sicuramente si potrebbe ire rfZ IL PRINCIPE. a trovargli, servando gli ordini? Se noi vo- lessimo riliiarci , come aremmo a fare ? Se loro si ritirassero , come aremmo a se- guirgli ? E pr;^. poneva loro, andando, tutti i casi clic in un esercito possono occorrere , intendeva l' opinion loro , diceva la sua , corrobcravala con le ragioni ; talché per Cjueste continue cogitazioni non poteva mai, guidando gli eserciti, nascere accidente alcu- no , clie egli non vi avesse il rimedio . Ma , quanto all' esercizio della mente , deve il Principe leggere le istorie , ed in quelle considerare le azioni degli uomini eccellen- ti , vedere come si sono governati nelle guerre , esaminare le cagioni delle vittorie e perdite loro , per potere queste fuggire , quelle imitare, e sopra tutto fare come ha fatto per r addietro qualche uomo eccellen- te , che ha preso ad imiiare , se alcuno è stato innanzi a lui lodato e glorioso , e di quello ha tenuto sempre i gesti ed azioni appresso di sé, come si dice che Alessandro Magno imilava Achille, Cesare Alessandro, Scipione Ciro . E qualunque legge la vita di Ciro scritta da Senofonte , riconosce di- poi nella vita di Scipione quanto quella imitazione gli fu di gloria , e quanto nella castità, afi'ahilità, unjanità, e liberalità Sci- ]>ione si ccnfoiinassc con quelle cose che ili Ciro sono da Senofonte scritte . Questi simili modi deve osservale un Principe sa- vio^ nò mai ne'tem])i pacifici stare ozioso, ma con industria farne capiti\le, per poter- TL PRINCIPE. j3 sene valere nelle avversità, acciocché quan^ (lo si mula la fortuna , Io trovi parato a resistere alli suoi colpi . CAPITOLO XV. Delle cose , 7?iediante le quali gli uomini^ & massimamente i Principi , sono lodati o 'vituperati . Resta ora a vedere quali debbano es- sere i modi e i governi di un Principe con li sudditi e con gli amici . E perchè io so che molti di questo hanno scritto, dubito, scrivendone ancor io, non esser tenuto pre- suntuoso , partendomi , massime nel dispu- tare questa materia , dagli ordini degli al- tri . Ma essendo 1' intento mio scrivere co- sa utile a chi T intende , mi è parso più conveniente andare dietro alla verità effet- tuale della cosa , che all' immaginazione di essa : e molti si sono immaginate Repub- bliche e Principati , che non si sono mai visti ne cognosciuti essere in vero ; perchè egli è tanto discosto da come si vive a co- me si doverla vivere , che colui che lascia quello che si fa ]ier quello che si doveria faro , impara piuttosto la rovina, che la pre- servazione sua ; perchè un ucmo che vo- glia fare in tutte le parti professione di buono , conviene che rovini fra tanti che non sono buoni . Onde è necessario ad un Principe, volendoli mantenere, imparare a '74 i L PRINCIPE. potere essere non buono , ed usarlo e non usarlo secondo la necessità . Lasciando adun- que indietro le cose circa un Principe im- maginate, e discorrendo quelle che son ve- re, dico, che tutti gli uomini, quando se ne parla, e massime i Principi, per esser po- sti più alto , sono notati di alcuna di que- ste qualità che arrecano loro o biasimo, o laude ; e questo è che alcuno è tenuto li- berale , alcuno misero , usando un termine Toscano , ( perchè avaro in nostra lingua è ancor colui che per rapina desidera d' ave- re, e misero chiamiamo quello che troppo si astiene dall'usare il suo ) alcuno è tenu- to donatore , alcuno rapace , alcuno crude- le , alcuno pietoso ; Y uno fedifrago ^ 1' al- tro fedele ; l'uno effeminato e pusillanime, r altro feroce ed animoso ; V uno umano , r akro superbo ; 1' uno lascivo , T altro ca- sto ; r uno intero , 1' altro astuto ; 1' uno duro, l'altro facile; l'uno grave, l'altro leggiere; l'uno religioso, l'altro incredulo, e simili . lo so che ciascuno confesserà , che sarebbe laudabilissima cosa un Prin- cipe trovarsi di tutte le sopraddette quali- tà , quelle che sono tenute buone ; ma per- chè non si possono avere , né interamente osservare per le condizioni umane che non Io consentono, gli è necessario essere tanto ])rudente , che sappia fuggire 1' infamia di quelli vizi che gli torrebbono lo Sialo , e da qiielH che non gliene tolgano, guardarsi, se (gli è possibile ; ma non potendovi , si IL PRINCIPE. 75 può con minor rispetto lasciare andare . Ed ancora non si curi d' incorrere nell' in- famia di quelli vizi , senza i quali possa diftìcilmente salvare lo Stato ; perchè , se si considera bene tutto , si troverà qualche cosa che parrà virtù , e seguendola sarebbe la rovina sua ; e qualcun' altra che parrà vizio , e seguendola ne risulta la sicurtà , ed il ben essere suo . CAPITOLO XYI. Della liberalità e miseria . Cominciando adunque dalle prime so- prascritte qualità , dico come sarebbe bene esser tenuto liberale . Nondimanco la libe- ralità usata in modo che tu non sia temu- to , ti offende ; perchè se la si usa virtuo- samente , e come la si deve usare , la non fia conosciuta , e non li cadrà V infamia del suo contrario . E però a volersi mante- nere tra gli uomini il nome del liberale , è necessario non lasciare indietro alcuna quafità di sontuosità ; talmentcchè sempre un Principe cosi fatto consumerà In simili opere tutte le sue facultà , e sarà necessi- tato alla fine , se egli si vorrà mantenere nome del liberale , gravare i popoli straor- dinariamente, ed esser fiscale, e fare tutte quelle cose che si possono fare per avere danari . Il che comincerà a farlo odioso con li sudditi , e poco stimare da ciascuno. 76 IL TRINCIPE, jiveiitando |>overo ; In modo che, avendo con questa sua liberalità offeso molti , e premiato pochi , sente ogni primo disagio , e perieìita in qualunque primo pericolo ; il che cognosceiido lui, e volendosene ritrar- re , incorre subito nell' infamia del misero . Un Principe adunque , non potendo usare questa virtù del liberale senza suo danno , in modo che la sia cognosciuta , deve , se egli è prudente, non si curare del nome del misero ; perchè con il tempo sarà te- nuto sempre più liberale . \eggendo che con la sua parsimonia le sue entrate gli ba- stano, può difendersi da chi gli fa guerra , può fare imprese senza gravare i popoli ; talmentechè viene a usare la liberalità a lutti quelli, a chi non toglie, che sono in- finiti , e miseria a tutti coloro , a chi non dà , che sono pochi . Ne' nostri tempi noi 3ion abbiamo veduto fare gran cose, se non a quelli che sono stali tenuti miseri , gli altri esseie sj^enti . Papa Giulio 11 come si fu servito del nome di liberale per ag- giugnere al Papatt>, non pensò più a man- tenerselo per potere far guerra al Re di Francia ; ed ha fatto tante guerre senza porre un dazio strasordinario , perchè alle superflue spese ha somministrato la lunga sua parsimonia . Il Re di Spagna presente , se fusse tenuto liberale , non arehbe fatto , ne vìnto tante imprese . Pertanto un Prin- cipe deve stimare poco , per non avere a rubare i sudditi , per poter difendersi , per IL PRINCIPE. ^^ non diventare povero ed abietto , per uoix essere for.-^ato diventar rapaee , d'incorrere nel nome di misero , perchè questo è uno di quelli vizi , che lo fanno regnare . E se alcun dicesse : Cesare con la liberalità per- venne air Imperio ; e molti altri , per esse- re stati ed esser tenuti liberali , sono venu- ti a gradi grandissimi ; rispondo : o tu siei Principe fatto , o tu siei in via di acqui- starlo . Nel primo cas(3 questa liberalità è dannosa ; nel secondo è ben necessario es- ser tenuto liberale , e Cesare era un di quelli che voleva pervenire ;>1 Principato di Roma ; ma se , poicbè vi fu venuto , fiisse sopravvissuto , e non si fusse temjìeiato da quelle spese , arebbe distrutto queir Impe- rio. E se alcuno replicasse : molli sono sla- ti Principi , e con gli eserciti hanno fallo gran cose , cbe sono stati tenuti libéralissi- mi ; ti rispondo : o il Principe spende del suo e de' suoi sudditi, o di quello d'altri. Nel primo caso deve esser parco , nel se- condo non deve lasciare indietro parte al- cuna di liberalità . E quel Principe che va con gli eserciti , che si pasce di prede , di sacchi , e di taglie , e maneggia quel d' al- tri , gli è necessaria questa liberalità ; altri- mLcnti non sarebbe seguito da' soldati . E di quello che non è tuo o de' tuoi sudditi, si può essere più largo donatore , come fu Ciro , Cesare , e Alessandro \ perchè lo spendere quel d' altri non toglie rij^utazio- ne, ma te ne aggiugne; solamente lo spea- 78 IL PRINCIPE* dere il tuo è quello che ti nuoce . E non ci è cosa che consumi se stessa , quaiilo la liberalità , la quale mentre che tu l' usi perdi la facultà di usarla , e diventi o po- vero o vile, o, per fuggire la povertà, ra- pace e odioso . E tra tutte le cose, da che un Principe si debbe guardare, è V essere disprezzato e odioso; e la liberalità all' una € r altra di queste cose ti conduce . Per- tanto è più sapienza tenersi il nome di misero , che partorisce una infamia senza odio, che, per volere il nome di liberale, incorrere per necessità nel nome di rapace, che partorisce una infamia con odio . CAPITOLO XVII. Della crudeltà e clemenzìa ; e se egli è meglio essere amato , che temuto . Discendendo appresso alle altre qualità preallegate, dico, che ciascuno Principe de- ve disiderare di essere tenuto pietoso e non erndelc. Nondimanco deve avvertire di non usar male questa pietà . Era tenuto Cesare Borgia crudele ; nondimanco quella sua crudeltà aveva racconcia la Romagna , uni- tala , e ridottala in pace e in fede . Il che se si considera bene , si vedrà quello esse- re stato molto più pietoso , che il Popolo Fiorentino, il quale, per fuggire il nome di crudele, lasciò distruggere Pistoja . Deve pertanto un Principe non si curare dell'in- IL PRINCIPE. y^ famla di crudele, per tenere i sudditi suoi uniti , ed in fede ; percliè con pochissimi esempi sarai più pietoso , che c£uelli , li quali per troppa pielà lasciano sei^uire i disordini , onde naschino occisioni o rapi- ne ; perchè queste sogliono offendere una università intera ; e quelle esecuzioni che vengono dal Principe, offendono un partico- lare . E tra tutti i Principi , al Principe nuovo è impossibile fuggire il nome di cru- dele, per essere gli Stati nuovi pieni di pericoli. Onde Virgilio, per la bocca di Bi- done , escusa T inumanilà del suo Regno per essere quello nuovo , dicendo : Res dìira , ei regni no^'itas vie talia cogunt Molili , et late fines custode tiieri . Nondimeno deve esser grave a credere ed al muoversi , ne si deve far paura da se stesso , e procedere in modo temperalo con prudenza ed umanità , che la troppa confi- denza non lo faccifi incauto , e la troppa diftidanza non lo renda intollerabile . Nasce da questo una disputa : se egli è meglio essere anuito , che temuto , o temuto che amato . Rispondesi , che si vorrebbe essere l'uno e l'altro; ma perchè egli è difficile che ei stiano insicnve , è molto più sicuro l'esser temuto, che amato, quando s'abbi a mancare dell' un de' duoi . Perchè degli uomini si può dire questo generalmente , che KÌeno ingrati, volubili, simulatori, fug- liO IL PRINCIPE. gitori de' pericoli , cupidi di guadagno ; e mentre fai loro bene , sono lutti tuoi , ti offeriscono il sangue , la roba , la vita , ed ì figliuoli , come di sopra dissi , quando il bisogno è discosto; ma^ quando ti si appres- i sa , si rivoltano . E quel Principe che si è tutto fondato in sulle parole loro , trovan- dosi nudo di altri prepaiainenli , rovina ; perchè 1' amicizie che si acquistano con il prezzo, e non con grandezza e nobiltà d'a- nimo , si meritano , ma le non si hanno , e a' tempi non si possono spendeie . E gli nomini hanno men rispetto di offendere lino che si facci amare , che uno che si facci temere ; perchè T amore è tenuto da un vincolo di obbligo , il quale , per esse- re gli uomini tristi , da ogni occasione di propria utilità è rotto ; ma il timore è te- nuto da una paura di pena , che non ab- bandona mai . Deve nondimeno il Principe farsi temere in modo, che, se non acquista l'amore, e' fugga 1' odio ; perchè può molta bene stare insieme esser temuto , e non odiato ; il che farà , sempre che s' astenga dalla roba de' suoi cittadini e de' suoi sud- diti , e dalle donne loro . E quando pure gli bisognasse procedere contro al sangue di qualcuno , farlo quando vi sia giustilica- zione conveniente e causa manifesta ; ma soprattutto astenersi dalla roba d'altri; per- chè gli» uomini dimenticano piuttosto la morte del padre , che la perdila del patri- monio . Dipoi le cagioni dei torre la roba .>" IL PRINCIPE. 8l non mancano mai ; e sempre colui che co- mincia a vivere con rapina , trova cagioni d'occnpare quel d'altri, e per avverso con- tro al sangue sono più rare e mancano più tosto . Ma quando il Principe è con gli eserciti , ed ha in governo moltitudine di soldati , allora è al tutto necessario non si curare del nome di crudele ; perchè senza questo nome non si tiene un esercito uni- to , uè disposto ad alcuna fazione . Tra le mirabili azioni di Annibale si connumera questa, che avendomi esercito grossissimo, misto d'infinite generazioni d' uomini, con- dotto a militare in terre d'altri, non vi surgessc mai una dissensione ne fra loro , né contro il Principe , così nella trista, co- me nella sua buona fortuna . 11 che non potè nascere da altro , che da quella sua inumana crudeltà , la quale insieme con infinite sue virtù lo fece sempre nel cospet- to de' suoi soldati venerando e terribile; e, senza quella, l'altre sue virtù a far quello effetto non gli bastavano . E gli scrittori poco consideraci dall' una parte ammirano queste sue azioni , e dall' altra dannano la principal cagione di esse . E che sia il vero che l'altre sue virtù non gli sarieno basta- te , si può considerare in Scipione , rarissi- mo non solamente ne' tempi suoi , ma in tutta la memoria delle cose che si sanno , dal quale gli eserciti suoi in Tspagna si ri- bellarono ; il cìm non nacque da altro, che dalla sua troppa pietà , la quale aveva dato Mach. Voi. L 6 S2 IL PRINCIPE. SL suoi soldati più Ji('enza , che alla cliscipK- na militare non sì conveniva . La qua! co- sa gli fu da Fabio Massimo nel Senato rimproverata, chiamandolo corruttore della Romana milizia . 1 Locrensì essendo stati da un legato di Scipione distrutti , non fu- ' rono da lui vindicati , né l'insolenza di quel legato corretta , nascendo tutto da quella sua natura facile . Talmentechè volendolo alcuno in Senato scusare , disse come egli erano molti uomini , che sapevano meglio non errare , che correggere gli errori d'al- tri . La qual natura arehbe con il tempo violato la fama e la gloria di Scipione , se egli avesse con esse ]ìcrseverato nell' impe- rio ; ma vivendo solto il governo del Sena- to , questa sua qualilà dannosa non sola- mente si nascose , ma gli fu a gloria . Con- chiudo adunque, tornando all'esser temuto ed amato , che amnndo gli uomini a posta loro , e temendo a posta del Principe , de- ve un Principe savio fondarsi in su quello che è suo , non in su quello che è d'altri; deve solamente ingegnarsi di fuggir Todio, come è detto . CAPITOLO xvin. Jfi c/w modo i Principi debbiano osservare la fede . Quanto ."ia laudabile in un Principe mantenere la fede, e vivere con integrità. IL PRINCIPE. 83 c non con astuzia , ciascuno Io intende . IVondimeno si vede per isj erienza ne' nostri tempi, quelli Principi aver fatto gran cose, che delia fede hauno tenuto poco conio , e che hannc» saputo con astuzia ai^girare i cervelh degli uomini , ed alla fine hauno superato quelli che si sono fonJati in su. la lealtà . Dovete adunque sapere come so- no due generazioni di combattere : T una con le leggi; l'altra con le forze. Quel primo modo è degli uomini ; quel secondo è delle bestie ; ma perchè il primo spesse volte non basta , bisogna ricorrere al secon- do . Pertanto ad un Principe è necessario saper bene usare la bestia e l'uomo . Que- sta parte è stata insegnata a' Principi coper- tamente dagli antichi scrilt' ri , i quali scri- vono come Achille e molti altri di quelli Principi antichi furono dati a nutrire a Chirone Centauro , che sotto la sua disci- plina gli cu-.todisse ; il che non vuole dire altro r avere per precettore un mezzo be- stia e mezzo uomo, se non che bisogna ad un Principe sapere usare l' una e 1' altra natura , e 1' una senza V altra non è dura- bile. EssemV) adunque un Principe necessi- tato sapere bene usare la bestia , debbe di quella pigliare la volpe e il Ho ne ; percliè il lione non si difende da' lacci , la volpe non si difende da' lupi . Bisogna adunque essere volpe a cognosrero i lacci , e lione a sbigottire i In pi . Coloro che stanno sem- plicemente in sul lione, non se ik? intendo- 84 IL PRINCIPE. no . Non può pertanto un Signore pruden- te , né debbe osservare la fede , rjuando ta- le osservanzia gli torni contro , e clic sono spelile le cagioni die la feciono promette- re . E se gli uomini fussero tutti buoni , questo precetto non saria buono ; ma per- cbè sono tristi , e non 1' osserverebbono a te , tu ancora non 1' bai da osservare a lo- ro . Ne mai ad un Principe mancheranno cagioni leeittìme di colorare l'inosservanza. Di qviesto se ne potriano dine mimiti esem- pi moderni, e mostrare quarte paci, quan- te promesse siano stale fatte irrite e vane per la infedeltà de' Principi ; ed a quello cbe ha saputo meglio usare la volpe ;, è meglio successo . Ma è necessario questa natura saperla bene colorire , ed essere gran simulalore e dissimulatore ; e sono tanto semplici gli uomini , tì tanto ubbidiscono alle lìecessità presenti, che colui cbe ingan- na , troverà sempre chi si lascerà ingan- nare . Io non voglio degli esempi freschi tacerne uno . Alessandro VI non fece mai allro cbe ingannare uomini , uè mai pensò ad altro , e trovò soggetto di poterlo fare ; e non fu mai uomo cbe avesse maggiore efficacia in asseverare , e che con maggiori giuramenti affermasse una cosa , e cbe l'os- servasse meno ; nondimanco gli succedero- no sempre gì' inganni , perchè ci^gnosceva bene questa parte del mondo . Ad un Prin- cij^e adunque non è necessario avere tutte le soprascritle qualità, ma è ben necessario IL PRINCIPE. 85 parei*e cV averle . Anzi ardirò di dire que- sto, che avendole, ed osservandole sempre, sono dannose ; e parendo d' averle , sono utili; come parere pietoso, fedele, umano, religioso , intiero , ed essere ; ma stare in modo edificato con l'animo , che, bisognan- do , tu possa e sappi mutare il contrario . Ed hassi ad intendere questo , che un Prin - cipe , e massime un Principe nuovo , non può osservare tutte quelle cose, per le qua- li gli uomini sono tenuti buoni , essendo spesso necessitato , per mantenere lo stato , o])erare contro alla umanità , contro alla carità , contro alla religione . E però biso- gna che egli abbia un animo disposto a volgersi secondo che i venti e le variazioni della fortuna gli comandano; e , come di sopra dissi , non partirsi dal bene , poten- do, ma sapere entrare nel male necessita- to . Deve adunque avere un Principe gran cura , che non gli esca mai di bocca una cosa che non sia piena delle soprascritte cinque qualità, e paja, a vederlo e udirlo, tutto pietà , tutto integrità , tutto umanità, tutto religione . E non è cosa più necessa- ria a parere d'avere, che quest'ultima qua- lità ; perchè gli uomini in universale giu- dicano più agli occhi , che alle mani , per- chè tocca a vedere a ciascuno , a sentire a pochi . Ognuno vede quel che tu pari ; po- chi sentono quel che tu sei ; e quelli po- chi non ardiscono opporsi alla opinione de' molli , che abbino la maestà dello stato 86 IL PRINCIPE. che gli difende ; e nelle azioni di tutti gli uomini , e massime de' Principi , dove non è giudi/io a chi reclamare , si guarda al fine . Facci adnnque un Principe conto di vivere e mantenere lo Stato ; i mezzi sa- ranno sem]>re giudicali onore\oli , e da ciascuno lodati; perchè il vulgo ne va sem- pre preso con quello clic pare, e con Te- "venlo della cosa ; e nel mondo non è , se non vulgo; egli pochi hanno luogo, quan- do gli assai non hanno dove appoggiarsi . Alcuno Principe di questi tempi , il qua- le non è bene nominare , non predica mai altro , che pace e fede ; e l'una e l'al- tra quando e' V avesse osservata , gli areb- be più volte tolto lo Stato , e la riputa- zione . CAPITOLO XIX. C/ie si debhe fuggire V essere disprezzato e odiato . • Ma perchè circa le qualità, di che dt sopra si fa menzione , io ho pailato delle più importanti , 1' altre voglio discorrere brevemente sotto queste generalità , che il principe pensi , come di sopra in parte è detto, di fuggire quelle cose che lo faccino odioso o vile ; e qualunque volta fu£;£;irà questo , ara adempiuto le parti sue, e non troverà nelT altre infamie peikolo alcuno . Odioso lo fa sopraltullo , come io dissi , lo I L P R I N e I P E . Sy esser rapace , ed usurpatore della roba , e delle donne de' sudditi; di ciie si deve aste- nere . Qualunque volta alla università de- gli uomini non si toglie né roba né onore, vivono contenti , e solo s' ha a combattere con l'ambizione di poclii, la quale in mol- ti modi e con facilità si raffrena . Abietto lo fa V esser tenuto vario , leggiero , effe- minalo, puslUanimo, iirosolulo; di cbe un Principe si deve guardare come da uno scoglio , ed ingegnarsi che nelle azioni sue si riconosca grandezza , animosità , gravità , fortezza; e, circa i maneggi privati de' sud- diti , volere che la sua sentenzia sia irrevo- cabile , e si mantenga in tale opinione , che alcuno non pensi ne ad ingannarlo , uè ad aggirarlo . Quel Pilncipe che dà di se questa opinione, è riputalo assai; e con- tro a clii è riputato assai con difficultà si congiura , e con difficultà è assaltato , pur- ché s' intenda che sia eccellente e riverito da' suoi . Perché un Principe deve avere due paure : una dentro per conto de' sud- diti ; r altra di fuori per conio de' potenti esterni . Da questa si difende con le buo- ne armi e buoni amici ; e sempre , se ara buone arme , ara buoni amici ; e sempre staranno ferme le cose di dentro , quando sileno ferme quelle di fuori , se già le non fossero perturbate da una congiura ; e quando ])ure quelle di fuori movessero , se egli è ordinato , e vissuto come io ho detto , sempre , quando non si abbandoni , 88 IL PRINCIPE. sosterrà ogni impeto , come dissi che fede IVabide Spartano . Ma circa i sudditi , quan- do le cose di fuori non muovino, s' ha da temere che non concinrino sesretamen- te; del che il prmcipe si assicura assai, fuggendo l' essere odiato e disprezzato , e teueiid si il popolo satisfatto di lui ; il che è necessario conseguire , come di sopra si disse a lungo . Ed uno de' più potenti ri- medi che abbia un Principe contro le con- giure , è non essere odiato o disprezzalo dall' universale ; perchè sempre chi congiu- ra crede con la morte del Principe sati- sfare al popolo ; ma quando ci creda of- fenderlo , non piglia animo a prender si- mil partito ; perchè le difficultà che sono dalla parte de' congiuranti , sono infinite . Per esperienza si vede molte essere state ]e congiure, e poche aver avuto buon fi- ne ; perchè chi congiura non può esser solo , né può prendere compagnia se non di quelli , che crede essere malcontenti ; e subito che a un malcontento tu hai sco- perto r animo tuo , gli dai materia a con- tentarsi, perchè, manifestandolo, lui ne può sperare ogni comodità; talmentcchè vcggen- do il guadagno fermo da questa parte , e dall' altra veggcndolo dubbio e pieno di pericolo , convicn bene o che sia raro ami- co , o che sia al tutto ostinato nimico del Principe ad osservarti la fede. E, per ridur- re la cosa in brevi termini, dico, che dalla parte del congiurante non è, se non paura |^ IL PRINCIPE. Sg gelosia , sospetto di ])ena clie lo vsbigottlsce ; ma dalla parte del Principe è la maestà del Principato , le leggi , le difese degli amici e dello Stato che lo difendono ; tal- mentecliè aggiunto a tutte queste cose la benivolenza popolare, è impossibile che al- cun sia sì temerario, che congiuri. Perchè per l'ordinario dove un congiurante ha da te- mere innanzi alla esecuzione del male , in f[uesto caso debhe temere ancora dappoi, avendo per nimico il Popolo, seguilo l'ec- cesso , né polendo per questo sperare rifu- gio alcuno. Di questa materia se ne potria dare iufmiti esempi ; ma voglio solo esser contento d' uno , seguito alla memoria de* padri nostri . Messer Annibale Benlivogii , avolo del presente Messer Annibale , che era Principe in Bologna , cssendp da' Can- neschi, che gli congiurarono contro, ammaz- zato , né rimanendo di lui altri che Messer Giovanni , quale era in fasce , subito dopo tale omicidio si levò il Popolo , ed ammaz- zò tutti i Cannescbi . 11 che nacque dalla benivolenza popolare che la casa de' Benti- vogli aveva in quei temjn in Bologna ; la quale fu tanta, che non vi restando alcu- no che potesse , morto Annibale , reggere lo Stato, ed avendo indizio come in Firen- reuze era un nato de' Bentivogli , che si teneva fino allora figliuolo di un fabbro , vennero i Bolognesi per quello in Firenze, e li detlono il Governo di quella Città, la quale fu governata da lui fino a lauto che gO IL PRINCIPE. Mcsser Giovanni pervenne in età convenien- te al Governo . Goncbiudo adunque , clie un Principe deve tenere delle congiure po- co conto ^ quando il popo'o gli sia benevo- lo ; mi quando gli sia iniinlco, ed abbilo in olio, deve temere di ogni cosa e di ognuno . E gli Stati bene ordiniti , e li Pi'incipi savi banno con ogni diligenza pen- sato di non far cadere in disperazione i grandi e di satisfare al popolo , e tenerlo conteuto , percbè questa è uni delle più importanti materie cbe abbia un Principe . Tra i Regni bene ordinati e governati a' nostri tempi è quello di Francia , ed in esso si trovano inlìnite costituzioni buone , donde ne dipende la libertà e sieurtà del Re , delle quali la primi è il parlamenlo e H sua autorità ; percbè quello cbe ordi- nò quel Regno, cognoscendo Tambizione de' potenti e la insolenza loro, e giudicando esser necessario loro un freno in bocca cbe i^li cf>rreg^esse; e dall'altra paile cognoscen- do r o lio dell' universale contro i grandi , fond ito In su la ])aura , e volendo assicu- rarli , non volse cbe questa fusse particolar cui-a del Re , per torli quel e ii'ico cbe e' potesse avere con i Grandi , favorendo i popolari , e con i po]ìo!ai"i fivoren l;) i gran- di ; e però eonslitui un Gin lice terzo, cbe fusse quello, cbe, senza carico del Re, battesse i grandi , e favorisse i minori . ]Nè potè essere questo ordine migliore, né più prudente , né maggior cagione di sicurtà IL PRINCIPE. 91 del Re , e del lici^no . Di che si può trar- re un altro jiolJibile , che Ji Principi deb- bono le cose di carico lare su m minisi rare ad altri , e (incile di cjrazie a l^r medesi- mi . Di nuovo concliiudo, clic un Principe debbe stimare i grandi , ma non si far odiare dal Popolo. Parrebbe forse a molli, che, considerata la Aita e morte di molti Imperatori Romani, fusseno esempi contrarii a questa mia opinione , trovando alcuno esser vissuto sempre egregiamente , e mo- stro gran virtù d' animo , nondimeno aver perso r imperio , ovvero essere slato morto da' suoi <'he gli hanno congiurato contro. Volendo adun(|ue rispondeVe a queste obie- zioni discorrerò le qualità di alcuni Impe- ratori , mostrando la cagione della lor ro- vina , non disforme da quello che da me si è addntto; e parte metterò in considera- r.ione quelle cose che sono rotabili a clii legge le azioni di quelli tempi . E voglio mi basti pigliare tutti quelli Imperatori che siiccederono nelT Inq^erio da Marco Filosofo a Massimino, li quali furono Mar- co , Commodo suo figliuolo , Pertinace , Giuliano, Severo, Antonino, Caracalla suo figliuolo, Macrino , Eliogabalo, Alessandro, e Massimino . Ed è ])rima da notare , che dove negli altri Piincipati si lia solo a con- tendere con 1' ambizione de' erandi ed in- solenza de' Popoli , gì' Imperatori Romani avevano una terza difficultà d' avere a sop- portare la crudeltà e avarizia de' soldati ^ g2 IL PRINCIPE. la qual cosa era sì difficile , che la fu ca* giorie della rovina di molti , scado difficile satisfare a' soldati ed a' popoli ; perchè i popoli amano la quiete, e per qnesto ama- no i Principi modesti , e li soldati amano il Principe d'animo militare , e che sia in- solente , e crudele , e rapace . Le quali co- se volevano che egli esercitasse ne' Popoli , per potere avere duplicato stipendio , e sfogare la loro avarizia e crudeltà ; donde ne nacque che quelli Imperadori che per natura o per arte non avevano riputazione tale , che con quella tenessero l'uno e l'al- tro in freno , sempre rovinavano ; e li più di loro , massime quelli che come uomini nuovi venivano al Principato, conosciutala difficultà di questi duoi diversi umori , si volgevano a satisfare a' soldati , stimando poco r ingiuriare il Popolo . 11 qual partito era necessario ; perchè non potendo i Prin- cipi mancare di non essere odiati da qual- cuno , si dehbono prima sforzare di non essere odiati dall' università ; e quando non possono conseguir questo , si debbono in- iresnarc con o^ni industria fii^iilre 1' odio di quelle università che sono più potenti . E però quelh Imperadori , che per novità avevano bisogno di favori straordinari , ade- rivano ai soldati più volentieri, che alli Po- poli ; il che tornava loro nondimeno più utile o no , secondo che quel Principe sì sapeva mantenere riputato con loro . Da (jucsle cagioni sopraddette nacque che IL PRINCIPE. gS Marco , Perliiiace , e Alessandro essendo tulli di modesta vila , amatori della giusti- zia , inimici della crudeltà , umani , e be- nigni , ebbero tulli, da Marco infuora, tri- sto fine ; Marco solo visse e mori onoratisi simo , perchè lui succede all' Imperio per eredità , e non aveva a ricognoscer quello né dai soldati, né da' popoli; dipoi essendo accompagnalo da molle ^utLl che lo face- vano venerando, tenne sem]ìre, mentre vis- se , l'uno ordine e l'altro dentro a' suoi termini, e non fu mai ne odiato, né disprez- zato . Ma Pertinace fu creato Imperadore contro alla voglia de' soldati, li quali, essen- do usi a vivere licenziosamente sotto Com- modo , non poterono sopportare quella vi- ta onesta , alla quale Pertinace ^li voleva ridurre ; onde avendosi crealo odio , ed a questo odio aggiunto dispregio per V esser vecchio , rovinò ne' primi principii della sua amministrazione . Onde si deve notare che r odio si acquista così mediante le buo- ne opere, come le triste; e però, come io dissi di sopra , volendo un Principe mante- nere lo Stato , è spesso forzato a non esser buono ; perché quando quella università , o popolo , o soldati , o grandi che sieno , della quale tu giudichi, per mantenerli, aver bisogno, è corrotta, ti convien fuggir l'u- mor suo , e sodisfarle ; e allora le buone opere ti sono inimiebe . Ma vegniamo ad Alessandro, il quale fu di tanta bontà, che Ira r altre lodi che gli sono attribuite , è , 94 II- PRINCIPE. che in qiiaUoriici ami che tenne T Impe- rio , non fu inai morto da lui nessuno in- giudicato ; nonJimanco , essendo tenuto ef- leminito, e n>nia che si lasciasse governa- re dalla madre , e |)er questo venuto iu dispregio, conspirò contilo di lui T esercito, ed amraaz/.oUo . Discorrendo ora per op- poslto le qualità di Commodo , di Severo , di Antonino , di Caracalla , e di Massi mi- no, gli troverete crndeli'.simi e rapacissimi, li quali , per satisfare assoldati , non perdo- iiorno a nissuna qualità d' ingiuria che ne* popoli si po!esse commettere ; e tutti , ec- cetto Severo , ebhero t insto fine ; perchè in Severo fu tanta virtù, che, mantenendosi i soldati amici , ancorché i popoli fussero da lui gravati , potè sempre regnare felicemen- te ; perchè quelle sue virtù lo facevano nel cospetto de' sollati e de' popoli sì mirabile, che questi rimine ano in un certo modo attoniti e stupidi , e quelli altri riverenti e satisfatti . E perchè le azioni di costui fu- rono grandi in un Prinnpe nuovo , io vo- glio mostrare brevemente quanto egli seppe bene usare la persona della volpe e del 1 io- ne , le quali nature dico , come di sopra , esser necessario imitare ad un Principe . Conosciuta Severo la ignavia di Giuliano Imperadore , persuase al suo esercito , del quale era in Schiavonla capitano , che egli era bene andare a Roma a vendicare la morte di Pertinace, il quale era stato mor- to dalla guardia imperiale , e sotto questo IL PRINCIPE. g5 colore , senza mostrare di aspirare all' Im- perio , mosse r esercilo contro a Roma , e fu prima in Italia che si st

etto di ciascuno); l'altra, perchè avendo, nell'ingresso del suo Principato, diflerilo l'andare a Roma, ed entrare nella possessione della sedia Impe- Mao'h, Voi I. 7 f)8 IL P R T IS' e I P E . riale, aveva dato oplnioue di crudelissimo, avendo per li suoi prefetti in Pioraa ,• e in qualunque luogo dell Imperio esercitato molle crudeltà ; a talché commosso tutto il mondo dallo sdegno per la viltà del suo sangue, e dall'altra parte dall'odio per la paura della sua ferocia , prima V Affrica , dipoi il Senato con tutto il Popolo di Ro- ma , e tutta r Italia gli cospirò cojitro ; al che si aggiunse il suo proprio esercito , il quale campeggiando Aquileja , e trovando difficullà nell'espugnazione, infastidito del- Ja crudeltà sua, e, per ve(iergli tanti nimi- ci, temendolo meno , lo ammazzò . lo non voglio ragionare nò di Eliognbalo , uè di Macrino, uè di Giuliano, i quali, per esse- re al tutto villosi spensero subito; ma ver- rò alla conclusione di questo discorso; e dico, che i Principi de'uostri tempi hanno meno questa difhcwhà di satisfare straordi- nariamente a' soldati ne' governi loro , per- chè n-noslante che si abbi ad avere a quel- li qualche considera/ione , pure si risolve presto , per non avere alcuno di questi Principi eserciti insieme ^ che sieno invete- rati con li "overni ed amministrazioni del- • • 1 • ••11 3e provuicie , come erano gli eserciti del- l' Imperio Romano ; e però se allora era necessario sod .ifare a' soldati , più che a' Popoli , perchè i soldati polevaii ) più, che i Popoli; ora è più netessario a traiti i Prin- cipi » eccetto che al Turco ed al .Soldano , satisliue a' Popoli , che a' soldati , perchè i IL PRINCIPE. 9<) Popoli possono più , clic quelli . Di che io ne eccettuo il Turco, tenendo sempre quel- lo intorno dodicimila fanti e quindicimila cavalli, da' quali dipende la sicurtà eia for- tcz7a del suo regno ; ed è necessario che , posposto ogni altro rispetto de' Popoli , so gli mantenga amici . Simile è il Re^^^no del Soldano , quale essendo tutto hi mano de' soldati, conviene che ancora lui, senza ri- spetto de' Popoli , se gli mantenga a«mici . Ed avete a notare , che questo Slato del Soldano è disforme da tutti gli altri Prin^ cipati ; perchè egli è simile al Pontificato Cristiano , il quale non si può chiamare né Principato ereditario, né Principato nuo- vo ; perchè non i figliuoli del Principe morto rimangono eiedi e signori , ma co- lui che è eletto a quel grado da coloro che ne hanno autorità . Ed essendo questo or- dine anticato , non si può chiamare Princi- pato nuovo ; perchè in f[uello non sono al- cune di quelle difHcultà che sono ne' nuo- vi ; perchè sehhene il Principe è nuovo , gli ordini di quello Stato sono vecchi , e ordinati a riceverlo come se fusse loro si- gnore ereditario. Ma, tornando alla materia nostra, dico , che qualunque considererà al sopraddetto discorso , vedrà o 1' odio , o il dispregio essere slato causa della rovina di quelli Imperadori prenominati , e cognosce- rà ancora donde nacque , che parte di lo- ro ])roccdendo in un modo, e parte al con- Uario , in qualunque di quelli uno ehhc JOO IL P^TNCTPE. felice, e gìi altri Infolice fiac; percliè a Per- tinace ed Alessandro , per essere Principi nuovi, fu inutile e dannoso il volere imita- re Marco , che era nel Principato eredita- rio ; e simiimenle a Caracalla , Commodo , e Massimlno essere slata cosa perniziosa imitar Severo, per non avere avuto tanta virtù che bastasse a seguitare le vestigia sue . Pertanto un Principe nuovo in un Principato non può imitare le azioni di Maj'co, ne ancora è necessario Imitare quel- le di Severo ; ma deve pigliare di Severo quelle parti che per fondare il suo Stato sono necessarie , e da Marco quelle che sono convenienti e gloriose a conseiAare uno Stato, che sia di già stabilito e fermo. CAPITOLO XX. Se le fortezze , e molte altre co se che spesse volte l Principi fanno , sono utili o dannose . Alcuni Principi, per tenere sicuramen- te lo Stato, hanno disarmato i loro sudditi; alcuni altri hanno tenute divise in parti le terre suggette ; alcuni altri hanno nutrito nitnicizie contro a se medesimi ; alcuni al- tri si sono volti a guadagnarsi quelli che gli erano sospetti nel principio dei suo Sta- to ; alcuni hainio edificato fortezze ; alcuni le hanno rovinate e distrutte. E benché di tutte queste cose non si possa dare determi- IL PRINCIPE. lOI nnta sentenzia, se non si viene su'partiouli- ri di questi Stali, dove si avesse da pigliare alcuna simile deliberazione; nondiineii(3 io parlerò in quel modo larice che la materia per sé medesima sopporta . Non fu mai adunque che uu Principe nuovo disarmas- se i suoi sudditi ; anzi , quando gii ha tro- vati disarmati , gli ha sempre armati ; per- chè armandosi, quelle arme diventano tue; diventano fedeli quelli che ti sono sospetti; e quelli che erano fedeli, si mantengono ; e gli sudditi tuoi si fanno tuoi partigiani . E perchè tutti i sudditi non si possono arma- re , quando si benefichino quelli che tu armi , con gli altii si può fare più a sicur- tà ; e quella diversità del procedere che conoscono in loro, gli fa tuoi obbligai; quelli altri ti scusano , giudicando esser ne- cessario quelli aver più merito che hanno più pericolo e più obbligo. Ma quando tu gli disarmi , tu incominci ad offendergli , e mostrare che tu abbi in loro clifddenza o per viltà, o per poca fede; e 1 una e l'altra di queste opi)iio)\i concipe odio con- tro di te . E perchè tu non puoi stare di- sarmato , conviene che li voUi alla milizia mercenaria , della quale di sopra abbiam detto quale sia ; e quando essa fusse buo- na , non può esser tanta , che ti difenda da' uimici potenti , e da' sudditi s spetti . Però , come io ho detto , un Pi'inci}>e nuo- vo in un nuovo Principnto sempre vi ha ordinalo l' arme , Di questi esempi sou pie- 102 IL PRINCIPE. ne le istorie . Ma quando un Principe acc quisla uno Stato nuovo, clic come membro si aggiunga al suo vecchio , allora è neces- sario disarmare quello Stato , eccetto quelli che nello acquistarlo si sono per te scoper- lì ; e questi ancora con il tempo ed occa- sioni è necessario fargli molli ed effemina- ti , ed ordinarsi in modo, che tutte l'arme del tuo Stato sicno in quelli soldati tuoi propri , che nello Slato tuo antico vivono appresso di- te. Solevano gli antichi nostri, e quelli che erano stimati sa\i, dire, come era necessario tenere Pistoja con le parti , e Pisa con le fortezze ; e per questo nutri- vano in qualche terra lor suddita le diffe- renze per possederla più facilmente. Questo, in cfuelli terajn che Italia era in un certo modo bilanciala , doveva essere ben fallo ; ma non mi pare si possa dare oggi per precetto ; perchè io non credo che le divi- sioni falle faccino mai bene alcuno ; anzi è necessario, (juando il nimico si accosta» che le città divise si perdino subito; perchè sempre la parte più debile si accosterà al- l,e forze esterne, e l'altra non potrà l'cg- gere . I Viniziaiii mossi , come io credo , dalle ragioni sopiaddelle, nutrivano le sette Guelfe e Ghibelline nelle città loio suddi- te; e ])enchè non gli las(^iassero mai veniie al sangue , pure nutrivano fra loro questi dispaieri, acciocché, occupati quelli ciltadi- ni in (| nelle loro differenze, non si muo- vessero cgntro di loro . Il che , come si IL PRINCIPE. io3 vide, non tornò poi loro a pr-^posito; per- chè, osseiido rolli a ^ ailà , suljilo una i ar- ie di quelle prese ardire , e loJsouo loro .litio \o Sialo . Arguiscono pertanto simili modi deljolez/a del Principe; perchè in uu Principato gagliardo mai si permetteranno tali divisioni; perchè le fanno solo profitto a tempo di pace , polendosi, mediante quelle, più facilmente maneggiare i sudditi ; ma , Tenendo la guerra , moslra simile ordine lu fallacia sua . Senza dubbio li Principi di- ventano grandi quando superano le difil- ciiltà e le opj:K>iizioni che sono ftilte loro ; e però la fori una , massime quando vuole far grande un Principe nuovo , il quale ha maggior necessità di acquistare riputazione, die uno ereditario, gli fa nascere de'nimi- ci , e gli fa fare delle imj)rese contro, ac- ciocché quello abbia cagione di superarle , e su per quella scala , cljc gli hanno por- tata i nlmici suoi , salir più allo . £ j)erò molli giudicano che un Principe savio , quando ne abbia 1' occasione , deve nuliir- sl con astuzia qualche inimicizia, acciocché, oppressa quella , ne seguiti maggiore sua f;randezza . Hanno i Principi , e special- mente quelli che sou nuovi , trovato ])Ili fe- de e j)iù utilità in quelli uomini , che nei principio del loro Sialo sono tenuti sospet- ti , che in quelli ciie nel principio erano confidenti . Pandolfo Pehucci Piinclpc di Siena reggeva lo Stato suo più con quelli che furono sospetti , che con gli altri . Ma I04 IL PRINCIPE. (li questa cosa non si può ])ai]are largamen- te , perchè ella varia secondo il subietto ; solo dirò questo , die quelli uomini che nel principio di un Principato erano slati nimici , se sono di qualità che a mantener- si ah!}ino bisogno di ^pp<^ggio , sempre il Principe con facilità grandissima se li potrà guadagnare ; e loro maggiormente son for- zati a Servirlo con fede, quanto cognosco- uo essere loro più necessario cancellare con r opere quella opinione sinistra che si ave- va di loro ; e così il Principe ne trae sem- pre più utilità, che di coloro, i quali^ ser- vendolo con troppa sicurtà , trascurano le cose sue . E poiché la materia lo ricerca , non vonrjio las'^iare indietro il ricordare a un Princijx^ che Ija preso uno Stato di nuo- vo mediante i fa. ori intrinsechi di quello, che consideil bene qual cagione abbi mosso quelli che 1' hnnno favorito, a favorirlo; e se ella non è affezione naturale verso di quello , ma fosse solo peichò quelli non si clc!itavano d' quello Stato , con fatica e diffìc'jlt^t grande se gli ])Otrà mantenere a'^!ci ; perchè e' lia impossibile (die lui pos- sa <^^^TjfiC 'riargli . E discorrendo bene con quelli vseiUjM che dalle cose antiche e mo- derne :«i ti'agg MIO la cagione di questo , vedrà es-er m Ilo piò facile il guadagnarsi amici q'ielii uomini che dello Stato innan- zi si (Il tentava no , e però ciano suoi ni- imri , ohe quelli , i quali , ]ier non se ne coiilentare=» gli divcutarouo amici , e favori- /. IL PRINCIPE. lOiJ rollio ad occuparlo . E stata consuetudine de' Principi , po' poter tenere più sicura- mente lo Stalo loro , edificare lorlezze che sieno briglia e freno di quelli che disegnas- sino fare lor contro , ed avere un rilugio siculo da un primo im])eto . lo lodo que- sto modo, pei che gli è usi lato anticamenle. IVondlmeno Mcsser iSiccolò \itelli uè' tem- pi nostri si è visto disfare due fortezze iu Cilllà di Castello , per tener quello Stato . Guid' Ubaldo Duca di Urbino, ritornato nel suo Slato , donde da Cesare Borgia era sta- to cacciato , rovinò da' fondamenti tutte le fortezze di ([uella provincia , e giudicò sen- za quelle più dUìlcilmente rlperdere quello Stato . 1 Berilivogli, ritornaii in Bologna, usa- rono simil teimiiie . Sono adunque le for- tezze utili o no secondo li tempi ; e se li fanno bene in una parte , ti offendono iu una altra . E puossi discorrere ([uesta parte così . Quel Pi'incipe che ha più paura de' popoli, che de'forestleri , de\e fare le for- tezze ; ma quello che ha più paura de' fo- restieri, che de'popoli , deve lasciarle indie- tro . Alla casa Sforzesca ha fallo e farà più £;uerra il castello di Milano che vi edificò Francesco Sforza , che alcun altro disordi- ne di quello Stalo. Però la miglior fortez- za che sia , è non esser odiato da' Popoli j perchè ancora che tu abbi le fortezze , e il Popolo ti abbi in odio , le non ti salvanoj perchè non mancano mai a' Popoli , preso che egli hauuo 1' aimi , foreslieri che gli I05 IL PRINCIPE. soccorriiio . Ne' tempi nostri non si vede che quelle abbia fat:to prollUo ad alena Principe , se non alla Contessa di Furli quando fu morto il Conte Girolamo suo consorte; perchè, mediante quella, potè fug- gire r impeto popolare, ed aspettare il soc- corso di Milano , e ricuperare lo Slato ; e li tempi stavano allora in modo, che il fo- restiero non poteva soccorrere il Popolo . Ma dipoi valsono ancor poco a lei, quando Cesai'c Borgia l' assaltò , e che il Popolo nimico suo si congiunse col forestiero. Per- tanto ed allora, e prima , saria stato più si- curo a lei non essere odiata dal Popolo , che avere le fortezze . Considerate adunque queste cose , io loderò chi farà fortezze , e cìii non le farà; e biasimerò qualunque, fi- dandosi di quelle, stimerà, poco l'essere odiato da' Popoli . CAPITOLO XXI. Come si debba governare uìi Principe ver acquistarsi riputazione . 't Nissuna cosa fa tanto stimare un Priiie cipc , quanto fiinno le grandi imprese , e il dare di sé esempi rari . Noi abhiamo nei nostri tempi Fenando Re d'Aragona, pre- sente Pte di Spaglia. Costui si può chiama- re quasi Principe nuovo , perchè d'un Re debole è dixentato per fama e per gloria il primo Pie dei Cristiani ; e se considererete IL PRINCIPE. 107 le azioni sue , le troverete tulie grandissi- me , e qualcuna straordinaria . Egli nel principio del suo regno assaltò la Granata, e quella impresa fu il fondamento dello Sla- to suo . Jn prima ci la fece ozioso , e senza sospetto di essere impedito ; tenne occu])atì in quella gli animi de' Baroni di Castiglia , li quali pensando a quella guerra non pen- savano ad innovare ; e lui acquistava in questo mezzo ri])utazione ed imperio sopra di loro, che non se ne accorgevano . Potè nutrire, con danari della Chiesa e de'Popoli, gli eserciti , e faie un fondamento con quella guerra lunga alla milizia sua , la quale di- poi lo ha onorato . Oltra questo, per potere intraprendere maggiori imprese, servendosi sempre della Pieligione , si volse a una pie- tosa crudeltà , cacciando e spogliando il suo Regno de' Manfani ; né può esseie questo esempio più mirabile, né più raro . Assaltò sotto questo medesimo mantello 1' Affrica , fece rim])resa d'Italia, ha ultimamente as- saltato la Francia , e cosi sempre ordito cose grandi , le quali hanno sempre tenuto so- spesi ed ammirati gli animi de' sudditi, od occupati neir evento di esse . E sono nate queste sue azioni in modo l' una dall' altra, che non hanno dato mai spazio agli uomini di poter quietare ed cj-erargll contro . Gio- va assai ancora ad un Principe dare di sé esempi rari circa il governo di dentio, si- mili a quelli che si narrano di Messer Ber- iiavjo di Milano , quando si ha 1' occasione I08 IL PRINCIPE. di qunlcuiio rlie operi (|iifxlrlie cosa straor- dinaria o In hene o in male nella vita ci- vile, e trovare un molo circa il premiarlo o punirlo , di che s' abbi a parlare assai . E soprattutto un Principe si deLbe ingegnare dare di se in ogni sua azione fama di gran- de ed ercellente . E ancora stimato un Prin- cipe quando egli è vero amico , o vero ni- mico , cioè quando senza alcun rispetto si scuopre in favore di alcuno contro un altro; il qual partito (la sempre più utile, che star neutrale; perdio se dnoi potenti tuoi vicini vengono alle mani, o eshi sono di qualità che vincendo un di qnclli tu abbi da teme- re del vincitore , o no . In quahmque di questi dnoi c;»si li sarà sempre più utile lo scuoprirti , e f ir buona guerra ; ])ercliò nel primo caso se lu non ti scuopri sarai sem- pre pi'cda di clìi vince con piacere e sati- sfr/.ione di colui che è stalo vinto , e non arai ragione uè cosa alcuna clie ti difenda , nò ci) e ti riceva . Perchè chi vince non vuole amici sospetti , e che nelle avversità non rajutino;chi perde non ti riceve, per non aver tu voluto con l' armi in mano correre la fortuna sua . Era ])assrlo Antioco in Grecia , messovi dagli Etoli per cacciar- ne i Promani . Mandò Antioco oratori agli Achei, che erano amici de' Romani , a con- fortarli a star di mezzo ; e dall' altra parte i Roma )i gii persuadevano a pigliare Tarmi per loro . Veune questa cosa a deliberarsi nel conciìio de^U Achei , dovfe.> il Icij^rlo IL PRINCIPE. 109 d'Antioco gli jKMsuacU'Vij a slare nciilrali; a clie il Legato Romano rispose : Quiiuto alla parie, die si dice essere ottimo ed utilis- simo allo Stalo vostro il non v'inlromettere jtiella guerra nostra , niente vi è più contra- rio ; imperocché, non vi ci intromellendo , senza grazia e senza rijnilazioue alcuna resterete premio del vincitore . E sempre interverrà, che quello che non ti è amico, ti richiederà della neutralità, e quello che ti è amico, li ricercherà (die li S'^uopra con Tarmi. E li Principi mal risoluti, ])er fug- gire i presenti pericoli, seguono il }>iii delle volte quella via neutiale, ed il più dello volte rovinano . Ma quando il Principe si scuopre gagliardamente in favore di una parte, se colui, con chi tu aderisci, vince, ancoraché sia potente e che tu rimanga a sua dis 'rezione , egli ha teco ohhligo , e vi è contratto l'amore , e gli uomini nmi so- no mai si disonesti, che con tanto esempio d'ingratitudine ti opprimessero. Dipoi le vittorie non sono mai si pros])ere , che il vincitore non ahhìa ad avere qualche rispet- to ; e massime alla giustizia. Ma se quello, con il quale tu li aresso deve animare i suoi cittadini di poter quie- tamente esercitare gli esercizi loro e nella mercanzia , e nell' agricoltura , ed iu ogiù IL PRINCIPE. ITI altro esercizio degli uomini, acciocché quel- lo non si ^jsteuga eli ornare le sue pos^scssio- Ili per lirao! e che non gli sieno tolte , e 3ueir altro di ajn iie un traffico per paura elle taglie ; ma deve preparare premi a chi vuol fare que>.te cose, ed a qualunque' pensa in qurdunque modo di ampliare la sua Città o il suo Stato . Deve oltre a que- sto ne' ^empi convenienti dell'anno tenere occupati li Popoli con feste e spettacoli ; e perchè ogni città è divisa o in arti , o in iribù , deve tener conto di quelle universi- tà , ragunarsi con loro qualche volta , da- re di sé esempio di umanità e magnificen- za; tenendo nondimeno sempre ferma la maiestà della dignità sua ; perchè questo non si vuole mai che manchi in cosa al- cuna . CAPITOLO XXII. Deìli segretari de Princìpi . Non è di poca importanza ad un Prìn- cipe la elezione de' ministri , li cjuali sono buoni o no , secondo la prudenza gnoscer- gli snrficiculi , e mantenerseli fedeli . .Ma quando siano altrimenti, sempre si può fare TT2 IL PRI!N'CIPE. non buono gindizio di lui ; perchè il prini© errore clic e' fa , lo fa in questa elezioue . Non era alcuno che cognoscesse Messer Antonio da Venafro per ministro di Pan- dolfo Petrucci Principe di Siena , che non giudicasse Pandolfo essere prudenti.ssimo uo- mo , avendo quello per suo ministro . E perchè sono di tre generazioni cervelli ; Tuno intende per se, l'altro intende quan- to da altri gli è mostro , il terzo non in- tende ne per se stesso, né per dimostrazio- ne iV altri . Quel primo è eccelleulissimo , il secondo eccellente, il terzo inutile. Con- veniva pertanto di necessità, che se Pandol- fo non era nel primo grado , fusse nel se- condo ; perchè ogni volta che uno ha il giudici o di cognoscere il bene ed il male che un fa e dice, ancoraché da sé non ab- bia invenzione, cognosce le opere triste e le buone del ministro , e quelle esalta e le altre corregge; ed il ministro non può spe- rare d'ingannarlo, e manliensi buono. Ma come un Principe possa cognoscere il mi- nistro , ci è questo modo che non falla mai . Quando tu vedi il ministro pensare più a sé, che a te , e che in tutte le azioni vi ricerca 1' utile suo , questo tale così fat- to mai non ha buon ministro , né mai te ne potrai fidare ; perchè quello che ha lo Stalo di uno in mano, non deve mai pensa- re a sé , ma al Principe ; e non gli ricor- dare mai cosri , che non appartenga a luì . E dall' altra parte il Principe per mante- IL PRINCIPE. Il3 uerlo buono deve pensare al ministro, ono- randolo , faccndol;) ricco, oLblii^andoselo , partecipandogli gli onori e carichi, accioc- ché li assai onori , le assai ricchezze con- cessegli siano causa che egli non desideri altri onori, e ricchezze, e gli assai carichi £;li faccino temere le mutazioni , cognoscen- do non potere reggersi senza lui . Quando adunque i Principi e li ministri sou) cosi fatti , possono confidare T uno dell' altro ; quando altrimenti, il line saia sempre dan- noso o per l'uno, o por l'altro. CAPITOLO XXIII. Come si debbino fuggire gli aduhitori . Non voglio lasciare indietro un capo importante, ed un errore , dal quale i Prin- cipi con difìlcultà si difendono, se non so- no prudentissimi , o se non hanno huona elezione . E questo è quello degli adulato- ri , delli quali le corti sono piene , perchè gli uomini si compiacciono tanto nelle cose lor proprie , ed iu modo vi s' ingannano , che con difflcultà si difendono da questa peste ; ed a volei-sene difendere si porta pericolo di non diventare disprezzalo . Per- chè non ci è altro modo a guardarsi dalle adulazioni, se non che gli uomini inlcndino che non ti offendono a dirti il vero ; ma quando ciascuno può diiti il vero , ti man- ca la rivcren/.a . Pertanto un Principe pru- Mach. Voi, /. 8 ri4 IL PRIIVCIPE. dente deve tenere un terzo modo, eleggen- do nel suo Stato uomini savi , e solo a quelli deve dare libero arbitrio a parlarcli la verità, e di quelle cose sole die lui do- manda , e non di altro ; ma deve doman- dargli di ogni cosa, e udire le opinioni lo- ro , dipoi deliberare da se a suo modo ; e con questi consigli , e con ciascun di loro portarsi in modo, che ognuno conosca che quanto più liberamente si parlerà , tanto più gli sarà accettato ; fuori di quelli, non volere udire alcuno , andar dietro alla co- sa deliberata , ed essere ostinato nelle deli- berazioni sue . Chi fa altrimenti o precipi- ta per gli adulatori , o si muta spesso per la variazione de' pareri ; di che ne nasce la poca estimazione sua . lo voglio a questo proposito addurre un esempio moderno . VìC Luca , uomo di ]\Iassimiliano , presen- te Imperatore , parlando di sua Maestà, dis- se , reme non si consigliava con persona , e non faceva mai d'alcuna cosa a suo mo- do; il che nasceva dal tejiere contrario ter- mine al sopradetto ; perchè Y Imperatore è nomo segreto , non comunica li suoi se- greti con persona , non ne piglia parere . Ma come nel mettergli ad effetto s' inco- minciano a conoscere e scuoprire , gì' inco- minciano ad esser contradetti da coloro che egli ha d' intorno , e quello come facile se ne sfoglie . Di cjui nasce che quelle cose che li\ r un giorno , distrugge V allro ; e che non s'intenda mai quello che vegli, o IL PRINCIPE. Il5 disegni fare , e che sopra le sue delibera- zioni non si può foiidire. Un Princijie per- tanto deve conslgliar>i sempre , ma quando lui vuole , non quando altri vuole ; anzi deve torre l'animo a ciascuno di consigliar- lo d' alcuna cosa , se non gliene domanda ; ma lui deve ben essere largo domandalore, e dipoi, circa le cose domandate, paziente auditore del vero ; anzi intendendo che al- cuno per qualche rispetto non gliene dica, turbnrsene . E perchè alcuni stimano che alcun Principe , il quale dà di sé opinione di prudente , sia così tenuto non per sua natura , ma per li buoni consigli che lui ha d' intorno , senza dubbio s' ingannano ; perchè questa non l'alia mai , ed è regola generale, che un Principe, il quale non sia savio per sé stesso , non può essere consi- gliato bene , se già a sorte non si rimettes- se in un solo che al tutto lo governasse , che fusse uomo prudentissimo. In questo caso potrìa bene esser ben governato , ma durerebbe poco , perchè quel governatore in breve tempo gli torrebbe lo Stalo; ma con- sigliandosi con più d'uno, un Principe che non sia savio, non ara mai uniti consi- gli , né saprà per sé stesso unirgli . Dei consiglieri ciascuno penserà alla proprietà sua ; ed egli non gli saprà correggere , ne cognoscere . E non si possono trovare altri- menti , perchè gli uomini sempre ti riusci- ranno tristi , se da una nccessitii non sono fatti buoni . Però si couchiude che li buo- Il6 IL PK-tNClPE. ili consigli , da qualunque venghino, con- tiene naschino dalla prudenza del Princi- pe , e non la prudenza del Principe da* buoni consigli . CAPITOLO XXIV. Perchè i Prìncipi d'Italia abbino perduto i loro Stati . Le cose sopradette osservate prudente- mente fanno parere un Principe nuovo an- tico ; e lo rendono subito più sicuro e più fermo , die se vi fosse anticato dentro . Perchè un Principe nuovo è molto più os- servato nelle sue azioni , che uno eredita- rio ; e quando le son cognosciute virtuose, si guadagnano molto più gli uomini , e molto più gli obbligano, che il sangue anti- co; perchè gli uomini sono molto più pre- si dalle cose presenti, che dalle passate ; e quando nelle presenti ei trovano il bene , vi si godono, e non cercano altro; anzi pi- gliano ogni difesa di lui , quando il Prin- cipe non manchi nelle altre cose a sé me- desimo. E cosi ara dnplicata gloria di aver dato principio ad un Principato nuovo , ed ornatolo, e corroboratolo di buone leggi , di buone armi , di buoni amici , e di buo- ni esempi ; come quello ara duplicata ver- gogna , che è nato Principe , e per sua po- ca prudenza l' ha perduto . E se si conside- ra quelli Signori che in Italia hanno per- IL PRINCIPE. 117 dato lo Stato ne' nostri tempi , come il Re di Napoli, Duca di Milano, e altri , sì tro- vera in loro prima un comune difetto quanto all' armi , per le cagioni che di so- pra a lungo si sono discorse ; dipoi si ve- drà alcun di loro o che avrà avuto nimici i popoli, o se avrà avuto amico il popolo, non si sarà saputo assicurare de' grandi ; perchè senza questi difetti non si perdono gli Stati che abbino tanti nervi , che possi- no tenere un esercito alla campagna. Filip- po Macedone , non il Padre di Alessandro Magno , ma quello che fu da Tito Quiu^ zio vinto , aveva non molto Stato rispetto alla grandezza de' Romani, e di Grecia , che r assaltò ; nientedimeno , per essei^e uomo militare , e che sapeva intrattenere i popo- li , ed assicurarsi de' grandi , sostenne più anni la guerra contro di quelli ; e se alla fine perde il dominio di qualche città , gii rimase nondimanco il Regno . Pertanto que- sti nostri Principi , i quali molti anni era- no stati nel loro Principato , per averlo di- poi perso , non accusino la fortuna , ma 1' ignavia loro ; perchè non avendo mat pensato ne' t*inpi quieti che possijio mutar- si ; (il che è comune difetto degli uomini nou far conto nella bonaccia della tempe- sta ) quando poi vennero i tempi avversi , pensarono a fuggirsi , non a difendersi , e sperarono che i popoli, infastiditi per la in- solenza de* vincitori , gli richiamassero . Il quale partito, quando mancano £^U altri. Il8 IL PRINCIPE. è buono ; ma è ben male aver lasciato gli altri rimedi per quello ; perchè non si vor- rebbe mai cadere per credere poi trovare chi ti ricolga. Il che, o non avviene, o se egli avviene , non è con tua sicurtà , per essere quella difesa vile , e non dipendere da te ; e quelle difese solamente sono buo- ne, certe, e durabili, che dipendono da te proprio , e della virtù tua . CAPITOLO XXV. Quanto possa nelle umane cose la fortuna^ e in che modo se gli possa ostare . Non mi è incognito come molti hanno avuto ed hanno opinione , che le cose del mondo siano in modo governate dalla for- tuna, e da Dio, che gli uomini con la pru- denza loro non possino correggerle , anzi non vi abbino rimedio alcuno ; e per que- sto potrebbono giudicare che non fosse da insudare molto nelle cose , ma lasciarsi go- ■vernare dalla sorte . Questa opinione è su- ta più creduta ne' nostri tempi per la va- riazione delle cose grandi , che si sono vi- ste, e veggonsi ogni dì fuori di ogni uma- 'na conjeltura . Al che pensando io qualche volta , sono in qualche parte inchinato nel- la opinione loro . Nondimanco , perchè il nostro libero arbitrio non sia spento , giu- dico potere esser vero , che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre , ma IL PRINCIPE. IIQ che ancora ella ne lasci governare V altra metà , o poco meno , a noi . Ed assomiglio quella ad un fiume rovinoso, che, quando ei si adira, allaga i piani , rovina gli arbori e gli edifici, lieva da questa parte terreno, ponendolo a quell'altra; ciascuno gii fugge davanti; ognuno cede al suo furore, sen- za potervi ostare ; e benché sia così fatto , non resta ])erò che gli uomini , quando sono tempi quieti , non vi possino fare provvedimenti e con ripari, e con argini, inmodochè crescendo poi, o egli anderebbe ])cr un canale , o V impeto suo non sareb- be sì licenzioso, né sì dannoso. Similmente interviene della fortuna, la quale dimostra la sua potenza dove non è ordinata virtù a resistere , e quivi volta i suoi impeti, do- rè la sa che non sono fattigli argini, ne i ripari a tenerla . E se voi considererete TI- talia , che è la sede di queste variazioni , e quella che ha dato loro il moto , vedre- te essere una campagna senza argini, e sen- za alcun riparo . Che se la fusse riparata da conveniente virtù , come è la Magna , la Spagna, e la Francia, questa inondazio- ne non avrebbe fatto le variazioni grandi che r ha , o la non ci sarebbe venuta . E questo voglio basti aver detto quanto all'op- porsi alla fortuna in universale , Ma ri- stringendomi più al particulare, dico, co- me si vede oggi questo Principe lelicitare , e domani rovinare, senza vederli aver mu- lato natura, o qualità alcuna , 11 che credo 120 IL PRINCIPE. nasca prima dalle cagioni che si sono luu- gamenle per lo addietro trascorse ; cioè, che quel Principe che si appoggia tutto in sul- la fortuna, rovina come quella varia . Cre- do ancora , che sia felice quello , il modo del cui procedere si riscontra con la qua- lità de' tempi , e similmente sia infelice quello , dal cui procedere si discordano i tempi . Perchè si vede gli uomini nelle co- se che gì' inducono al fine , quale ciascuno ha innanzi , cioè gloria e ricchezze , pro- cedervi variamente , 1' uno con rispetti , r altro con impeto , 1' uno per violenza , l'altro per arte; V uno con pazienza, l'al- tro col suo contrario ; ciascuno con questi diversi modi vi può pervenire . E vedesi ancora duoi respettivi , V uno pervenire al suo disegno, l'altro no; e similmente duoi egualmente felicitare con due diversi studi, essendo 1' uno respettivo , 1' altro impetuo- so ; il che non nasce da altro , se non da qualità di tempi che si conformino o no col ])rocedcre loro. Di qui nasce quello ho detlo che duoi, diversamente operando, sortiscano il medesimo effetto ; e duoi egualmente operando , 1' uno si conduce al suo fine, l'altro no. Da questo ancora di- pende la variazione del hene ; perchè se a uno, che si governa con rispetto e pazienza, i tempi e le cose girano in modo che il governo suo sia buono , esso viene felici- tando ; ma se li tempi e le cose si muta- no , egli rovina , jaerchè non muta mode IL P 11 I N C I P E . 121 dì procedere. JNè si trova nomo sì pruden- te , che si sappia accordare a questo , sì perchè non si può deviare da quello, a che la natura l' inclina ; si ancora perchè aven- do uno sempre prosperato camminando per una via, non si può persuadere, che sia hene ])artirsi da quella ; e però T uomo ri- spettivo, quando i^li è tempo di venire al- l' impeto non lo sa fare ; donde egli rovi- na ; che se si mutasse uatm-a con li tempi e con le cose , non si muterebbe fortuna . Papa Giulio II procedette in ocjni sua azio- ne impetuosamente , e trovò tanto i tempi e le cose conformi a quel suo modo di procedere , che sempre sortì felice fine . Considerate la prima impiesa che fece di Boloi^na , vivendo ancora Messcr Giovanni Bentivoi^li . I Vini/.Iani non se ne contenta- vano, il Re di Spagna similmente con Fran- cia aveva ragionamento di tale impresa ; e lui nondimanco con la sua ferocità ed im- ])eto si mosse personalmente a quella espe- di z ione , la qual mossa fece star sospesi e fermi e Spagna , e i Viniziani ; quelli per paura, quell'altro per il desiderio di ricu- 2)erare tutlo il Regno di Napoli; e dell'al- tra parte si tirò dietro il Re di Francia , perchè vedutolo quel Re mosso , e deside- rando fai'selo amico per abbassare i Vini- ziani , giudicò non poterli negare le sue aenti senza ingiuriarlo manifeslameiite. Con- dusse adunque Giulio con la sua mossa impetuosa quello che mai altro Pontefice 122 IL PRINCIPE. con tutta r umana pi^udenza avrìa condut- to ; perchè, se egli aspettava di partirsi da Roma con le conclusioni ferme, e tutte le cose ordinate, come qualunque altro Pon- tefice arebbfì fatto, mai non gli riusciva. Perchè il Re di Francia avria trovate mil- le scuse , e gli altri gli arebbero messo mille paure . Io voglio lasciare stare le al- tre sue azioni , che tutte sono state simi- li , e tutte gli sono successe bene , e la brevità della vita non gli ha lasciato sen- tire il contrario ; perchè se fossero soprav- venuti tempi che fosse bisognato procede- re con rispetti , ne seguiva la sua rovina ; perchè mai non arebbe deviato da quelli modi , a' quali la natura lo inchinava . Conchiudo adunque, che, variando la fortu- na , e gli uomini stando nei loro modi ostinati , sono felici mentre concordano insieme , e come discordano sono infelici . Io giudico ben questo , che sia meglio es- sere impUuoso, che rispettivo, perchè la Fortuna -3 donna; ed è necessario, volen- dola tene sotto, batterla, ed urlarla; e si vede che la si lascia più vincere da questi, che da quelli che freddamente procedono. E però sempre, come donna, è amica de* giovani , peichè sono meno rispettivi , più feroci , e con più audacia la comandano . IL PRINCIPE. 123 CAPITOLO XXTI. Esortazione a liberare la Italia clcC barbari. Considerato adunque tutte le cose ex sopr.i discorse , e pensando meco medesimo se al presente in Italia correvano tempi da onorare un Principe nuovo , e se ci era materia che desse occasione a uno prudente e virtuoso d' introdurvi nuova forma , che facesse onore a Jui , e bene alla università degli uomini di quella , mi pare concorrino taiile cose in benelicio di un Principe nuo- vo , che non so qual mai tempo fusse più atto a questo . E se , come io dissi , era necessario , volendo vedere la virtù di Moisè, che il popolo d' Istrael fusse schiavo in Egit- to , ed a conoscere la grandezza e X animo di Ciro , che i Persi fussero oppressi da'Me- di , e ad illustrare T eccellenza di Teseo , che gli Ateniesi fussero dispersi ; così ai pi-esente, volendo conoscere la virtù di uno spirito Italiano , era necessario che T Italia si conducesse ne' termini presenti , e che la fusse più schiava che gli Ebrei, più serva che i Persi , più dispersa che gli Ateniesi , senza rapo , senz' ordine , battuta , spogliata, lacera , corsa , ed avesse sopportalo di ogni «orta rovine . E benché iailno a qui si sia mostro qualche spiraculo in qualcuno d-i poter giudicare che fusse ordinato da Dio 124 IL PRINCIPE. per sua redenzione ; nientedlmanco si è Visio come dipoi nel più alto corso delle azioni è stato dalla fortuna reprobato in modo, che, rimasa come senza vita , aspetta qual possa esser quello che sani le sue fe- rite, e ponga line alle direpzioni, e a' sacchi di Lombardia , alle espilazioni , e taglie del Reame, e di Toscana, e la guarisca di quelle sue piaghe già per il lungo tempo infistolite . Vedesi come la pi'Cga Dio che le mandi qualcuno , che la redima da queste crudeltà ed insolenzie barbare . Vedesi an- cora tutta prona e disposta a seguire una bandiera, purché ci sia alcuno che la pigli . Né si vede al presente in quale la possa più sperare, che nella illustre casa vostra, la quale con la sua virtù e fortuna , favorita da Dio e dalla Chiesa , della quale ora è Principe , possa farsi capo di questa reden- zione . E questo non vi sarà molto diffici- le, se vi recherete innanzi le azioni e vite de' soprannominati . E benché quelli uomini siano rari e maravigliosi ; nondimeno furo- no uomini, ed ebbe ciascuno di loro mino- re occasione, che la presente; perché l'im- presa loro non fu più giusta di questa , né più facile; né fu Dio più a loro amico, che a voi . Qui é giustizia grande , perchè quella guerra é giusta, che gli è necessaria; e quelle armi sono pietose , dove non si spei-a in altro , che in elle . Qui é disposi- zione granilissima ; né può essere , dove è grande disposizione, grande difficultà; pur- IL PRINCIPE. 125 che quella pigli clelli ordini di coloro che io vi ho proposto per mira . Oltre a questo , qui si veggono straordinari 4;enza esempio condutll da Dio : il mare s' è aperto , una nube vi ha scorto il cammino , la pietra ha versato 1' acqua ; qui è ])iovuto la manna , ogni cosa è concorsa nella vostra grandezza ; il rimanente dovete far voi . Dio non vuole far ogni cosa , per non ci torre il libero arbitrio , e parte di quella gloria che tocca a noi . E non è maraviglia se alcuno de' pre- nominati Italiani non ha possuto far quello che si può sperare facci la illustre Casa \ oslra , e se in tante revoluzioni d'Italia, ed in tanti maneggi di guerra , e' pare sem- pre che in quella la virtù militare sia spen- ta ; perchè questo nasce che gli ordini an- tichi di quella non erano buoni , e non ci è suto alcuno che abbia saputo trovare de' nuovi . Nessuna cosa fa tanto onore ad un uomo che di nuovo surga , quanto fan- no le nuove leggi e nuovi ordini trovati da lui . Queste cose quando sono ben fondate , ed abbino in loro grandezza, lo fanno reve- rendo e mirabile ; ed in Italia non manca materia da introdurvi ogni forma . Qui ò virtù grande nelle membra , quando ella non mancasse ne' capi . Specchiatevi nelJi duelli , e nei congressi de' pochi , quanto gì' Italiani siano superiori con le forze, con la destrezza , con 1' ingegno . Ma come si viene agli eserciti, non compariscono; e tut- to procede dalla debolezza de' capi , p«rchè 126 IL PRINCIPE. quelli che sauDO, non sono ubbidienti , ed a ciascuno par sapere, non ci essendo intino a qui suto alcuno die si sia rilevato tanto e per virtù e per fortuna, che gli altri ce- dine . Di qui na.sce che in tanto tempo , in tante giierr'^ fatte ne' passati venti anni , quando gli è stato un esercito tulio Italia- no , sempre hi fatto mala prova ; di che è testimone prima il Taro ; dipoi Alessan- dria , Capua, Genova , Vaila , Bologna, Me- stri . V >lendo dunque l'illustre Casa Vostra seguitare quelli eccellenti uomini , che re- dimerono le provincie loro , è necessario innanzi a tutte le altre cose , come vero fondamento di ogni impresa , provvedersi di armi proprie ; perchè non si può avere né più fidi , uè più veri , uè migliori sol- dati . E benché ciascuno di essi sia buono , tutti insieme diventeranno migliori , quando si vedranno comandare dal loro Principe , « da quello onorare e intrattenere . E ne- cessario pertanto prepararsi a queste armi , pei' potersi con virtù Italiana difendere da- gli esterni . E benché la fanteria Svizzera , e Spagnuola sia stimata terribile ; nondì man- co in ambedue è difetto, per il quale uno ordine terzo potrebbe non solamente oppor- si loro, ma confidare di superargli . Perchè gli Spagnuoli non possono sostenere i ca- valli , e gli Svizzeri hanno ad aver paura de' fanti , quando gli riscontrino nel com- battere ostinati come loro . Donde si è ve- duto , e vedrassi per isperienza , gli Spa- IL PRINCIPE. 127 gnnoll non poter sostenere una caTalleria Francese , e gli Svizzeri essere rovinati da ima fanteria Spagnuola . E Ijcnchè di que- st' ultimo non se ne sia vista intera spe- ricnza ; nientedimeno se ne è veduto un saggio nella giornata di Ravenna, quando le fanterie S])agnnole si affrontarono con le battaglie Tedesche, le quali servano il medesimo ordine che i Svizzeri , dove gli Spagnuoli con V agilità del corpo , e aiuti de' loro brocchieri erano entrali tra le pic- che loro sotto, e stavano sicuri ad offen- dergli , senza che li Tedeschi vi avessino rimedio; e se non fusse la cavalleria che gli urtò , gli arebbono consumati tulli . Puossi adunque, cognosciuto d difetto del- l' una e dell' altra di queste fanterie , or- dinarne una di nuovo , la quale resista a* cavalli , e non abbi paura de' fanti ; il che lo farà non la generazione delle armi , ma la variazione degli ordini . E queste sono di quelle cose che, di nuovo ordinate dan- no riputazione , e grnndezza a un Principe nuovo. Non si deve adunque lasciar passa- re questa occasione , acciocché la Italia vci^ga dopo tanto tempo apparire un suo redentore . ÌNè posso esprimere con quale amore ei fusse ricevuto in tutte quelle Provincie che hanno patito per queste il- luvioni esterne , con qual scie di vendetta, con che ostinata fede, con che pietà, con che lacrime. Quali porte se gli serrcn bhono? quali popoli gli negherebbouo la obbidieii,- 12^ IL PRINCIPE. 7.;i? quale invidia se gli opporrebbe? quale Italiano gli negherebbe i' ossequio ? Ad ognuno puzza questo barbaro dominio . Pi- gli adunque la illustre Casa Vostra questo assunto con quello animo, e con quelle spe- ra«ize che si pigliano 1' imprese giuste , ac- ciocché sotto la sua insegna questa patria ne sia nobilitata , e sotto i suoi auspici si verifichi quel detto del Petrarca : l^irtà contro al furore Prenderà l'armi , e Jìa il combatter corto ; Che r antico valore Negli Italici cuor non è ancor morto. FINE DEL PIUNCIPE . LA VITA DI CASTRTJCCIO CASTRACANI DA LUCCA DI SCRJ T T A DA NICCOLÒ MACHIAVELLI E MA>JDATA A ZANOBI EUONDELMOVxr ED A LLIGI ALAMANNI SUOI AMICISSIMI. E pare , Zanobi , e Luigi carissimi , a quelli che la considerano, cosa maraviglio- sa , che tutti coloro , o la maggior parte d' essi , che hanno in questo mondo opera- to grandissime cose , e tra gli altri della loro età siano stati eccellenti, abbiano avu- to il principio e nascimento loro basso ed oscuro , ovvero dalla fortuna , fuora di ogni modo , travagliato ; perchè tutti o e' sono stati esposti alle fiere , o eglino hanno avu- to si vile padre, che, vergognatisi di quel- lo , si sono fatti figliuoli di Giove , o di qualche altro Dio . Quali sieno stati que- sti , sendone a ciascuno noti molti , sareb- be cosa a replicare fastidiosa , e poco ac- cetta a chi leggesse ; perciò come superflua la posporremo . Credo bene che questo na- sca , ciie volendo la fortuna dimostrare al mondo d' essere quella che faccia gli uomi- Mach, T'oL I. 9 l3o VITA Ili grandi , e non ]a prudenza , comincia a dimostrare le sue forze in tempo che la prudenza non ci possa avere alcuna parte ; anzi da lei si abbia a riconoscere il lutto . Fu adunque Castruccio Castracani da Luc- ca uno di quelli, iì quale, secondo i tempi, ne' quali visòC , e la città donde nacque , fece cose grandissime, e, come gli altri, non ebbe più felice , né più nolo nascimento , come nel ragionare del corso della sua vi- ta s'intenderà; la quale mi è parso ridur- re alla memoria degli uomini , parendomi avere trovato in essa molte cose, e quanto alla virtù, e quanto alla fortuna, di grandis- simo esempio . E mi è parso indrizzarla a voi , come a quelli che , più che altri no- mini che io conosca , delle azioni virtuose vi diìetate . Dico adunque, che la ftimiglia de' Ca- stracani è connumerata Ira le famiglie uo- Llll della città di Lucca , ancora eh' ella sia in questi tempi , secondo V ordine di tutte le mondane cose , mancala . Di que- sta nacque già un Antonio, che, diventato religioso , fu calonaco di San Michele di Lucca , ed in segno di onore era chiamato Messer Antonio . Non aveva costui altri che una sorella , la quale maritò già a BuonafVM)rso Cenami; ma sendo Buonaccor- so morto , ed essa rimasta vedova , si ri- dusse a slare col fratello con animo di non più rimaritarsi . Aveva Messer Antonio , die- tro alla casa ch'egh abitava , una vigna , iu DI CASTRUCCIO. iSt I la qiiale , per avere ai confini di molti or- ti, ila molte parti, e senza molta diffìcultù tì si poteva entrare . Occorse che andando una ra^attina poco poi levala di sole Ma- donna Dianora ( che cosi si chiamava la sirocchia di riesser Antonio) a spasso per la vigna , cogliendo , secondo il costume delle donne , certe erbe per farne certi condi- menti , sentì frascheggiare sotto una vite tra i pampini , e , rivolti verso qat^ila parte gli occhi , senti come piagnere . Onde che tiratasi verso quel romore, scoperse le ma- ni e il viso d' uno bambino , che rinvolto nelle foglie pareva che aiuto le domandasse. Talché essa, parte maravigliala, parte sbi- gottita , ripiena di compassione e di stupo- re, lo ricoise , e portalo a casa, e lavatolo, e rinvoltolo in panni bianchi , come si co- stuma, lo presentò, alla tornata in casa, a Messer Antonio . Il quale udendo il caso , e vedendo il fanciullo , non meno si riem- piè di maraviglia e di pietade , che si fus- se ripiena la donna ; e consigliatisi tra lo- ro , quale partito dovessero pigliare , deli- berarono allevarlo , sendo esso prete , e quella non avendo figliuoli. Presa adunque in casa una nutrice , con quello amore che se loro figliuolo fusse , lo nutricarono. Ed avendolo fatto battezzare , per il nome di Castruccio loro padre lo nominarono . Cresceva in Castruccio con gli anni la gra- zia , ed in ogni cosa dimostrava ingegno e prudenza; e presto, secondo l'età, imparò l32 VITA. quelle cose , a che da Messer Antonio era iiidinVzato ; il quale disegnando di farlo Srtcenl ite , e con il tempo riuunziarii il ca- lonacato, ed altri suoi benefìcii , secondo ta- le iv'.e lo ammaestrava ; ma aveva trovalo sug^^elto ali' a^ìimo sacerdotale al tulio di- sforme . Perchè come pi* ma Castruccio pervenne all'età di quattordici anni, e che incominciò a pigliare un poco di animo sopra Messer Antonio e Madonna Dianora, e non gli temer punto , lasciali i libri ec- clesiastici da parte , cominciò a trattare r armi ; né di altro si diiettava, che o di maneggiare quelle , o con gli altri suoi eguali correre , saltare , fare alle braccia , e simili esercizi ; dove ei mostrava virtù di animo e di corpo grandissima , e di lunga tutti gli altri della sua età superava . E se pure ei leggeva alcuna volta , altre lezioni iiou gli ])iacevano , che quelle che di guerre , o di cose fatte da grandissimi uo- mini ragiouassino . Per la qual cosa Mes- ser Antonio ne riportava dolore , e noia inestimabile . Era nella città di Lucca un gentiluo- mo della famiglia de' Guinigi , chiamato Messer Francesco , il quale per ricchezza , per grazia , e per virtù passava di lunga tutti gli altri Lucchesi , lo esercizio del quale era la guerra , e sotto i Visconti di Milatio aveva lungamente militato; e per- chè Gliihellino era , sopra tutti gli altri che quella parte in Lucca seguitavauo, era DT CASTRUCCIO, l33 Stimato . Costui trovandosi in Liicna , e ra- gnnaiidosi sera e mattina con gli altri cit- tadini sotto la log£»la del Podestà, la quale è in testa della piazza di S. Michele, che è la prima piazza di Lucca, vide più volte Ca- struccio con gli altri fanciulli della contra- da in quelli esercizi, che io dico di sopra, esercitarsi ; e parendoli che oltre al supe- rarli , egli avesse sopra di loro uua autori- tà regia , e che quelli in un certo modo lo amassino e reverisslno , diventò somma- mente desideroso d'intendere di suo essere. Di che sondo informato dai circostanti , si accese di maggior desiderio di averlo ap- presso di se ; ed un giorno chiamatolo , il domandò dove più volentieri starcbhe, o iii casa di un gentiluomo che gì' insegnasse cavalcare e trattare armi , o in casa d' un prete , dove non si udisse mai altro , che uffìzi e messe . Conobbe Messer Francesco quanto Castruccio si rallegrò , sentendo ri- cordare cavalh ed armi ; ])ure , stando un poco vergognoso , e dandoli animo Mes- ser Francesco a parlare, rispose, che quan- do piacesse al suo Messere , che non po- trebbe avere maggior piacere che lasciare gli studi del prete , e pigliare quelli del soldato . Piacque assai a Messer Francesco la risposta , ed in brevissimi giorni operò tanto , che Messer Antonio gliene conce- dette; a che lo spinse, più che alcun' altra cosa , la natura del fanciullo , eludlcando nou lo potere tenere molto tempo così . l34 VITA Passato pertanto Castruccio di casa di Messer Antonio Castracani calouaco iu casa di Messer Francesco Guinigi condottiero , è cosa straordinaria a pensare in quanto brevissimo tempo ei diventò pieno di tuite q nelle virtù e costumi , che in un gentil- uomo si richieggono . In prima ei si fece uno eccellente cavalcatore , perchè ogni fe- rocissimo cavallo con somma destrezza ma- neggiava; e nelle giostre e ne' torniamenti , ancora che giovinetto , era , ])iù che alcun altro, riguardevole; tantoché in ogni azione o forte, o destra, non trovava uomo che lo superasse . A che si aggiugnevano i costu- mi, dove si vedeva una modestia ineslima- Bìle ; perchè mai non se gli vedeva fare alto , o sentivasigli dire parola che dispia- cesse , ed era riverente ai maggiori , mo- desto con gli eguali , e con gì' inferiori piacevole . Le quali cose lo f^icevano nou solamente da tutta la famìglia di Guinigi , ma da tutta la città di Lucca amare . Oc- corse in quelli tempi, scudo già Castruccio di diciotto anni , che i Ghibellini furono cacciati dai Guelfi di Pavia , in favore de' quali fu mandato dai \isconti di Milano Messer Francesco Guinigi , con il quale andò Castrnccio , come quello che aveva il y pondo di tntta la compagnia sua ; nella quale espedizione Castruccio dette tanti saggi di sé di prudenza e d' animo , che ninno che in quella impresa si trovasse , ne acquistò grazia appresso di qualunque , ni CASTR UCCIO. i3i> q^nanta ne riportò cì:;]ì ; e non solo il no- me suo in Pavia , ma Ìq tiUla la Lomljar- tlia diventò grande ed onorato . Tornato adunque in Lucca Caslruccio, assai più slimato che al ])arlire suo non era , non mancava , in quanto a lui era possibile , di farsi amici , osservando tutti quelli modi , che a guadagnarsi uomini so- no necessari . Ma scudo venuto Messer Francesco Guiniiii a morte , ed avendo la- ri . . sciato un suo figliuolo di età di anni tredi- ci chiamato Pagolo , lasciò tutore e gover- natore de' suoi beni Castruccio , avendolo innanzi al morire fatto venire a se , e pre- gatolo che fusse contento allevare il suo fisHuolo con quella fede che era stato alle- vato egli , e quelli meriti che non aveva |X)tuto rendere al padre, rendesse al figliuo- lo . Morto pertanto Messer Francesco Gui- nigi , e rimasto Castruccio governatore e tuttore di Pagolo , accrebbe tanto in ripu- ta/rione , e potenza , che quella grazia che soleva aveie in Lucca , si converti parte in invidia, talmente che molti , come uomo so- spetto , e che avesse l'animo tirannico, lo calunniavano ; tra i quali il primo era Messer Giorgio degli Opizi , capo della par- te Guelfa . Costui sperando per la morte di Messer Francesco rimanere come Prin- cipe di Lucca, gli pareva che Castruccio, sendo rlmas^o in quel governo per la grazia che gli davano le sue quahtà, glie- ne a vesse tolta ogni occasione ; e per (jue- / l35 VITA sto andava seminando cose clic gli toglles- sino grazia ; di clie Castriiccio pjcse prima sdegno , al quale poco dipoi si aggiunse il sospetto , perchè pensava che Mtsser Gior- gio non poserebbe mai di mttlerlo in vai- sgrazia al Vicario del Re Ruberto di INapo- li , che lo farebbe cacciare di Lucca . Era Signor di Pisa in quel tempo Uguc- cione della Faggiuola d' Arezzo , il quale ■prima era stato eletto da' Pisani loro capi- tano , dipoi se n' era fiilto Signore ; appres- so Uguccione si trovavano alcuni fuorusciti Lucchesi della parte Ghibellina , con i qua- li Castruccio tenne pratica di rimetterli con lo ajuto di Uguccione , e comunicò ancora questo suo disegno con i suoi amici di den- tro , i quali non potevano sopportare la potenza degli Opizi . Dato pertanto ordine a c|uelio che dovevano fare , Castruccio cautamente affortificò la torre degli Onesti, e quella riempiè di munizione e di molta vettovaglia, per potere, bisognando, mante- nersi in quella qualche giorno ; e venuta la notte che si era composto con Uguccio- ne , dette il segno a quello , il quale era sceso nel piano con di molta gente tra i monti e Lucca ; e veduto il segno si acco- stò alla porta di S. Piero , e mise fuoco nello antiporto . Castruccio dall' altra parte levò il roniore, chiamando il p polo alfar' me , e sforzò la porta dalla parte di den- tro . Talché entrato Uguccione e le sue genti , corsono la teira , e ammazzai'ono DI CASTR UCCIO. loj Messer Giorgio con luUi quelli della sua iamiglia , e con molti altri suoi amici e partigiani, ed il governatore cacciarono, e lo stato della città si riformò secondo che ad Uguccionc piacque , con grandissimo danno di quella ; perchè si trova che più di ceuto famiglie furono cacciale allora di Lucca . Quello che fuggirono , una parte ne andò a Firenze, un'altra a Pistoja ; le quali città erano rette da parte Gu-elfa , e per questo venivano ad essere iuimiclie ad Uguccionc , ed a' Lucchesi . E parendo a' Fiorentini ed agli altri Guelfi , che la parte Ghibellina avesse pre- so in Toscana troppa autorità, conveunono insieme di rimettere i fuorusciti Lucchesi ; e, fatto un grosso esercito, ne vennono in Val di ÌNievolc , e , occupalo Montecatini , di quivi ne andarono a campo a Montecar- lo per avere libero il passo di Lucca. Per- tanto Uguccione , ragunata assai gente Pisa- na e Lucchese, e di più molti cavalli Tede- schi che trasse di Lombardia , andò a tro- vare il campo deTioreutini , il quale, senten- do venire i nimi( i , si era partilo da Mon- tecarlo , e postosi Ira Montecatini e Pescia; ed Uguccione si mise sotto Montecarlo pro- pinquo a' nimici a due miglia , dove qual- che giorno tra i cavalli dell' uno e dell' al- tro esercito si fece alcuna leggiera zuffa ; perchè sendo ammalato Uguccione , i Pisa- ni e i Lucchesi si fuggivano di fare la gior- nata con li nimici . Ma scado Uguccione l38 V I T A^ ^ aggravato nel male , si ritirò per curarsi a Montecarlo , e lasciò a Castruccio la cura dello esercito . La qual cosa fu la rovina de' Guelfi ; perchè questi presono animo , parendo loi^o che lo esercito nimico fusse rimasto senza capitano . Il che Castruccio conobbe , e attese per alcuni giorni ad ac- crescere in loro questa opinione , mostran- do di temere , non lasciando uscire alcuno delle munizioni del campo; e dall'altra parte i Guelfi quanto più vedevano questo timore , tanto più diventavano insolenti , e ciascun £;iorno ordinati alla zuffa si presen- tavano all'esercito di Castruccio. Il quale, parendoli avere dato loro assai animo , e conosciuto r ordine loro , deliberò fare la rriornata con quelli ; e prima con le paiole fermò 1' animo de' suoi soldati , e mostrò loro la vittoria certa , quando volesslno ubbidire agli ordini suoi . Aveva Castruc- cio veduto come li nimici avevano messe tutte le loro forze nel mezzo delle schie- re e le genti più deboli nelle corna di cinelle ; onde che esso fece il contrario, ])erchè messe nelle corna del suo esercito la più valorosa gente avesse , e nel mezzo quella di meno stima . E nsclto de' suoi allo<^2Ìamenti con questo ordine, come pri- ma venne alla vl.bta dello esercito nimico , il quale insolentemente, secondo l'uso, lo veniva a trovare, comandò che le squadre del mezzo andassero adagio , e quelle del- le corna con prestezza si mo vessino . Tan- DI CASTRUCCIO. iSg to che, quando venne alle mani con i ni- mici , le corna sole dell' uno e dell' allro esercito combattevano , e le schiere del mezzo si posavano; perchè le genti dimez- zo di Castrnccio erano rimaste tanto indie- tro , che quelle di mezzo degli nimici non le aggiugnevano ; e così venivano le più gagliarde genti di Castrnccio a combattere con le più deboli degli nimici , e le più gagliarde loro si posavano , senza potere offendere quelli avevano allo incontro , o dare alcuno aiuto a'snoi. Talché senza molta difìlcultà i nimici dall'uno e dall' allro cor- no si misono in volta ; e quelli di mezzo aucora , vedendosi nudati dai liauchi de' suoi , senza aver potuto mostrare alcuna loro virtù , si fuggivano . Fu la rotta e la uccisione grande , perchè vi furono morti meglio che diecimila uomini con molti ca- porali e grandi cavalieri di tutta Toscana di parte Guelfa , e di più molti Principi che erano venuti in loro favore , come fu- rono Piero fratello del Re Paiberto , e Car- lo suo nipote , e Filippo Signore di Taran- to ; e della parte di Castrnccio non ag- gi unsono a trecento , tra' quali morì Fran- cesco figliuolo di Uguccione , il quale gio- vinetto, e volontieroso nel primo assalto fa morto . Fece questa rotta al tutto grande il nome di Castrnccio, in tanto che ad Uguc- cione entrò tanta gelosia e sospetto dello stalo suo, che non mai pensava, se non co- 140 VITA me lo potesse spegnere , parendogli clie quella vili orla gli avesse non dato , ma tol- to r imperlo. E stando, in (jnesto pensiero, aspettando occasione onesta di mandarlo ad effetto , occorse che fu morto Pier' Agnolo Miciicll in Lucca , uomo qualificato e di grande stimazione , V ucciditore del quale si rifuggì in casa di Castruccio ; dove an- dando i sei'genti del capitano per prender- lo, furono da Castruccio ributtati, in tanto che l'omicida, mediante gli aj ut i suoi, si sal- vò . La qua! cosa sentendo Uguccione, che allora si trovava a Pisa, e parendoli avere giusta cagione a punirlo, chiamò Neri suo figliuolo , al quale aveva già data la signo- ria di Lucca , e li commise che sotto tito- lo di convitare Castruccio , lo prendesse e facesse morire . Dondechè Caslruccio an- dando nel palazzo del Signore domestica- mente , non temendo di alcuna ingiuria , fu prima da INeri rllenuJo a cena, e dipoi preso. E dubitando Neri die, nel farlo mo- rire senza alcuna gius'ificazione , il popolo non si alterasse , lo serbò vivo , per inten- dere meglio da Ugucclone come gli pares- se da governarsi. 11 quale biasimando la tardità e villa del flgliuoiO, per dare per- fezione alla cosa, con (pialtroceuto cavalli si USCI di Pisa per andare a Lucca; e non era ancora arrivato pi Bagni , < he i Pisani presono 1' armi , e ucclsono il Vicario di Ugucclone , t' gli allrl di sua famln;lia ciie erano restati in Pisa, e fcciono lor Signore DI CASTRUccio. i4r .^ Conte Gaddo delia Gherardcsca . Seuii Uguccione, prima arrivasse a Lucca, l'acci- dente seguito iu Pisa ; uè gli parse di tor- nare indietro, acciocché i Lucchesi con re- sempio dei Pisani non li serrassino ancora quelli le porte . Ma i Lucchesi sentendo i casi di Pisa, nonostante che Uguccione fus- se venuto iu Lucca , presa occasione della liberazione di Caslr uccio, cominciarono pri- ma ne' circoli per le piazze a parl.ire senza rispetto, dipoi a fare tumulto; e da quello veunouo all' armi , domandando che Ca- slruccìo fusse libero ; lauto che Uguccione per timore di peggio lo trasse di prigione. Dondechè Caslruccio subito radunati suoi amiM , con il favor del popolo lece im|)e- to contro ad Uguccione , ii quale, vedendo non avere rimedio, se ne fuggì con gli ami- ci suoi , e ne andò in Lombardia a trova- re i Signori della Scala , dove poveramente morì . Ma Gistruccio di prigioniero d'ventalo come Principe di Lucca , operò con gli amici suoi e con il favore fre-.co del j)oi)o- lo iu modo , che fu fatto capitano delie lo- ro genti per un anno; ii che ottenuto, per darsi riputazione della guerra , disegnò di ricuperare ai Lucchesi molte terre , che si erano ribellate dopo la ]jarlita di Uguc- cione, e andò con il favore de' Pisani, con li quali si era collegato , a campo a Serez- zana , e per impugnarla fece soj;ra essa una bastia , la quale dijjoi mutala tlai rioreati- 142 VITA ni si chiama oggi Serezzanello , e in tempo di cluoi mesi prese la terra . Dipoi con questa riputazione occupò Massa, Carrara, e Lavenza , e in brevissimo tempo occupò tutta Lunigiana . E per serrare il passo che di Lombardia, viene in Lunigiana, espugnò Pontremoh , e ne trasse Mescer Anastasio Pallavisini che n' era Signore . Tornato a Lucca cou questa vittoria , fu da tutto il popolo incontrato , né parendo a Castrile- ciò da differire il farsi Principe , mediante Pazzino dal Poggio, Puccinello dal Portico, Francesco Boccansacchi , e Cecco Guinigi , allora di grande riputazione in Lucca, cor- rotto da lui , se ne fece signore , e solen- nemente, e per deliberazione del popolo fu eletto Principe . Era venuto in questo tem- po in Italia Federigo di Baviera Re de' Fto- mani per prendere la corona dell Impe- rio , il quale Castruccio si fece amico , e r andò a trovare con cinquecento cavalli , e losriò in Lucca suo Luogotenente Pagolo Guinigi, de! quale > per la memoria del pa- dre, fareva quella stimazione che se fussc nato di lui . Fu ricevuto Castruccio da Fe- derigo onoiatamente, e datoli molti piivile- gi , e lo fece suo Luogotenente in Toscana. E perchè i Pisani avevano cacciato Gaddo delia Gherardesca , e per paura di lui era- no ricorsi a Federigo per aiuto , Federigo fere Castruccio Signore di Pisa, e i Pisani, per timore della ])arle Guelfa , e in parti- colare de' Fiorentini , lo accettai'ono ^ DI CASTRUCCIO. 143 Tornatosene pertanto Federigo nella •Mai^na , e lasciato un governatore delle co- se di Italia a Roma, tutti i Giiibcliini To- scani e Lombardi , che seguivano le par- li deir Imperio , si rifuggirono a Castruc- ciò , e ciascuno gli promelteva 1' Imperio della sua patria , quando per suo mezzo vi rientrasse , tra i quali furono Matteo Guidi , Nardo Scolari , Lapo Uberti , Ge- ro/zi , !Nardi , e Piero Buonaccorsi , tutti Ghibellini e fuorusciti Fiorentini . E dise- gnando Castruccio per il mezzo di costoro e con le forze sue farsi signore di tutta Toscana , per darsi più riputa/ione si acco- stò con Messer Matteo Visconti Principe di Milano , e ordinò tutta la città e il suo paese all' armi . E perchè Lucca aveva cin- que porte, divise in cinque parli il conta- do , e quello armò e distribuì óotlo capi e insegne; talché in un subito metteva iiisie- me ventimila uomini , senza quelli che gli potevano venire in aiuto da Pisa . Cinto adujiqne (\\ qvicste forze , e di questi ami- ci , accade che Messer Matteo Visconti fu assaltato dai GucKi di Piacenza , i quali avevano cacciati i Ghibeliini , in aiuto de' quali i Fiorentini e il Re Ruberto avevano mandate le loro genti . Dondechè Messer Matteo richiese Castruc io che dovesse as- saltare i Fiorentini, acciocché quelli, costretti a difendere le <"ase loro , rivccassino le lo- ro genti di Lombardia . Così Castruccio con assai gente assaltò il Valdaruo, e occu- 144 VITA pò Fureccliio , e San Miniato con grnndissi- mo danno del pae:^e ; ondechè i Fiorentini per questa necessità rivocarouo le lorc gen- ti ; le qntìli a fatica erano tornale in To- scana , che Castriiccio fu costretto da un' altra necessità tornare a Lucca . Era in quella città la iamiglia d' PogiM'o potente per aver fatto non solamente gi.ta- dc Castruccio , ma Principe ; e non Je pa- rendo esser rnnuaerata secondo i suoi me- riti . e nvenne con altre famiglie di Lucca di ribellare la citi.a , e cacciare Castruccio . E presa una mattina occasione , corsono armati al Luogotenente che Castruccio so- pra la giustizia ivi teneva , e lo ammazza- rono ; e v<^)lendo seguire di levare il popo- lo a romore , Stelano di Poggio , antico e pacifico uomo , il quale nella congiura no7i era intervenuto , si fé innanzi , e co- sti-inse con 1' autorità sua gli suoi a posare r arme , offerendosi di essere mediatore tra loro e Castruccio a fare ottenere a quelli i desideri loro . Posarono pertanto coloro r armi , non con maggior prudenza che le avessero ])rese ; perchè Castruccio sentita la novità seguita a Lucca , senza mettere tempo in mezzo , con parte delle sue genti ( lasciato Pagolo Guinigi capo del resto ) se ne Cìine in Lucca. E trovato fuori di sua opinione posato il romore , parendoli avere ]mÙ facilità di assicurarsi , dispose i suoi y artigiani armati j-cr tutti i luoghi opportuni . Stefano di Poggio , parendoli DI CASTRUCCIO. 145 che Castruccio dovesse avere obbligo seco , r andò a trovare , e non pregò j)er sé , perchè giudicava non avere di bisogno , ma ])er gli altri di casa , pregandolo che condonasse molte cose alla giovanezza, mol- te alla antica amicizia e obbligo die quello aveva con la loro casa : al quale Castruc- cio rispose gratamente , e lo confortò a sla- re di Luono animo, mostrandogli avere più caro trovato posati i tumulti, che non ave- va avuto per male la mossa di quelli ; e confortò Stefano a farli venire tutti a lui , dicendo che ringraziava Dio di avere avu- to occasione di dimostrare la sua clemen- za e liberalità . Venuti adunque sotto la fe- de di Stefano e di Castruccio , furono in- sieme con Stefano imprigionati e morti . Avevano in questo mezzo i Fiorentini ricu- perato S. Miniato ; ondechè a Castruccio parve di fermare quella guerra , parendoli, infìno che non si assicurava di Lucca , di non si yjoler discostare da casa . E fatto tentare i Fiorentini di tregua , facilmente gli trovò disposti , per essere ancora quelli stracchi e desiderosi di fermare la spesa . Fecero adunque tregua per duoi anni , e che ciascuno possedesse quello che possede- va. Liberato pertanto Castruccio dalla guer- ra , ])er non incorrere più ne' pericoli che era incordo , prima sotto vari colori e ca- gioni spense tutti quelli in Lucca , che po- t-essero per ambizione aspirare al princij)a- to ; né perdonò ad alcuno , privandoli del- Mach. Voi, I. IO 146 VITA la patria e della roba; e quelli che poteva avere nelle mani , della vita ; alTermando di avere conosciuto per isperienza , ninno di qncììi poterli essere fedeli . E per più sua sicnrià fondò una fortezza in Lncca , e si servi della materia delle torri di colo- ro ch'egli aveva cacciati e morti. Meutrechè Ca&lruccio aveva posate l'ar- mi con i Fiorentiui , e che si atTorliiìcava in Lucca , non mancava di fare quelle co- se che poteva senza manifesta guerra ope- rare per £ire maggiore la sua grandezza ; e avendo desiderio grande di occupare Pi- stoia , parendoli, quando ottenesse la posses- sione di quella città, di avere un ])iede in Firenze, si fece iìi vari modi tutta la mon- tagna amica ; e con ie parti di Pisloja si governava in modo , che ciascuna conlida- va in lui. Era allora quella città divisa, come fu sempre , in Bianchi e Neri . Capo de" Bianchi era Bastiano di Possente , de' Neri Iacopo da Già, de' f{uali ciascuno te- neva con Castruccio slreltissime praiiche, e qualunque di loro desiderava cacciare r altro ; tantoché l'uno e l'altro, dopo mol- ti sospetti, vennono all'armi. Jacopo si fe- ce forte alla porla Fiorentina, Bastiano al- la Lucchese ; e confidando 1' uno e V altro più in Castruccio, (he nel Fiorentini, giu- dicandolo più espedito e più presto in su la guerra , mandarojio a lui segretamente ]' uno e r al Irò per ajuti ; e Castruccio al- l' uno ed all' altro ij^Vi promesse , dicendo a DI CASTRUCCIO. 14-7 Iacopo che verrebbe in persona , e a Ba- stiano che manderebbe Pagolo Giiinigi suo allievo . E , (lato loro il tempo appunto , mandò Pagolo per la via di Pescia , ed es- so a dirittura se n' andò a Pistoja ; e in su la mezza notte , che così erano conve- nuti Castruccio e Pagolo , ciascuno fu a Pistoja , e r uno e 1' altro fu ricevuto co- me amico. Tantoché entrati dentro, quan- do parve a Castruccio , fece il cenno a Pa- scolo , dopo il quale 1' uno uccise Jacopo da Già , e 1' altro Bastiano di Possente , e tutti gli altri loro partigiani furono, parte presi, e parto morti , e corsono senza aitila opposizione Pistoja per loro; e, tratta la Si- gnoria di Palagio , costrinse Castruccio il popolo a darli ubbidienza, facendo a quel- lo molte rimessioni di debiti vecchi, e mol- te offerte ; e cosi fece a tutto il contado , il quale era corso in buona parte a vedere il nuovo principe ; talché ognuno ripieno di speranza , mosso in lenona parte dalle virtù suCj si quietò. Occorse in questi tempi che il popolo di Roma cominciò a tumultuare per il vi- vere caro , causandone l'assenza del Pontefi- ce , che si trovava in Avignone; e biasima- vano i governi Tedeschi , in modo che si facevano ogni di degli omicidi , e altri di- sordini, senza che Enrico luogoteuente del- l' Imperatore vi potesse rimediare; tantoché ad Enrico entrò uno gran sospetio die i Romani non clùamassiuo il Re Ruberto di 14^ •• VITA Napoli , e lui cacciassero di Boma , e resti- tuissenla al Papa . Né avendo il pia propin- quo amico a chi ricorrere, che Castruccio, lo mandò a pregare fusse contento , nou solamente mandare ajuti, ma venire in per- sona a Pioma . Giudicò Caslruccio che non fusse da differire , sì per rendere qualche inerito all' Imperatore , si perchè giudica- va , che qualunque volta T Imperatore non fusse a Roma , non avere rimedio . Lascia- to adunque Pagolo Guinigi a Lucca , se ne andò con duecento cavalli a Roma , do- ve fu ricevuto da Enrico con grandissimo onore ; e in brevissimo tempo la sua pre- senza rendè tanta riputazione alla parte dell' Ira,perio, che senza sangue o altra vio- lenza si mitigò og73Ì cosa . Perchè fatto ve- nire Castruccio per mare assai frumento dal paese di Pisa , levò la cagione dello scandalo . Dipoi , parte ammonendo , parte gasligando i capi di Roma, gli ridusse vo- lontariamente sotto il governo di Enrico; e Castruccio fu fatto Senatore di Roma , e datogli molti altri onori dal popolo Roma- no ; il quale ufficio Castruccio prese con grandissima pompa , e si mise una toga di broccato indosso , con lettere dinanzi che dicevano : Ri^U ìì quello die Dio vuole ; e di dietro dicevano : E' sarà quello che Di» vorrà . In questo mezzo i Fioreìilini , i quali erano mal contenti che Caslrnccio si fusse nei tempi della tregua insignorito di Pi- DI CASTRUCCIO. I4g Rtoja , pensavano in che modo potessino laila ribellare ; il che per T asseiizia sua giiulicavano facile. Era tra gli usciti Pisto- iesi, che a Firenze si trovavano, Baldo Cecchi , e Jacopo Baldini, lutti uomini di autorità, e pronti a mettersi ad ogni sba- raglio , Costoro tenuono pratica con loro amici di dentro; tantoché, coU'ajuto de' Fiorentini, entraroflo di notte in Pistoja , e ne cacciarono i partigiani e utìiciali di Ca- struccio , e parte ne ammazzarono , e ren- derono la libertà alla città . La quale nuo- va dette a Cast r uccio uoja e dispiacere gran- de ; e, presa licenzia da Enrico, a grin e;iornate con le sue genti se ne venne a Lucca . I Fiorentini, come intesone la tor- nata di Caslruccio , pensando che non do- vesse posare , deliberarono di anticiparlo , e con le loro genti entrare prima in Val di Nievole, che quello; giudicando che se eglino occupassino quella valle , gli veniva- no a tagliare la via di poter ricuperare Pistoja. E, contralto uno grosso esercito di tutti gli amici di parte Guelfa , vennono nel Pistoiese . Dall' altra parte Castruccio con le sue genti ne venne a Montecarlo ; e, inteso dove lo esercito de' Fiorentini si trovava, deliberò di non andare ad incon- trarlo nel piano di Pistoja, nò di aspettar- lo nel piano di Pescia ; ma , se far Jo po- tesse , di affrontarsi seco nello stretto di Serra valle , giudicando ( quando tale dise- gno gli riuscisse ) di riportarne la vittoria l5o VITA certa , perchè intendeva i Fiorentini avere insieme quarantamila uomini , e esso ne aveva scelti de' suoi dodicimila . E benché si confidasse nella industria sua e virtù lo- ro ; ])ure dubitava (appiccandosi nel luogo larao ) di non esser circondato dalla molti- tudine de' nimici . E SerravaJle un castello tra Pescia e Pistoja , posto sopra un colle che chiude la Val di Nievole , non in sul passo proprio, ma di sopra a quello, duoi traiti d' arco ; e il luogo, donde si passa , è più stretto che repente , jierchè da ogni parte sale dolcemente ; ma è in modo stret- to , massimamente in sul colle , dove V ac- que si dividono , che venti uomini accanto r un all'altro lo ocenperebbono. In questo luogo aveva disegnato Castrucclo affrontar- si cogl' inimici , si perchè le sue poche gen- ti avessero vantaggio , sì per non iscuopri- re i nimici prima che in sulla zuffa ^ du- bitando che i suoi , veggendo la moltitudi- ne di quelli, non si sbigottissi no. Era Signo- re del castello di Serra \ alle riesser Manfre- di di nazione Tedesca, il quale, prima che Castruccio fusse Signore di Pistoja , era sta- to riserbato in quel castello , come in luo- a^o comune ai Lucchesi e a' Pistoiesi ; ne dipoi ad alcuno era accaduto offenderlo , promettendo quello a lutti star neutrale , né si obbligare ad alcuuo di loro ; sicché per questo, e per essere in luogo forte era stato mantenuto . Ma venuto questo acci- dente , divenne Castruccio desideroso di DI CASTRUCCrO. i5i erciipare quel Inoi^o ; ed avendo stretta amicizia con un terrazzano , ordinò in mo- do con quello , die la Hotte davanti che si avesse a ver.Iie alla zuffa , ricevesse quat- troc€nto uomini de' suoi , ed ammazzasse il Signore . E stando così preparato , non mosse V esercito da Montecarlo , per dare ])iù animo a' Fiorentini a passare, i quali, j;er- chè desideravano discoslaie la guerra da Pistoja , e ridurla in Val di ISievole, si ac- camparono sotto Serravalle con animo di passare il di dipoi il colle. Ma Castruccio, avendo senza tumulto preso la notte il ca- stello , si parli in su la mezza notte da Montecarlo , e tacito con le sue genti arri- tÒ la mattina a pie di Serravalle, in modo che ad un tratto i Fiorentini ed esso , cia- scuno dalla sua parte , incominciò a salire la costa . Aveva Castruccio le sue fanterie dirille per la via ordinaria, ed una banda di quallrocento cavalli aveva mandata in su la mano manca verso il castello . I Fio- rentini dall'altra banda avevano mandati innanzi qnatLro(XMito cavalli , e di|,oi ave- vano mosse le fanterie dietro a quelle gen- ti li dovesse mettere in ma- ■ • 111* no r imperio di Toscana , credendo che i nimici non avessero a fare miglior prova in quello di Pisa , che si facessero a Ser- ravallc , ma che non avessino già speranza di rifarsi come allora ; e ragunati ventimi- la de' suoi uomini a pie, e quattix)mila ca- valli , si pose con 1' esercito ti Fucecchio , e Pagolo Guinigi mancV) con cinquemila fanti in Pisa . E Fucecchio posto in luo- go più foìte, che alcun altro castello di quello di Pisa , per essere in mezzo tra la Gusciana ed Arno, ed esser alquanto rile- lS6 VITA vaio dal piano, dove staado, non gli pote- vano i nimicl , se non facevano due parti di loro , impedire le vettovaglie , che da Lucca o dì Pisa nou ven issino ; né poteva- no se non con loro disavvanta^sjio , o an- dire a trovarlo , o andare verso Pisa . Per- chè nelP uno caso potevano essere messi in mezzo dalle genti di Castruccio, e da quel- le di Pisa; nell'altro, avendo a passare Ar- no , non j)Otevano farlo con il nimico ad- dosso , se non con grande loro pericolo . E Castruccio, per dar loro animo di piglia- re questo partito di passare , non si era posto con le genti sopra la riva d' Arno , ma allato alle mura di Fucecchio , ed ave- va lasciato spazio assai tra il fiume e lui . I Fiorentini, avendo occupato San Mi- niato , consigliarono quello fusse da fare, o andare a Pisa , o a trovar Castruccio : e misurata la difficullà dell' uno ]>€irtÌLO e tlel- Taltro, si risolverono andare ad investirlo. Era il fiume d'Arno tanto basso, che si po- teva guadare , ma non però in modo , che a' fanti non bisognasse bagnarsi iniìuo alle spalle, e ai cavalli infino alle selle. Venuto pertanto la mattina del dì dieci di giuguo , i Fiorentini ordinati alla zuffa feciono co- minciar a passare parte della loro cavalleria, ed una battaglia di diecimila fanti . Castruc- cio che stava parato ed intento a quello ch'egli aveva in animo di fare, con una battaglia di cinquemila fajiti e tremila ca- valli gli assaltò , né dette loro tempo ad DI CASTRUCCIO. iSj uscire tutti fuora delle acque , che fu alle mani con loro ; mille fanti spediti mandò su per la riva dalla parte di sotto d'Arno , e mille di sopra. Erano i fanti de' Fioren- tini aggravati dalle acque e dalle aimi, né avevano tutti superato la grotta del fiume. I cavalli , passali che furono alquanti, per avere rotto il fondo d'Arno, ferono il passo agli altri difficile; perchè, trovando il passo sfondalo , molti si rimboccavano addosso al padrone, molti si ficcavano talmente nel fango, che non si potevano ritirare. Onde Teggendo i capitani Fiorentini la difficullà del passare da quella parte , gli feciouo ri- tirare più alti su per il firme, per trovare il fondo non guasto, e la grotta più beni- gna che gli ricevesse . Alli quali si oppone- vano quelli fanti che Caslruccio ave\a su per la grotta mandati, i quali ai mali alla leggiera con rotelle e dardi di galea in ma- no , con grida grandi , nella frcnte e nel petto gli lerivano ; talché i cavalli dalle fe- rite e dalle giida sbigctlili , ntn volendo passare . avanti , addosso l'uno all' alti o si rimboccavano . La zuffa tra quelli di Casti uc- cio e quelli cbe erano passati, fu aspra e terribile, e da ogni parte ne cadeva assai; e ciascuno s'ingegnava, con quanta più for- za poteva, di superare l'alti o . Quelli di Ca- struccio gii volevano riluffare nel fiume; i Fiorentini gli -volevano ^J)iglltlC, jer dare luogo agli altri, che usciti fuoi a dell'acqua potessero conaballere; alla quale ojstinazioue ^Ì58 VITA si aggiugiievano i con forti de' capitani . Ca- struccio ricordava ai suoi , eh' eijli erano quelli nimici medesimi , che , non molto tempo innanzi , avevano vinti a Serravalle; ed i Fiorentini rimproveravano loro , che gii assai si lasciassino vincere dai pochi . Ma veduto Castriiccio che la battaglia durava , e come i suoi e 2IÌ avversari erano eia slrar- chi , e come d ogni parte ne era molti tenti e morti , spinse innanzi nn altra banda di cinquemila fanti ; e condotti che gh ebbe alle spalle de' suoi che combattevano, ordinò che quelli davanti si aprlssino, e, come se si mettessino in volta , 1' una parie in sulla destra e l'altra in sulla sinistra si ritirasse ; la quale cosa fatta , dette spazio a' Fioren- tini di farsi innan/i , e guadignare alquanto di terreno . Ma venuti alle mani i Iresrhi con gli affaticati , non stetten > raolt') che gli spinsero nel fiume . Tra la cavalleria dell' uno e dell' altro non vi era ancora vantaggio, perche Castruccio , conosciuta la sua inferiore , aveva comandato ai condot- tieri, che sosteaesiluo solamente inimico, come quello che sperava superare i fanti , e superati, potere poi più facilmente vincere i cavalli ; il che gli succedette secondo il disegno suo . Perchè , veduti i fanti nimici essersi ritirati nel fiume , mandò quel resto della sua fanteria alla volta de' cavalli nimi- oi , i quali con lance e con dardi ferendo- li, e l;i cavalleria ancor con maggior furia premendo loro addosso , gli misono in voi- DI CASTRUCCIO. iSq ta . I Cnpitani Fioreutiui, vedendo la diffi- cullà che i loto cavalli avevano a j a>s.' re , tentarono far passare la fanteria dalla parte di sott(> del finn e, per ci mballcre per fianco le genli di Cai-lrncclo . Ma sendo le grotte alle e di .^opra occupale daile genti di cjuel- lo , si provar< no in vano . Messesi | erlanto il camj-o in ietta con gloria gran-ie ed ono- re di Castruccio, e di tanta moltitudine non ne campò il terzo . Furono presi di molti capi ; e Cailo fìgliu('lo del Re Ruberto in- sieme con Miclielagnolo Falconi , e Taddeo dei^li Albizi Commissari Fiorentini se ne fuggiiono ad Empoli . Fu la preda grande, la uccisione grandissima , come in un tale e tanto conflitto si può stimare ; perchè dello esercito Fiorentino ventimila dugenlotrentu- no , e di quelli di Oislruccio milledugento- settanta restarono morti . Ma la fortuna nimica alla sua gloria , quando era tempo di darli vila ;, glie ne tol- se, ed interruppe quelli di;egni che quello, molto temj;0 innanzi, aveva ^ ensalo di man- dare ad. eifetto , né gjiene p< teva, altro che la morte, imjiediie . Frasi Castiuccio nella battaglia tutto il giorno affaticato, quando, venuto il fme d'essa, tutto ]>ieno di afianno e di sudore si fermò sopra la porta di Fu- cecchio , per asj:)eitare le genti che te rnas- sero dalla vittoria , e quelle con la presen- zia sua ricevere e ringraziare, e ]:aite(se pure alcuna cosa nascesse de' niniici che in (juulche luogo avessiuo fallo lesta ) pelei e l6o VITA essere pronto a rimediare; giudicando Tuf- fìcio d' un buon capitano essere montare il £rimo a cavallo , ed ultimo a scendere . 'ondechè stando esposto ad un vento che il più delle volte a mezzo di si leva d'in su Arno , e suole essere quasi sempre pe- stifero , agghiacciò tutto . La qual cosa non essendo slimata da lui , come quello che a simili disagi era assueto , fu cagione della sua morte. Perchè la notte seguente fu da lina grandissima febbre assalito , la quale andando tuttavia in augumento , ed essendo il male da tutti i medici giudicato morta- le , ed accorgendosene Gastruccio , chiamò Pagolo Guinigi , e gli disse queste parole : S'io avessi , figliuolo mio, creduto che la fortuna mi avesse voluto troncare nel mezzo del corso il cammino per andare a quella gloria, che io mi a\evo con tanli miei fe- lici successi promessa , io mi sarei affaticalo meno , ed a te avrei lasciato , se minore stato , anco meno nlmici e meno invidia , perchè contento dell'imperio di Lucca e di Pisa , non avrei soggiogali i Pistoiesi , e con tante ingiurie irritati i Fiorentini ; ma fat- tomi r uno e r altro di questi duoi popoli amici , avrei menata la vita , se non più lunga , al certo più quieta , ed a te avrei lasciato lo stato, se minore, senza dubbio più sicuro e più fermo . Ma la fortuna , che vuole essere arbitra di tutte le cose umane, non mi ha dato tanto giudiclo ch'io l'abbia prima potuta conoscere , nò tanto tempo ni e A s T R TJ- e e I o . rG I rir io r a])l)l |)otula superare . Tu hai iuic- so (jìLMcIiè molti te r hanno detto , ed io ncu r lio mai ueijato ) come io venni in casa di tuo padre ancora giovanetto e privo di tulle t|iiclle speranze, che debl)ono in ogni ge- neroso animo capere , e come io tui da quello nutrito e amato più assai , che se io fussi nato dei suo sangue ; dondechè io sotto il governo suo divenni valoroso , o atto ad essere capace di quella fortuna , che tu medesimo hai veduta, e vedi . E perchè , venuto a morte , ei commesse alla mia fede te, e tutte le fortune sue, io ho te con queir amore nutrito , ed esse con quella fede accresciate , che io ero tenuto , e sono . E perchè non solamente fusse tuo quello che da tuo padre ti era stalo lasciato , ma quel- lo ancora che la fortuna e la virtù mia si guadagnava , non ho mai voluto prendere donna , acciocché l'amore de' figliuoli non mi avesse ad impedire che in alcuna parte io non mostrassi verso del sangue di tuo padre quella gratitudine , che mi pareva essere tenuto di mostrare . Io li lascio per- ' tanto un grande stato, di che io sono molto conlento . Ma perchè io te lo lascio debole e infermo , io ne sono dolentissimo . E' ti rimane la città di Lucca , la quale non sarà mai contenta di vivere sotto l'imperio tuo. rumanti Pisa , dove sono uomini di natura mobili , e pieni di fallacia , la quale ancora che sia usa in vari tempi a servire , noti- dimeno sempa-e si sdegnerà di avere un Si- Mach, Voi. I. ir l62 VITA gnore Luccliese . Pistoja ancora ti resta po>- co fedele , per essere divida , e coulra al sangue nostro dalle fresche ingiurie irrita- ta . Hai per vicini i Fiorentini offesi , e in mille modi da noi ingiuriati , e non ispen- ti , ai quali sarà più grato lo avviso delia morte mia , che noti sarebbe l'acquisto di Toscana . Nelli Principi di Milano , e nel- r Imperatore non puoi confidare, per esse- re discosti , pigri , e li loro soccorsi tardi . ISion dei pertanto sperare in alcuna cosa , fuora che nella tua industria , e nella me- moria della virtù mia , e nella riputazione che ti arreca la presente vittoria , la quale se tu saprai con prudenza usare , ti darà, ajuto a fare accordo con i Fiorentini, i qua- li , sendo sbigottiti per la presente rotta , doveraniio con desiderio condiscendere ; i quali, dove io cercavo farmi nimici , e pen- savo che la nimici zia loro mi avesse a re- care potenza e gloria , tu hai con ogni forza a cercare di fartegli amici , perchè l'amici- zia loro ti arrecherà sicurtà e comodo . E cosa in questo mondo d' importanza assai «onoscere sé stesso , e saper misurare le forze dello animo e dello stato suo; e chi si conosce non atto alla guerra , si dcbbe ingeguare con Farti della pace di regnare. A che è bene, per il consiglio mio, che tu ti volga , e t'ingegni per questa via di go- derti le fatiche e pericoli miei ; che ti riusci- rà facilmente , quando stimi esser veri que- sti miei ricordi . Ed avrai ad avere meco DI CASTRUCCIO. lG3 duol obblighi: l'uno, che io ti ho lasciato questo regno; l'altro, che io le lo ho in- segnato mantenere = . Dipoi , fatti venire cpielli cittadini che di Lucca, di Pisa, e di Pistoja militavano seco , e raccomandato a quelli Pagolo Guinigi , e fattigli giurare ub- bidienza , si mori ; lasciando a tutti quelli , che lo avevano sentito ricordare , di sé una felice memoria , ed a quelli che gli erano sta- ti amici, tanto desiderio di lui, quanto alcua altro principe che mai in qualunque altro tempo morisse . Furono le esequie sue cele- brate onoratissimamente , ed ei fu sepolto in S. Francesco di Lucca . Ma non furono già la virtù e la fortuna tanto amiche a Pagolo Guinigi , quanto a Castruccio ; per- chè non molto dipoi perde Pistoja , e ap- presso Pisa; e con fatica si mantenne il do- minio di Lucca , il quale perseverò nella sua casa infino a Pagolo suo pronepote . Fu adunque Castruccio , per quanto si è dimostro , un uomo non solamente raro ne' tempi suoi , ma in molti di quelli che innanzi erano passali . Fu di persona più che r ordinario di altezza , e ogni membro era all' altro rispondente ; ed era di tanta grazia nello aspetto , e con tanta umanità raccoglieva gli uomini , che non mai gli parlò alcuno, che si partisse da quello mal- conlento. I capelli suoi pendevano in rosso, e portavali tonduti sopra li orecchi; e sem- pre, e d'ogni tempo, comecché piovesse o nevicasse , andava con il capo scoperto . Era 164. VITA grato agli amici, agli nimici terribile, giusto con i s addili , in fedele con li eslcrui ; uè mai potette vincere per. fraude , ciie cercasse Ji vincere per forza ; perche diceva die la vittoria , non il modo della vittoria ti arre- cava gloria . Ninno fu mai più audace ad entrare ne' pericoli , né più cauto ad uscir- ne ; e usava di dire : Che gli uomini deb- bono tentare ogni cosa, né di alcuna sbi- gottirsi, e che Dio è amatore degli uomini iVirli , ])erchè si vede che sempre gasliga gf impotenti con i potenti . Era ancora mi- rabile nel rispondere e mordere , o acula- ìnenle , o lu banamente ; e come non perdo- nava , in questo modo di parlare, ad alcuno; cosi non si adirava quando non era per- donato a lui . Donde si trovano molte cose delle da lui aculamente, e molle udite pa- zientemente, come sono queste. Avendo egli fatto comperare una starna un ducato , e riprendendolo un amico , disse Castruccio : Tu non la compreresti per più che un sol- do . E dicendoli Io amico che diceva il ve- ro, rispo.^c quello : Un ducato mi vale molto meno . Avendo intorno un adulatore , e per dispregio avendoli sj)utato addosso, disse lo adulatore : I pescatori per prendere un pic- co] pesce si lasciano tutti ])agnare dal mare: io mi lascerò bene bagnare da uno sjnito per pigliare una balena ; il che Castruccio non solo udì pazientemente , ma lo preoiiò . Dicendoli alcuno male , che viveva troppo splendidamente , disse Castruccio : Se questo DI CASTUCCCIO. 1 60 fitsse vizio , non si Tareljbe si splentlitli con- viti ailc feste de' nostri Santi. Passando ]ìei' nna strada , e vedendo nn giovanetto clic usciva di rasa d' nna meretrice tntto arros- sito per essere stato vednto da Ini , gli dis- se : Non ti vergognare ([uando tn n'esci, ma quando tn v' entri . Dandogli un amico a sciogliere mio nodo accuratamente anno- dato , disse : O sciocco , eredi In che io voglia sciorre nna cosa , che legata mi dia tanta briga ? Dicendo Castrncclo ad uno , il quale faceva professione di Filosofo : Voi sete fatti come i cani , che vanno sempre dattorno a chi può meglio dar loro man- giare ; gli rispose quello : Anzi slamo come ì medici , che andiamo a casa di coloro, che di noi hanno mafir^lor hisosno . Andando da Pisa a Livorno per acqua , e sopravvenendo nn temporale pericoloso , per il che tur- Landosi forte Castruccio , fu ripreso, da uno di quelli che erano seca, di pusillanimità, dicendo di non aver paura di alcuna cosa ; al quale disse Castruccio , che non se ne maravigliava , perchè ciascuno stima l' ani- ma sua quel che la vale . Domandato da uno come egli avesse a fare a farsi stimare , gli disse : Fa , quando tu vai ad uno convito , che non segga un legno sopra nn altro le- gno. Gloriandosi uno di aver letto molle co- se, disse Castruccio : E' sare' meglio iiloriarsi di averne tenute a mente assai . Gloriandosi alcuno , che , bevendo assai , non s'inebriava, disse: E' fa cotesto medesimo un bue. Ave- '366 T I T i. va Castrucclo una giovane , con la quale conversava dimesticamente ; di che sendo da tin amico biasimato , dicendo massime che gli era male che si fusse lasciato pigliare da una donna : Tu erri , disse Castruccio ; io ho preso lei , non ella me . Biasimandolo ancora uno , che egli usava cibi troppo de- licati , disse : Tu non spenderesti in essi quanto spendo io . E dicendoli quello , che diceva il vero , gli soggiunse : Adunque tu sei più avaro , che io non sono ghiotto . Sendo invitato a cena da Taddeo Bernardi Lucchese, uomo ricchissimo , e splendidissi- mo , e arrivato in casa , mostrandoli Taddeo una camera parata tutta di drappi , e che aveva il paA^mento composto di pietre fine, le quali di diversi colori diversamente tes- suti , fiori e frondi , e simili verdure rap- presentavano 5 ragunatosi Castruccio assai umore in Bocca , lo sputò tutto in sul volto a Taddeo . Di che turbandosi quello , disse Castruccio: Io non sapevo dove mi sputare, che io ti offendessi meno . Domandato co- me morì Cesare, disse: Dio volesse che io morissi come lui . Essendo una notte in ca- sa di uno de' suoi gentiluomini , dove era- no convitate assai donne a festeggiare , e Ballando , e sollazzando quello più che alle qualità sue non conveniva , di che sendo ripreso da uno amico , disse : Chi è tenuto savio di dì , non sarà mai tenuto pazzo di notte. Venendo uno a domandarli una gra- zia , e facendo Castruccio vista di non udi- DI CASTRUCCIO- 167 re , colui se eli ij;ittò ginocchioni in terra , di che riprendendolo Gastniccio , disse quel- lo : Tu ne sei cagione, che hai sii orecchi ne' piedi ; dondechè conseguitò doppia più grazia che non domandava . Usava di dire , che la via dell'andare allo inferno era fa- cile , poiché si andava allo ingiù , ed a. chiusi occhi . Domandandoli una grazia uno eoa assai parole e superllue , gli disse Ga- Struccio : Quando tu vuoi più cosa alcuna da me , manda un altro . Avendolo un uomo éimile con una lunga orazione infastidito , € dicendoli nel fine : Io vi ho forse, troppo parlando, stracco : Non hai, disse , perchè io non ho udito cosa che tu abbi detto . Usava dire d' uno che era stato un bel fanciullo , e dipoi era un beli' uomo , come egli era troppo ingiurioso, avendo prima tolti i ma- riti alle mogli , ed ora togliendo Je mogli ai mariti . Ad uno invidioso che rideva , disse: Ridi tu perchè tu hai bene, o per- chè un altro ha male ? Sendo ancora sotto l' imperio di Messcr Francesco Guinigi , e dicendoli uno suo eguale : Che vuoi tu che io ti dia , e lasciamiti dare una ceffata ? Rispose Castruccio : Uno elmetto . Avendo fatto morire un cittadino di Lucca, il quale era stato cagione della sua grandezza , ed essendoli detto che edi aveva fatto male ad ammazzare uno de suoi amici vecchi , rispose che se ne ingannavano, ])erchè aveva morto un nimico nuovo . Lodava Castruccio assai gli uomini che toglievano moglie , e poi non S68 VITA 1-a menavano , e così quelli clic alcevano di volere navicare , e poi non navigavano . Di- ceva maravigliarsi degli uomini, che quando ei com])erano un vaso di terra o di vetro , lo suonano prima, per vedere se è buono; e poi nel torre moglie erano solo contenti di vederla. Domandandolo uno, quando egli era ]ier morire , come e' voleva esser sep- pellito , rispose : Con la faccia volta ingiù , perdio io so, che, come io sono morto, an- elerà sottosopra questo paese . Domandalo se , per salvare l'anima , ei pensò mai di farsi frate , rispose che no ; perchè e' gli pareva strano che Fra La/zerone avesse a ire in paradiso , ed Uguccionc della Faggiuola nel- 1' inferno . Domandato , quando era bene mangiare a volere stare sano, rispose: Se tino è ricco, quando egli ha fame; se uno è povero , quando e' può . Vedendo un suo gentiluomo , che si faceva da un suo fami- glio allacciare , disse : Io prego Dio , che tu ti faccia anche imboccare . \cdendo che imo aveva scritto sopra la casa sua in let- tere latine che Dio la guardasse da' cattivi» disse : E' bisogna eh' e' non v'entri egli . Passando per una via, dove era una casa piccola, che aveva una porla grande, dis- se : Quella casa si fuggirà ]ier (| nella porta . Disputando con un Ambasciatore del Re di IVapoli per conto di robe di confinati , ed alterandosi alquanto, dicendo lo Ambascia- tore : Dunque tu non hai paura del Re ? Castruccio disse: E egli buono o cattivo ì) T C A S T R U C C I O . 1^9 jiiosto vostro Re? E rispondendo quello eh' egli era buono , replicò Gistruceio: Per- chè vuoi tu adun([ue che io ab])ia paura degli uomini buoni ? Potrebbonsi raccontare ♦Ielle altre cose assai dette da lui , nelle c[uali tutte si vedrebbe ingegno e gravità ; ma voglio che (juesle bastino in testimonio delle grandi qualità sue . Visse quaranta- quattro anni , e fu in ogni fortuna princi- pe . E come della sua buona fortuna ne appariscono assai memorie , così volle che ancora della eattiva apparissino ; perchè le manette , con le quali stette incatenato iu prigione , si veggono ancora oggi lltte nella torre della sua abitazione , dove da lui fu- rono messe , acciocché facessino sempre fe- de della sua avversità . E perchè vivendo ei non fu inferiore né a Filippo di Macedonia padre di Alessandro , né a Scipione di Ro- ma , ei morì nella età dell' uno e dell' al- tro ; e senza dubbio avrebbe superato l'uno e l'altro , se, in cambio di Lucca, egli avesse avuto per sua patria Macedonia, o Roma . Fine della Vita di Castruccìo DESCRIZIONE DEL MODXJ TENUTO DAL DUCA VALENTINO NELLO AMMAZZARE V1TTELL02Z0 VITELLI , OLIVEROTTO DA FERMO , IL SIG^'OR PAGGLO , E IL DUCA DI GRAVINA ORSINI COMPOST-* PER NICCOLÒ MACHIAVELLI (i). E. ira tornato il Duca Valentino di Lom- bardia , dove era ito a scusarsi con il Re (0 Questa Descrizone si contiene in una Lettera officiale scritta dal Machiavelli al magistrato dei Dieci , essendo egli appunto in quel tempo presso il Duca Va- lentino in legazione . Qualche piccola differenza che corre tra la lettera e la Descrizione, non è di cose , ma di parole . Il principio della lettera è il seguente : Magnifici Uomini ec. Poiché le SS. VV. nen hanno avuto tutte le mie lettere , per le quali si sarebbe compreso in buona parte il suc- cesso delia cosa di i>inigagUa , mi è parso scrivere per questa ogni parlicolare , avendo massime comodità a far- lo , per avere riposato sopra la magnificenza dell' Oratore tutte le cose che al presente si trattano qua . E credo che vi sarà grato per la qualità della cosa, che è in tutto rara e memorabile . DEL DrC\ VALENTINO. T7I Luigi di Francia di molte calunnie gli era- no state date da' Fiorentini per la ribellio- ne di Arezzo e delle altre terre di Val dì Chiana , e venutosene in Imola , dove dise- gnava con le sue genti fare rim]>resa contro a Giovanni Benìivogli tiranno di Bologna ., perchè voleva ridurre quella città sotto il suo dominio , e farla capo del suo Ducato di Romagna . La qual cosa scudo intesa dalli Yitelli e gli Orsini , e gli altri loro seguaci , parse loro che il Duca diventava troppo potente, e che fusse da temere che, occu- pata Bologna, non cercasse di spegnerli , per rimanere solo in sull'armi in Italia. E so- pra questo feciono alla Magione nel Peru- gino una dieta , dove convennono il Cardi- nale , Pagolo , e il Duca di Gravina Orsini, ^ ilellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, Giampagolo Baglioni tiranno di Perugia , e Messer Antonio da Venafro , mandato da Pandolfo Petrucci capo di Siena ; dove si disputò della grandezza del Duca e dell' ani- mo suo , e come egli era Tieccssario frenare lo appetito suo; altrimenti si portava peri- colo, insieme con gli altri , di non rovinare . E deliberarono di non abbandonare li Ben- tlvogìi , e cercare di guadagnarsi i Fioren- tini, e neii' un luogo e nell'altro mandaro- no loro uomini , promettendo all'uno ajuto, l'altro confortando ad unirsi con loro con- tro al comune nimico . Questa dieta fu nota subito per tutta Italia , e quelli popoli che sotto il Duca slavano mal contenti , tra li Ty2 DELDUCA quali erano gli Urbinati , presono speranza di potere innovare le cose. Donde uacqUe, che sendo così sospesi gli animi, pea^ certi da Urbino fu disegnato di occupare la rocca j di San Leo , che si teneva per il Duca , i ' quali presono occasione da questo . Afrorri- ficava il castellano c| nella rocca , e facendovi condarre legnami , appostarono i congiura- ti , che certi travi che si tiravano nella rocca , ftissino sopra il ponte , acciocché im- pcdifo, non potesse essere alzalo da quelli tli dentro ; e presa tale occasione , saltarono in sul ponte , e quindi nella rocca ; per la quale presa , subito eh' ella fu sentita , si ribellò tutto quello stato , e richiamò il Du- ca vecchio, presa noìi tanto la speranza per la occnpazione della rocca , quanto per la dieta della Magioije , mediante la quale pensavano essere ajutati. l quali, intesa la ribellione d'Urbino, pensarono che non fnsse da perdere quella occasione , e, ragù- nate lor genti, si feciono innanzi per espu- gnare se alcuna terra di quello stato fusse restata in mano del Duca ; e di nuovo man- darono a Firenze a sollecitare quella Re- pubblica a voler esseie con loro a spegnere questo comune incendio , mostrando il par- tito vinto, e una occasione da non ne aspet- tare un' altra . Ma i Fiorentini , per F odio eh' avevano con i Vitelli e Orsini per diver- se cagioni, non solo non si aderirono loro, ma mandarono INiccolò Machiavelli , loro Se- gretario, ad offerire al Duca ricetto ed ajulo VALENTINO. 1^3 contro a questi suoi nuovi nimici ; il quale si trovava pieno tli paura iu Imola , ])ercliè in un tratto, e fuori d'ogni sua opinione, seuJogli diventati nuniei i soldati suoi , si trovava con la guerra propinqua , e disar- mato . Ma ripreso animo in sulle otTerte de' Fiorentini , disegnò temporeggiare la guerra con quelle poche genti che aveva , e con pratiche d' accordi , e parte ])repa- rare aj.iti , i quali preparò in duoi modi ; mandando al Uè di Francia per gente , e parte soldando qualunque uomo d'arme, e altri che in qualunque modo facesse il me- stiere a cavallo ; e a tutti dava danari . Non ostante questo , i nimici si feciono innan- zi, e ne vennono verso Fossombrone, dove avevano fallo testa alcune genti del Duca , le quali d;i' \ itelii e Orsiui furono rotte. La qual cosa fece , che il Duca si volse tutto a vedere se poteva fermare questo rimore con le pratiche d' accordo; ed essen- do grandissimo simulatore , non mancò di alcuno ufllcio a fare intendere loro , che eglino avevano mosso 1' armi contro a colui, che ciò che aveva acquistato , voleva che fus- se loro , e come gli bastava avere il titolo di principe , ma che voleva che il princi- pato fusse loro . E tanto gli persuase , che mandarono il Signor Pagolo al Duca a trat- iare accordo, e fermarono l'armi. Ma il Duca non fermò già i provvedimenti suoi , e con ogni sollecitudine ingrossava di caval- li e fanti ; e perchè tali provvedimenti non 1 74 D L L D U e A apparlssiiio , uiandava le genti separate per tutti i luoi^hi di Romagna . Erano intanto ancora venute cinquecento lance Francesi ; e benché si trovasse già si forte , che potesse con guerra aperta vendicarsi contro ai suoi nimici f nondimeno pensò che fusse più si- curo e più utile modo ingannarli , e non fermare per questo le pratiche dello accor- do . E tanto si travaglio la cosa , che fermò con loro una pace, dove confermò loro le condotte vecchie ; dette loro quattromila ducati di presente ; promesse non offendere gli Bentivogli , e fece con Giovanni paren- tado ; e di ])iù che non gli potesse costri- gnere a venire personalmente alla presenzia sua , più che a loro si paresse . Dall' altra parte loro promessono restituirli il Ducato di Urbino , e tutte le altre cose occupate (hi loro , e servirlo in 02;ni sua espedizione, ne senza sua licenza far guerra ad alcuno , o condursi con alcuno . Fatto questo accor- do , Guido Ubaldo Duca di Urbino di nuo- vo si fuggi a Yinczia , avendo prima fatto minare tutte le fortezze di quello stato , perchè confidandosi ne' popoli , non voleva che quelle fortezze , eh' egli non credeva poter difendere, il nimico occupasse, e me- diante quelle tenesse in freno gli amici suoi. Ma il Duca Valentino avendo fatta questa convenzione , e avendo partite tutte le sue genti per tutta la Romagna con gli uomini d'arme Francesi , alla uscita di novembre si partì da Imola, e uè andò a Cesena , dove VALENTINO. iy5 Stette molti "lorni a praticare coi mandati de' V^itelJi e degli Orsini, che si trovavano colle loro genti nel Ducato di Urbino, quale impresa si dovesse fare di nuovo ; e non concludendo cosa alcuna , Oliverotto da Fer- mo tu mandato ad otì'eririi , che se voleva far r impresa di Toscana , che erano per far- la , qnando che no, anderebhono all'espugna- zione di Sinigaglia. Al quale rispose il Duca, che in Toscana non voleva muover guerra per esserli i Fiorentini amici , ma che era ben contento che andassino a Sinigaglia . Donde nacque che non molto dipoi venne avviso , come la terra a loro si era resa , ma che la rocca non si era Aoluta rendere loro , perchè il castellano la voleva dare alla persona del Duca, e non ad altri; e però lo confortavano a venire innanzi . Al Du- ca parve la occasione buona , e non da dare ombra , scudo chiamato da loro , e ìion andando da sé . E , per più assicurarsi, licenziò tutte le genti Francesi , che se ne tornarono in Lombardia , eccetto che cen- to lance di Monsignor di Gandales suo co- innato ; e , partito intorno a mezzo dicembre da Cesena , se ne andò a Fano , dove con tutte quelle astuzie e sagacità potette , per- suase a' Vitelli e agli Orsini che lo aspettas- sino in Sinigaglia , mostrando loro , come tale salvatichezza non poteva fare l'accordo loro ne fedele né diuturno , e che era uo- mo che si voleva poter valere dell' armi e del cousii^lio dc^li amici . E benché Vitel- JjS D E L D L e A lozzo stesse assai reniteute, e che la ino irte del fratello gli avesse insegnato come e' non si debbe offendere un Principe, e di- poi fidarsi di lui ; uondimauco , persuaso da Pagolo Orsino , suto con doni e con pro- messe corrotto diil Duca, consenti ad aspet- tarlo . Dondechè il Duca davanti ( che fu fi' di trenta dicembre mille cinc|uecentodue) che doveva partire da Fano , comunicò il disegno suo a olto de' suoi più fidali, trai quali fu Don Michele e Monsignor d' Eu- na , che fu poi Cardinale , e commise loro che subito che Vitellozzo , Pagolo Orsino , Duca di Gravina , e OUverotto ^^\ì fussino Tenuti allo incontro , che ogni duoi di lo- ro mettessino in mezzo uno di quelli, con- segnando r uomo certo agli uomini certi , <; quello intrattenessino intino in Sinigaglia, ne gli lasciassino partire ilno che fussiuo pervenuti allo alloggiamento del Duca , e presi . Ordinò appresso , che tuUe le sue genti a cavallo ed a ])ie(li , che erano me- glio che duemila cavalli e diecimila fanti , fussino al far del giorno la mattina in sul Metauro , fiume discosto da Fano a cinque miglia , dove lo aspettasbiuo . Trovatosi adunque F ultimo di dicembre in sul Me- tauro con quelle genti , fece cavalcare in- nanzi circa dugento cavalli ; poi mosse le fanterie, dopo le quali la persona sua con il resto delle genti d'arme . Fano e SinÌ£;a.- glia sono due città della Marca poste in sulla riva del mare Adriatico, distante Fu- VALE>^TINO. 17-7 na dall'altra quindici miijiia; talché chi va verso Siuigaglia , ha 111 sulla mano destra monti , le radici de' quali intanto alcuna volta si ristringono col mare , che da loro all'acqua resta uno brevissimo spazio, e, dove più si allargano, non aggiugne la di- stanza di due miglia . La città di Sinigaglia da queste radici de' monti si discosta poco più che il trarre d' un arco , e dalla ma- rina è distante jneno d' un miglio. A can- to a questa corre un piccolo l'urne , che le bagna quella porte delle mura , che è in verso Fano , riguardando la .'^trada . Per- tanto chi propinquo a Sinigaglia arriva , viene per buono spazio di cammino lungo i monti , e giunto al fiume che passa lungo Siui"a"lia , si volta in swlla mano sinistra lungo la liva di quello ; tantoché andando per is])azio di un' arcata , arriva ad uà ponte che passa quel fiume , ed è quasi a testa con la porta eh' entra in Sinigaglia , non per retta linea , ma traversai mente . Avanti alla porta è un borgo ^'i case con una piazza, davanti alla quale l'argine del fiume fa spalle dall'uno de' lati . Avendo pertanto gli Vitelli, e gli Orsini dato ordine di aspettare il Duca, e personalmente ono- rarlo , ])er dare luogo alle genti sue, ave- vano ritirate le loro in certe castella disco- sto da Sinigaglia sei miglia, e solo avevano lasciato in Sinigaglia Olivcrotto con la sua banda, che era mille fanti e centocinquan- ta cavalli , i quali erano alloggiati in quel Mach. ì^ol I. 12 1-78 DELDUCA ])orgo , die (li sopra si dice . Ordinate cosi le cose, il Duca Valentino ne venne verso ■SJnigai^lia , e quando arrivò Ja prima testa de' cavalli al ponte non lo passarono , ma fermatisi volsono le groppe de' cavalli 1' u- ne dell' Imperatore e del Regno di Spagna , e poi darne una pie- na notizia . E per venire ai particolari, di- co, che avete a osservare la natura dell' uo- mo , se si governa , o lasciasi governare ; se e2;li è avaro, o liberale; se egli ama la £;ue]ii>,o la pace; se la gloria lo muove, o altra passione ; se i popoli lo amano ; se gli sta più volentieri in Spagna , che in Fiand) a ; che uomini ha intorno che lo consigliano , ed a quello che sono volti , cioè se sono per farli lare imprese nuove , oppure cercare di godeisi questa presente fortuna; e quania autorità abbino con lui; e se li varia, o li tien fermi ; e se di quei del Re di Fjancia ha alcuno amico ; e se sono corruttibili . Dijwi ancora è beue con- siderare i Signori e liaroni che gli sono jdìù allato , che potenza sia la loro ; come si contentino di lui ; e, quando fussiuo mal- cententt , come gli possono nuocere ; se la Francia ne potesse corrompere alcuno . In- tendere ancora del suo fratello , come lo tratta; come vi è amato; come è contento; e se da lui potesse nascere qualche scando- io in quel Regno , e negli altri suoi Stati . Intendere appresso la natura di quei })opo- H , e se (juella lega che prese Tarme, è al tutto posata , o se si dubita che la possa A UN AMBASCIATORE. 187 jìsorgere ; e se la Francia le potesse far fuoco sotto . Considererete ancora che fine sia quello dell' Imperatore ; come egli in- tenda le cose d' Italia ; se egli aspira allo slato di Lombardia , o se gli è per lasciar- lo godere agli Sforzeschi ; se gli ama di ve- nire a Roma , e quando ; che animo egli abbia sopra la Chiesa ; quanto confidi nel Papa ; come si contenta di lui ; e, venendo in Italia , che bene o male possano i Fio- rentini sperare o temere. Queste cose tutte considerate bene , e bene scritte vi faranno un onore grandissi- mo ; e non solamente è necessario di scri- verle una volta , ma conviene ogni due o tre mesi rinfrescarle con tal destrezza, (ag- giugncndovi li accidenti nuovi ) che la paia prudenza e necessità , e non saccenteria . Fine dell' Istmzione . D E L L' IRA, E DE' MODI DI CURARLA , D I AL O G O DI NICCOLÒ MACHIAVELLI (i). .ettamente a me pare (2), Cosimo caris- simo , che faccian quei prudenti pittori , U quali avanti che del tutto finìscliin l'opere loro , se le tolgono dalla vista per qualche tempo , acciocché i' occhio per quello inter- (i) La varia erudizione ed il fiorito stile ài questo pregevole Dialogo lasciano trasparire la gioventù del- l' Autore , il quale probabilmente lo scrisse circa 1' an- no i5o4. (2) Cosimo Rucellai , giovane di grandissima aspet- tazione ed amicissimo dell' Autore, il qaalo ne pianse teneramente l' immatura morte ncll' introduzione al Dialo- go dell' Arte della Guerra , in cui Io fa entrare come uno degl' interlocutori . Ad es^o pure indirizzò i Discorsi sopra Tito Livio . Il M;ichiavelli frequentava i celebri Orti Rucellai , insieme con Luigi Alamanni , nominato più sotto, ed altri ùotti e fedeli Amici, ove si trattene- vano in filosofici ragionamenti . DIALOGO. 189 vallo perdenilo l'assidua cMisuBliulioe acl veder quella pittura , e dipoi toruando no- vellamente a rivederla , meglio e più dirit^ tamente ne giudichi , ed in essa conosca i difetti , i quali torse gli avrebbe celati la continua familiarità. Ma perciocché non è possibile che 1' uomo sé stesso da sé slesso separi , o il senso proprio lontani da sé , da questo nasce die pei' la continua fa- miliarità di sé medesimo , ciascune di sé proprio divenga ingiusto giudice più che d' altrui ; perciò questo rimedio ne resta a conoscere li nostri difetti , che gli amici l'un l'altro considerino, e l'uno all'altro si tornino a mostrare , non per aver indi- zio se più o meno alcuno sia macchiato, o più robusto, o più debole si trovi di cor- po, ma l'esamina si faccia de' costumi e del modo della vita , o se '1 temjìo avrà in al- cuno augumentato virtù , o in parte me- nomato, o del lutto estirpato qualche vizio. 11 che ho detto a questo proposilo , per- ciocché essendo io questo anno ritornato in Roma , e dimorato teco alquanti mesi , non ho giudicato tanto degno di ammira- zione il grande accrescimento di ricchezze fatto con la tua singulare industria nel tempo che da te sono stato lontano , ([uanto reputo ben degno di maraviglia grandissima il veder quella tua già cos'i facile infiamma- zione all' ira, esser da te con ragione tanto intepidita e mansuefatta , che per lo piace- re che io ne sento , mi giova di dire : O igO DELL IRA iraciindia , quanto sei fatta piacevole ! E non già clie tanta piacevolezza d'animo ab- bia in te generato pigrizia o tardezza , ma ad uso del buon campo una benigna e m.ansueta conversazione balla in te conce- puta e produtta ; onde manifestamente si vede che '1 furore e la subitezza dell' ira non invecchia con l' etade , né volontaria- mente s' ammorza , ma con certi ottimi di- scorsi ragionevoli si puote solamente sanare . E se bene Luigi , amico nostro , mi aveva prima narrato quel che di le , e con molta verità di tua laude si diceva ; nondimeno dubitava che ingannato dalla affezione che ti porta , non di quello che in te rilucesse, ma di quanto rilucere doverebbe in ogni uom virtuoso e nobile , facesse di te testi- monio . Perchè, come tu hai ben conosciu- to , io non son tanto credulo , che a com- piacenza d' alcuno traportar mi lasci dal- l' opinione ; ma ora nel vero io l' assolvo da ogni dubbio di falsità, e ti prego che ti sia in ])iacere volermi contar con uso di qual medicina tu abbi a te stesso quella sia tua subitezza d'ira ridotta, e avvezza tanto obediente e mansueta , e cosi sotto- ])OSta alla ragione . Cosimo. Io giudico , Niccolò mia dilet- tissimo , che tu debba molto bene , e con molla attenzione avvertire, che da troppa benlvolenzia , e dalla nostra siuiiulare ami- clzla non sii ingannato , in maniera che li difetti miei non t' appariscano j conciossia- DIALOGO. igi olle r amore , il c|ualc nou sa tenersi dea- tro a i termini , mi ti fa forse parere più mansueto a pressi . E coiiciossiachè Ipocrale di' sé, quella infermità apparire molto pericare con le sue qualità naturali , quello non è già causa dejla in- fei mità , ma solamenle un segno del male; ma la lingua d'alcuno oppresso da ira , s'ella sarà maledica , e ripiena di brulle e ingiu- riose ])arole , non e segno solamente , ma eausa di mortali inimicizie e di moltissimi mali. ?sè mai il vino, per ebbrezza, opera cosa alcuna si nocevole e molesta quanto l'ira; jierciocchè i movimenti del vino di riso , e di giuochi son pieni , jna quelli dell' ira son ripieni di fcle araarissimo; e(m- ciossiachc, dopo il bere, quel che tace, è gra- 200 DELL IRA ve, e mal grato accompagni; ma nell'ira^ dove nulla più convenevole sarebbe che 'l tacere , non è possibile , né vale alcuna am- monizione per moderare e reprimere quella lingua . Oilie a ciò clevrebbero eziam quelli clic sono inclinati all' ira , non solo tenere in memoria quello che è dello di sopra , ma cognoscere ancora un' altra natura e qualità di quella , e ciò è che essa non è generosa o virile , come clic ella apparisca audace e terribile; perciocché da molti fal- samente è giudicata la pertiuacia fortezza , e le minacce ardimento . Non pertanto Tira non ha in sé parte alcuna di felice animo- sità ; né di tal falso indizio ci devemo ma- ravigliare , quando a tutte lìate veggiamo esser reputato da molli magnificenzia e gran- dezza d'animo la crudeltà, e l' ostinala di- fesa dell' errore inescusabile esser nominata costanzia e fortezza ; conciossiaché 1' opere dell' ira e suoi movimenti , e la forma e l'effigie chiaramente dimostrano la sua de- bolezza ; perciocché quelli che a lei sono inclinati, non solo si commuovono ad ira per quelle ct f,c , oiide i jficcoli fanciulli e le fem- mine si stizziscono, ma si conducono eziamdio talvt>lta a dir parole ingiuriose con ira , e vendicarsi con (ani e con cavalli : e cosi , co- mie le piaghe fauno sentir più dolore nelle di- licate e tenere carni , simigliantemente nelli animi debili F inclina/ione dell'ira genera e multiqilica di ])uslllanimità ]>iù debolezza : e da ciò viene che le femmine sono più DIALOGO, 201 loggenncnle ad ira comm(>ssc clie gli uoini- ni , e ])iù sono gì' infermi die i sani , i vecchi che i giovani, gì' infelici clie i felici. Quello si adira contro al liheiale, il goloso col cuoco , il geloso con le femmine , il va- no con chi non lo landa ; e sopra tulio sono noiosi e molesti (jnelli che l'ambizione nella città esercitano ; perciò che , come disse Pindaro, in questi si discuoprono lar- gamente le passioni . Potrei addurti sopra questo discorso dell' ira molti esempi di be- ne e di male ; ma perciocché li esempli del male sono tal fiata necessarii , ma non gio- condi e piacevoli a narrarli, per questo io mi sforzerò più tosto di porre avanti qual- che }>ello esemplo di quelli che pazienti sono stati laudati ; avvenga che a me non posson piacere gli esempli , o quelli detti , li quali incitano a vendetta gli uomini , e quasi si sforzano con errore non piccolo indurre l'ira nell' uomo , quando la magion fua mollo \)ìù si conviene nel sesso femi- neo . Perciocché se bene in ogni alto di iuslizia non è inferiore il sesso e la fortezza viiile ; non per tanto in questa parte della mansuetudine, la quale all'uomo massima- mente conviene, mi pare superiore. E quan- tunque il snpeia)e,e per forza vincere gli altri uomini è giudicata cosa difficile e for- te ; nondimeno il vincer l'ira, e nel suo petto medesimo acquistarne palma e trion- fo , è , come disse Eraclito, non ])ure dif- ficile , ma difiiciiissimo; onde per questo hìi^o , o con iiegligeazia passarsene; perciocché hene spes- so questo saria cagione di punire poi cori ira , quando non lo facciamo mentre clie r animo nostro è quieto e tranquillo ; il che facendo , a noi interviene quel che accade a pigri marinari , i quali standosi in porto mentre die 'I mare è trantjuillo , sono for- zati dipoi per jo mare turbulento navicare . Quello che ha fame, prende il cibo secondo il desiderio della sua natura ; ma quello che ha a vendicare uno errore, lo debbe allor fare quando di vendetta non sente né fame uè sete : ne debbe servirsi dell' ira per accendersi a vendetta, quasi come fan- no alcuni del finocchio per accendersi la sete; ma quando ben si trova lontano dal- l' ira , allora per forza la ragione governa . Né ancora , come referisce Aristotile , che insino air eia sua usavano i Tirreni di far battere i servi al suono delle tibie, mi pa- re che per piacere o per saziare 1' appetito dobbiamo altrui gastigare , perchè mentre che noi ne godiamo , quel tale s' abbia a pentere e dolere ; perciocché il farlo con ira è cosa efferata , e questo altro è cosa femminile ; ma discacciando il piacere , e r odio , con la ragione tranquilla far si debbe, né dare luogo alcuno all'ira . Ma parrà forse che questo jnecetto sia non propria medicina dell' ira , anzi più tosto DIALOGO. 211 una certa custodia e correzione degli errori che fa colui che dall' ira è vinto . E liual- ìnente quando io esamino con diligenza Toriglne dell'ira, trovo che or per una, ed or per altra cagione in quella caggianio ; le quali tutle con la mansuetudine gloriosa- mente vincere e dlspre/zaie si possono . Il per che a me pare che a quelli , che voglicn fuggir l'ira, bisogni sopra tutto star disco- sto e guardarsi dal dispregio e dalla incon- siderazione delli altri; ma, in quesli due difetti incontrandosi, gli dobbiamo attribuire a sciocchezza, o necessità, o a cosa a caso fatta ; e spesso conviene ricordarsi di 'quello che rispose Diogene a quel che gli disse : Non vedi come costoro ti dispregiano ? Al quale disse egli: Certo non me, ma sé stessi dispregiano . SI che non dobbiamo ad ira moverci , perchè non siamo onorali quanto talor ne pare che si convenga ; ma noi più tosto disprezzar quei tali che cosi fanno , e poco in pregio tenerli, quasi che così facciano per debolezza loro o per errore , per inconsi- derazione o rozzezza , o come troppo vecchi o troppo giovani, e agli amici e familiari dob- biamo per mansuetudine e per benevolenza tal cosa ammettere ; ma noi per contrario be- ne spesso, non solamente con la moglie, con gli amici e co' servi , ma ancor co' famigli di stalla , co' vetturali , e con i lavoratori ci leviamo in ira, parendone da qnegll non essere stimati e onorati abbastanza ; e qu.indo siamo in ira levati, non solamente ci sde- 212 DELL IRA gnamo con quelli, ma un cane eli' abLai , uno asino che ragghi, non possiam sop])or- tare , come quello che assaltando per bat- tere mio che guidava gli asini , ed egli gridando: Io sono Aleuiese, si rivolse a uno asino , e bastonandolo diceva : Tu non se' Ateniese . E perciocché le spesse e con- tinue indignazioni e sollevamenti d' ira ci nascono nell' animo le più volle dall' amor nosìro proprio , o dal nostro voler le cose appunto al gu?to proprio , massimamente coniungendole con dilicato e agiato modo di vivere ; j)erò \)cv astenersi da quella , e mantenersi alla mansuetudine, non è il più facile e miglior cammino che la felicità e semplicità della vita , accomodandosi delle cose tali come eìle sono , e di poche sfor^ zandosi aver desiderio o bisogno , e non fare come alcnno , che se l'acqua fresca gli man- ca per rinfrescare il vino , si stizzisce e noti vuol bere ; e quell' altro non mangia pane comperato, o non mangia la minestra nella scodella di terra, uè vuol dormire in letto che non sia ben pari e adorno . Se alcune di queste gli manca , eccolo subito alle gri- da , a' romori , a battere i servi , e inquieta- re la famiglia di casa . E come la tossa fre- quente commove e conquassa la disposizione del corpo ; così costui accende , gridando , in se stesso più l'ira. Inoltre è da sforzarsi di ridurre il proprio corpo al vivere parco e semplice, perciò che quello che ha di po- che cose bisogno , ancor può esser pertur- DIALOGO. 21 3 ì)ato (la poche ; e non è difficil cosa per certo, posandoti a mensa tacitamente, più o meno mangiare di quelle cose che sono po- ste avanti , secondo che ti piacciono , per non dar molestia , ed inquietare gli amici e dimestici . Se con ira ti sdegni di quel che non ti piace , perche cosa non e tanto molesta nel cenare , e convitare gli amici , quanto , se per causa d'esser troppo cotto uno arrosto, o per sentir di fumo una vi- vanda o qualche altro simil difetto , il pa- drone dica villania alia moglie, o percuota e batta i servitori . Arcesilao avendo con- vitato alquanti amici , ed essendo posti a mensa , e cominciato a venir le vivande , non avendo i famigliari posto il pane in tavola , uno dei convitati , come poco pa- ziente , cominciò a gridare : Vuoi tu farcì però morir di fame ? A che , sorridendo , rispose Arcesilao : Quanto è difficil cosa es- ser savio nel convito ! E Socrate menando seco Eutidemo a cena , Xantippe moglie di lui lo ricevè con villanie e rimbrotti , né ancor si quietò fino al mandar la tavola sossoina ; per il che sdegnato , rizzandosi Eutidemo , se ne andò ; al quale Socrate disse : Or non ci fece ieri , cenando io te- co , una gallina volando in su la tavola , questo medesimo che adesso ci ha fatto , Xanlippe ? e non perciò per quello ci tur- bammo . Si die mollo si conviene con fa- cilità , con riso e benivolenza ricevere gli amici , e non con brusco volto , né eoa 2t4 D E L l' I R A dir villania a' servitori dar loro dispiacere e sbalordire i servi . Così si deì)be avvezzarsi ad usare indifferentemenle tutti i vasi , e non porre affezione più a questo, che a quello , come molti usan fare , eleajgendosi un bicchiere o una tazza , Senza la quale non pare che possino bere ; e così di molte altre cose facendo, ne nasce con questo che se per disgrazia si rompe o si perde , ne piglian tal molestia e dispiacere , che sé stessi ne perturbano , e gli altri di casa per ira ; e perciò quelli che sono a lei inclinati, deb- bon molto guardarsi di non porre affezio- ne , e non s' eleggere vasi proprii , sigilli o altre cose , perchè quelle perdute molto ci perturbano . Onde avendo Nerone fatto fabbricare un padiglione in ottangulo bel- lissimo , e per varietà di lavori molto mira- bile, Seneca gli disse riguardandolo : Tu li sei stretto ad una povertà , perciocché se questo si guasta, non ne potrai rifare uno altro tale; e così gì' intravvenne, però che essendo posto in uno navile , e quel per- dendosi in mare , si perde il padiglione ; onde ricordandosi Nerone delle ])arole di Seneca , ne sopportò più moderatamente la perdita . E in conclusione la dolcezza e la facilità nel praticare con gli amici fa gli uomini benigni e mansueti ; e finalmente con ira i mariti non ponno usare la modestia delle proprie donne , uè con quella usare r amore de' loro proprii mariti , uè gli amici intra loro la familiarità . Sì che ne l' ami- DIALOGO. 2là cìzìe , ne la ooniunzlone delle nc7.ze si pos^ son iT;odere dove domina Y ira : quando che nondimeno levata via quella si comporta intra questi l'ebrietà. Però dall'ira si deb- boii guardare quelli che ancora eoa gli amici motteggiauo , percliè , in cambio di benevolenzia , genera e partorisce inimici- zie ; e così quelli che parlano assai , perchè' nascono contenzioni da' ragionamenti : simil- mente quelli che giudicano, perciocché dalla potestà è accresciuto l'animo all' ingiuriare. Aacora quelli che insegnano , perchè genera, tristizia e odio delli studii a' discepoli , e viepiù si conviene fuggire l'ira a i felici, perchè a loro accresce l' odio ; ma sopra tutto a' miseri e poveri si conviene dall' ira astenersi , imperò che la gli priva d' ogni misericordia e compassione; ma la benignila e la mansuetudine aiuta molte cose, molte n' adorna , e molte ne rende gioconde , e vince finalmente ogni iracundia ed ogni austerità; sì come disse Euclide al fratello, essendo tra loro venuti in contenzione , e dicendoli il fratello : Possa io morire se io non mi vendico teco . Ed egli rispose : E k> possa miorire se io non ti placo : dalle quali parole subitamente vinto il fratello depose quello sdegno , e spense l' ira ; ma essendo a Poi emone dette parole ingiuriose e molto acerbe da un certo , che di statue e medaglie si dilettava mollo e fuor di modo, non 2IÌ rispose alcuna cosa mai ; anzi , mentre che così esclamava , drizzò li occhi a guardare 2l6 D E L l' I R A intentamente una medaglia di quello ; del che preso piacere cfuello che era irato , lasciò di più ingiuriarlo , e disse : O Pole- mone , questa certo è niente a rispetto di molle che vi sono più belle , le quali ti voglio mostrare . Aristippo similmente essen- do intra lui ed Eschino occorso certo sdc- 'gno , disse ad Aristippo un suo amico: Do- ve è l'amicizia, Aristippo , che soleva esser fra te ed Eschino ? Rispose egli : Ella dorme , ed io la voglio andare a destare ; e, partitosi, trovò Eschino, e gli disse: Parti però. Eschi- no , che io sia tanto sventurato e cosi in- correggibile, che degno non sia stato delia tua riprensione ? Al quale Eschino rispose : E' non è maraviglia certo se in tutte le cose tu sei differente dalla natura mia, quando primieramente di me tu hai bene inteso quello che era convenevole farsi . E per esemplo si vede che la dura e forte cervice del porco , non solo da una donna , ma da qualsivoglia picciol fanciullo, così a poco a poco leggermente grattandola , è gittata e distesa per terra . Ma noi non ancora fac- ciamo dimestici li feroci animali , domiamo i lupi , ed avvezziamo a tenerci in braccio • li piccoli figliuoli de' leoni ; e dall' altra parte, in ira commossi, la moglie, figliuoli, ~ amici da noi discacciamo , ed a' nostri cit- tadini e familiari rispondiamo con ira effe- rata . Certo come diceva Zenone essere il seme una certa commistione delle forze del- l' anima , dalle quali in se tiri alcuna cosa ; DIALOGO. 217 cos'i ancora a me pare che Tira sia la se- mente di tutte le jìassionl dell' animo nostro; perchè dalla tristizia e dal piacere, e an- coia dalla ingiuria prende participazione d'alcuna cosa, e cosi dall'invidia . . . che la goda di far male ed offendere gli altri ; ma più oltre, che è più l'ira nociva , che l'uc- cidere . Imjìerò che non si esercita l'ira per difendersi , ma affligge sé stessa per afilig- gere nitri; dal quale appetito d'offendere altrui massimamente è stimulata l' ira , se però r offendere altrui si può domandare appetito ; e come quando ci accostiamo di buona ora a' palazzi de' Principi , sentiamo risonare gì' in strumenti , odoriamo , a dir così , la poltiglia del vino , e veggiamo gli servi e li guatteri rodere fuor delle porte qui e colà V ossa , e le reliquie delle carni avanzate ; così , andando alle case di quelli che sono iracundi e soperchiati dall' ira , cognosciamo l'amara e crudel vita loro Del- l' effìgie e negli occhi de' servi , i quali le più volte si veggono segnati di percosse e di margine . E necessario ancora rimediare a quegli che dall' ira sono perturbati e giu- stamente commossi per odio de' vizii, ricor- dando loro che, per non incorrere in quella, si guardino dallo immoderato commover- si , né molto si confidino o riposino nel- la fede d'alcuno; imperciocché il confi- dare in alcuno , in trattenere le cause del concitar 1' iia è la massima , quando colui che tu credevi esser buono o esserti fedele. 2l8 DEL l' IRA. ed amarti , li riesce infedele e malvagio, e ti cerca far male . Ed a questo proposito tu sai quanto per mio costume sempre io mi sia inclinato ad amare gli amici e confidar- mi in quegli; e, se bene mi è riuscito come quelli che, camminando per la terra lubrica, cascano ; così spesso m* è occorso che per lo troppo amare mi sono trovalo in errore, e così incannato mi sono forte doluto: non- dimeno non per questo vorrò mai lasciare questa mia inclinazione d'amare altrui vo- lentieri . Tuttavia, nel confidare iu altrui, mi reputo dovermi ricordare ad ogni ora di Platone , e usarlo come freno e ritegno ; il quale usava dire , essere V uomo per natura mutabile , e che e' si doveva per questo te-, mere di fare gli uomini nelle città eccelr lenti ; imperò che essendo uomini , e di uomini nati, dimostrano qualche volta , nel mutare stato, la iuconstanzia e mutabililà di natura . Ma mi pare sentire qui Sofocle che dica, che'l troppo tanto antivedere sia difetto , e che per questo ci si contrappon- ga ; ma a me per certo pai^e che il bene esaminare , il camminare in tulle le cose assentito , e con antivedere sia molto cagio- ne dì levare T occasione al perturbarci per ira ; perchè i casi inaspettati , e da noi non previsti ci traggono fuori della menle e al- terano la ragione ; e però spesso ci dobbia- mo ricordare di (|uel detto d'Anassagora» come narra Panczio , che , essendogli morto il figliuolo, niente si commosse ; anzi diceva : DIALOGO. 2rg Già ben sapeva che '1 generai mortale . Si che coi si conviene a ciascuno , che all'ira si sente inclinato, aver nell'animo e dire, sempre che e' sente commoversl per alcun difetto d' altrui : Già sapeva io che 'I mio servo è un servo che più prudente non Io comperai ; e ancor so che 1' amico non può godersi sanza qualche molestia . So che io ho donna , e che ella è ima donna . E se noi avessimo spesso quel detto di Platone alla bocca : Non erro io ancor tal volta ? non saremmo si rigidi persecutori degli al- trui difetti , nò per li errori altrui ci mo- veremmo ad ira ; ma noi per contrario a Imprendere i yizi delli altri siamo Aristidi e Catoni , e , quel che è più colpabile di tut- to , quando con ira riprendiamo uno irato, e che con ira gastiglùamo uno errore che sopra ira è stato commeSvSO ; il per che s'ac- cende e multiplica più ira . Tutte le volte adunque che io tni rivolgo per l'animo di volermi dall' ira guardare , mi risolvo che sia bene discacciar da me la troppa cura delle cose d' altri ; perciocché il voler co- gnoscere e comprendere , e ridurre in di- scorso le minime faccende de' servi e delli amici , le conversazioni de' figliuoli , le no- velle della moglie , genera facilmente oeni giorno inquieluiiine , sdegni e dispiaceri; giendo allo intorno alcuno , il cui rispetto riteuere mi dovessi , ed ella con i pietosi occhi suoi porgendomi ardire , me gli ac- costai e dissi : Graziosa donna , se il cortese domandare non vi è noioso , piacciavi dirmi qual cagione qui sì lungamente vi ritiene, e se io agli bisogni vostri porgere posso al- cuno aiuto . Ed ella : Come voi forse aspet- tato ho de' frati la compieta in vano ; li bisogni mia sono tali che, non che voi, ogni quantunque minor persona giovare mi pò-? tria . U abito dimostra che io sono del mio diletto sposo priva, e quel che più mi duole, è , che egli è di peste crudelmente morto , ond' io ancora in periglio ne resto ; e però se sanza altrui giovare a voi stesso nocere non volete , state alquanto più lontano . Le parole , la voce , il modo , e la cura che mi parve che della salute mia tenesse , mi trafissero il core ; sì che nel foco entrato per lei saria ; nondimeno , per non le dispia- DI FIRENZE . 287 eere, tìc più che per il pericolo, mi riten- ni , dicendole ; Perchè sì sola dimorale? Per- chè sola sono rimasa . Lo avere comj)agnla piacerehbevi ? Altro non disio, che onesta- mente accompai^nata vivere . Ed io: Quan- tunque per avanti con donna accompagnar- mi volto non fussi , vistovi di sì venusto e grazioso aspetto , in cui bene misse natura ogni suo sforzo , e mosso a compassione de' vostri affanni , con voi sono disposto ac- compagnarmi ; e se bene non molto è la età convenevole , le facultà e V altre cose mie sono tali , che vi potrò forse conten- tare . Di voi uomini , disse ella , sempre fu- rono le promesse lunghe , e la fede corta , se io ho a memoria ben alcuna delle pas- sate istorie . Risposele : E lecito a chi scrive dire quello che vuole , ma chi sa pruden- temente eleggere , d' altri non si fida, che di chi ragionevolmente fidare si deve ; e però non si ha mai di sé stessa a pentere * Ed ella : Poi che il Cielo datore di tutti i beni innanzi mi vi ha posto , quantunque più visto non vi abbi , che di me non abbi cura particulare credere non posso , e perciò , se di me vi contentate , mi parrebbe oltre a modo errare se ed io di voi non mi con- tentassi . Appena queste parole ebbe dette, che uno ozioso frate a testa ritta , atto più al remo che al sagrificio , il nome di cui tacere mi voglio per poterne meglio sanza rispetto parlare , come un falcone , che dal- l'aria visto la preda, a terra piombi, in- 238 DESCRIZIONE DELLA 'PESTE nari zi si avventò a sì leggiadra e 'delicata donna , e come se mille volte parlato gli avesse , molto domesticamente , come è il costume loro , le domandò , se niente di bi- sogno le occorreva di sita opera . Io gli risposi clie ella ora mai de' bisogni suoi fornita si era , e che non ci aveva luogo la fratesca sua carità . Il ribaldone , che di già spiritava , e per fare forse un altro pa- rentado più a gusto suo avrebbe guasto il nostro, quantunque per gli occhi sfavillassi e ne' panni non capessi , storcessisi come all' incanto biscia , e visto che da lei dura- mente accomiatato , e da me non amichevol- mente accarezzato era , ristringendosi ne'suoi panni , non so che borbottando , se ne andò in mala ora . Ne crediate però che io su- bito così soletta la lasciassi ; anzi dietrole sempre infino a casa sua V accompagnai , nella quale se insieme con il mio core in un tratto rinchiuse : onde io rimaso solo di sì lieta ed a me dilettevole compagnia, per non deviare dal cominciato mio ordine , affrettando i passi nello egregio e lieto tem- pio di San Lorenzo mi condussi , là dove vedere consueto era chi degli anni miei il fiore si aveva goduto . Ma fu la nuova im- pressione tanto possente , che come quegli che del fiume Lete gustano , di ogni altra benché leggiadra donna mi dimenticai . Era- no tutti i pensieri mici rimasi in quegli negri panni avvolti , attorno ai quali l' im- portuno ed ipocrite frale vedere ad ogni DI FIRENZE . 239 «ra mi pareva ; tale gelosia in maniera mi tenea occupati gli spiriti , che altro consi- derare , o vedere non polca : perciò paren- domi in vano il tempo spendere , e desiando , come composto mi era , la desiata consorte rivedere , ben tosto a casa mi tornai , e ponendo alla tragica considerazione della orrenda peste (ine , al piacere di una fu- tura Commedia per la vicina sera mi ap- parecchio . Questo è quello , dilettissimo comparo mio (i), che il primo di di maggio aJli oc- chi miei s'offerse. Quel che segun-à di])oi, fatte le nozze intenderete , che non sono prima per volere ne per potere pensare ad altro . Fine della Descrizione . (0 La presente Descrizione in forma di letlera fa per avventura inviata dal nostro Autore a Francesco Vet- tori , che chiamasi compare del medesimo in alcune sue lettere che si leggono Ira quelle del Machiavelli nel to- mo IX della nostra edizione . CAPITOLI PER UNA COMPAGNIA DI PIACERE (i) Oendosi raguiiati insieme più uomiui e donne più tempo per fare chiacchiere , ed essendo accaduto che molte volte si sono fatte cose piacevoli , e molte volte dispet- tose , e non vi si essendo per ancora trova- to modo a fare le cose piacevoli diventare più piacevoli , e le cose dispettose , meno dispettose; ed essendosi qualche volta pen- sato qualche natta , e non avendo per poca diligenza di chi V ha pensata avuto effetto , è parso a chi ha qualche cervello, e nelle cose degli uomini e delle [donne qualche (i) Poiché questa Operetta deve essere stata scritta Jal nostro Autore estemporaneamente per baia , a com- piacenza di qualche piacevole brigata , noi ci saremmo volentieri astenuti dal collocarla fra le altre Opere di lui ; ma ve 1' abbiamo posta perchè essendo ormai stata da altri rammentata con lode, non sì avesse ad attribuire a negligenza il tralasciarla . PER UNA COiVIPAOrvIA DI PIACERE. 241 esperienza , di ordinare , o vogliam dire re- golare in modo tale Compagnia, ohe ciascuno possa pensare, e pensando operare quelle cose che alle doune, ed agli uomini , ed a qualunque di essi in qualunque modo gio- vino ; però si delibera , che la detta Com- pagnia sia e s'intenda esser sottoposta agli inlrascritti capituli fermati e deliberati di comune consenso , i quali sono questi , cioè : Che niuno uomo minore di 3o anni possa essere di detta Compagnia , e le doQ- ne ne possino essere d'ogni età . Che detta Compagnia abbi uno capo , o uomo o donna che sia , da stare otto di; e degli uomini sia il primo capo quello che ha di mano in mano maggior naso, e del- le donne quella che di mano in mano ari minore pie . Niuno o uomo , o donna che non ri- dicessi tra uno di le cose , che si faccssino in detta Compagnia, sia punito in questo modo : se la è donna , si abbino ad appic- care le sue pianelle in luogo , che ognuno le vegga con una polizza da pie del nome suo ; se gli è uomo , si appicchino le sue calze a rovescio in luoc'O eminente , e da ciascuno veduto. Debbasi sempre dire male l'uno del- l'altro, e de' forestieri che vi capitassino di- re tutti i peccati loro, e fargli intendere pub- blicamente sanza rispetto alcuno . Mach, Voi I. 16 242 CAPITOLI Non si possa alcimo di delta Compa- gnia o uomo, o donna confessare in altri tempi , che per la settimana Santa , e chi contratacessi sia obWigato , se gli è doiuia, portare, se glie uomo, essere portalo da il capo della Compagnia in quel modo che a luì parrà , e il confessore si debba torre cieco ; e quando egli avessi l'udire grosso , sarc' tanto meglio . IMon si possa mai per alcun conto dir Lene l'uno dell'altro, e se alcuno contia- facessi, sia punito come di sopra. Se ad alcuno uomo , o ad alcuna don- na paressi essere troppo bella , e di questo si trovassi due testimoni, sia obbligala la donna mostrare la gamba ignuda iniino so- pra il ginocchio quattro dita ; se gli è uo- mo, chiarire la Compagnia se gli avessi nel- la brachelta fazzoletto , o simile cosa . Sieno obbligate le donne ad andare quattro volte il mese a' Servi almeno, e di più tutte quelle volle cbe da quelli della Com])agnia fussino ricbieste , sotto la pena dagula da al- cuno de' suoi Iralclli , o da aitii lussi det- to alcuno secreto , e fra due di e' non lo abbia pubblicato, s' intenda, se gli è uomo o donna, incorso in pena di avere a fare sempre ogni cosa al contrario, sanza poter- sene per alcun modo , o via retta , o indi- retta sgabellare . Non si debba, né possa tenere mai in detta Compagnia silenzio , ma quanto più si cicalerà, e j^iìi insieme, tanto più com- mendazione si meriti , e quello cbe tla pri- mo a restare di cicalare , debba essere tan- to stivato da tutti gli altri della Compa- gnia , che renda il conto perchè si è rac- chetato . rSon debbino nò possino quelli della Compagnia accomodare l'uno l'altro di co- sa alcuna , ma sendo da alcuno richiesti d' imbasciate debbino sempre referirle al contrario . Sìa obliliajato ciascuno ad avere invidia al bene dell'altro, e per questo farli tutti quelli dispetti che potrà ; e potendo farne alcuno , e non lo facendo , sia punito a beneplacito del Signore . Che ciascuno in 02;ni luo2[o e d'ocni tempo sanza alcuno rispetto sia tenuto vol- tarsi a qualunque riso , spurgo , o altro cenno , e rispondere col medesimo sotto j)ena di non poLere negare cosa, di che fussi richiesto per tutto quel mese . 244 CAPITOLI Volendo ancora che ciascuno possa avere la sua comodità , si provcde che cia- scuno uomo , e sia sanza donna , l'uno san- za la moglie , l'altra sanza il marito, dehbe dormire del mese almeno quindici di nelti, sotto la pena di avere a dormire due mesi insieme alla fila . Colui , o colei che farà più parole e meno conclusione, sia più onorato e tenu- tone più conio . Debbino così uomini e donne di delta Compagnia andare a lutti i perdoni , feste, ed altre cose che si fanno per le Chiese , ed a tutti i desinari , merende, cene, com- medie , veglie , ed altre chiacchiere simili , che si fanno per le casie , sotto pena , scu- do donna , di essere confinata in una re- gola di Frati , e scudo uomo in uno Mu- nistero . Sieno tenute le donne stare i tre quarti del tempo tra le finestre e gli usci , o di- nanzi o di dietro come pare loro , e gli uomini di detta Compagnia sieno tenuti rappresentarsi loro almeno dodici volte il di . Che le donne di detta Compagnia non abbino ad avere suocera , e se alcuna per ancora l'avessi , debba infra sei mesi con scamonea , o altri simili rimedi levarsela dinanzi , la quale medicina possiuo anche tisnre contro a' mariti , che non facessiuo il debito loro . PER UNA COMPAGMA DI PIACERE . 24^ Non possine le donne di detta Com- pagnia portare faldiglie , o altra cosa sotto, che dia impedimento, e gli uomini tutti debbino ire sanza stringhe , ed in luogo di quelle usino gli spilletti, i quaU sieno proi- biti a portare alle donne , sotto pena di avere a iniiiidare con s\ì occhiali il Gisan- te di pia/za . Che ciascuno , così maschio come fem- mina , per dare riputazione al luogo , si debbia vantare delle cose che non ha e che non fa , e quando dicessi il vero ap- jiunto , per il qual vero e' mostrassi o la povertà sua , o altra simile cosa, sia puni- to a beneplacito del Principe. Che non si debba mai mostrare cou segni di fuora lo animo suo di dentro, an- zi fare tutto il contrailo , e quello che sa meglio fingere , o dire le bugie, meriti più commendazione . Che si debba mettere la maggior parte (Jel tempo in azimarsi e ripulirsi , sotto pe- na a chi CQntrafacessi di non essere mai guatato dagli altri della Compagnia . Qualunque in sogno ridicessi alcuna cosa che gli avessi detta, o fatta il giorno, sia tenuto una mezza ora a culo alzato , e ciascuno della Compagnia gli debba dare una scoreggiala . Qualunque udendo Messa non guar- darà spesso intorno intorno , o si porrà in luogo da non essere veduto da ciascung , sia punito pfo peccato di lese tnaiestatis. * ^ ', 246 CAPITOLI Cbe non debba mai o uomo o donna, massime chi desidera aver fiifliuoli , calzare prima il pie ritto , sotto pena di avere a ire scalza un mese , o quel più paressi al Principe . Che nessuno nello addormentarsi possa chiudere tutti e due gli occhi ad uno trat- to , ma prima l'uno, e poi Talfro, il quale è ottimo rimedio a mantenere la vista . Che le donne nello andare portino in modo i piedi , che non si possa mediante quelli cognoscere se le sono accollate aito , o basso . Che nessuno si possa mai soffiare il naso quando è visto , se uon in caso di ne- cessità . Che ciascuno sia obbligato , m foiina. camerae ^ a grattarsi quando gli pizzica. Che Tugna de' pie , come quelle delle mani si debbino ogni quattro giorni net- tare . Che le donne sieno tenute , nel porsi* a sedere , sempre mettersi qualche cosa sot- to per parere maggiori . Che si debba eleggere un medico per la Compagnia , che non passi a medicare , ;icciocch.è possa e' disagi e regga alla fatica. 247 ALLOCUZIONE FATTA AD UN MAGISTRATO. E. iccelsi Signori , magnifico Pretore , vene- rabili Collegi , egregi Dottori , e onorevoli Magistrati . Ciascuno delle Prestanze vostre può aver veduto come io non per mia volontà, ma per espresso comandamento de' nostri eccelsi Signori sono venuto a parlare dinan- zi a voi ; il che mi alleggerisce assai l'ani- mo , perchè come , sendoci per me mede- simo venuto , io meritavo di essere biasi- mato come prosuntuoso; così, sendo costret- to dal comandamento di questi eccelsi Si- gnori , merito di essere non già laudato , Ila almeno scusato come obbediente . E lenchè l' inesperienza mia sia grande , la ])otenza e autorità loro è tanta , che la può molto più in me , che non può quel- la. iNon posso nond; manco fare che io nou 24" ALLOCUZIONE «})bia dispiacere di cj>scre ridotto a parlare, di quelle cose che io non ho notizia , ne veggo altro rimedio a sodisfare a me e a \oi , che essere brevissimo , acciocché ne! parlar poco faccia meno errori , e manco v' infastidisca . Né credo ancora che il par- lare lungamente sia conveniente , perchè avendo a parlare della Giustizia davanti ad nomini giustissimi , par cosa piuttosto su- perllua, che necessaria. Pure, per sodisfare a questa ceremonia e antica consuetudine, dico, come gli antichi Poeti, i quali furo- no quelli che, sccoikIo i Gentili, comincia- rono a dare le leggi al mondo , riferiscono, che gli uomini erano nella prima età tanto buoni , che gli Dei non si vergognarono dì discendere di cielo , e venire insieme con loro ad abitare la terra . Dipoi , mancando la virtù e sorgendo i vizi , cominciaiono appoco appoco a ritornarsene in cielo ; e l'ultimo che si partì di terra , fu la Giusti- zia. Questo non mostra altro, se non la ne- cessità che gli uomini hanno di vivere sot- to le leggi di quella ; mostrando che ben- ché gli uomini fossero diventati ripieni di tutti i vizi , e col puzzo di quelli avessero cacciati gli altri Dei , nondimanco si man- tennero giusti . Ma col tempo mancando ancora la Giustizia , mancò con quella la pace , donde ne nacquero le ruine de' Re- gni, e delle Repubbliche. Questa Giustizi* andatasene in cielo non è mai poi tornata ad abitare imiversalmcute intra i'ii uomini , FATTA AD UN MAGI STRATO . 24?) ma SI beue parlicolarmeute iu cjualclic cit- tà , la cpiale , mentre \'i è stala ricevuta , rha fatta grande e potente. Questa esaltò lo Stato de' Greci , e de' Romani , questa ha fatto molle Repubbliche e Regni felici , questa ancora lia qualclic volta abitato la. nostra patria, e l'ba accresciula e mante- nuta , ed ora anche la mantiene ed accre- sce . Questa genera negli Stati e ne' Regni unione , l'unione potenza e mantenimento di quelli; questa difende i poveri e gì' im- })otenti, reprime i ricchi e i potenti , umi- iia i superbi e gli audaci, frena i rapaci e gli avari, gastiga gì' insolenti, e i violenti disperge . Questa genera negli Stati quella egualità, che, a volergli mantenere, è in uno stato desiderabile ; questa sola virtù è quel- la che infra tutte le altre piace a Dio ; e ne ha mostri particolari segni , come dimo- strò nella persona di Traiano, il quale, an- cora che pagano ed infedele , fu ricevuto per intercessione di s. Gregorio nel nume- ro degli eletti suoi (i) , non per altri me- riti, che per avere senza alcun rispetto am- mlnlslrato giustizia ; di che Dante nostro con versi aurei e divini fa pienissima fede , dove dice : (0 È un'antica favola, come a ciascuno è noto, che prese molto credito nei secoli d'ignoranza, e che « affatto contraria ai dommi della cristiana xqUe'wiiq. 25o , ALLOCUZIOISE Ivi era effigiala l'alta gloria Del Principe Romano , il cui valore Mosse Gregorio alla sua gran vittoria : Io elico di Traiano linperadore ; Ed una Vedovella gli era al freno Di lagrime atte^jgiata , e di dolore . Intorno a lui parea cakvato , e pieno Di Cavalieri, e l'Aquile dell'oro Sovr' esso al vento muover si vedieno . La Vedovella infra tutti costoro Parea dicer : Signor , fanne vendetta Del mio figliuol clic è morto , ond' io ra' accoro ; Ed ei dicer a lei: ora t'aspetta Tanto cli'io torni ; ed ella: o Signor mio , Siccome donna in cui dolor si affretta , Se tu non torni ? ed ei : chi sia dov' io La ti farà . Ed ella : 1' altrui bene Che giova a te , se tu '1 metti in oblio ? E lui dicere allora : Ornai conviene Ch'io solva il mio dover anzi eli io muova; Giustizia il vuole , e pietà mi ritiene . Versi , come io dissi , veramente degni di essere scritti in oro , per i c[uali si vede quanto Iddio ama e la giustizia eia pietà. Dovete pertanto , prestantissimi Cittadini , e voi altri ciie siete proposti a giudicare , chiudervi gli occhi, turarvi gli orecchi, legarvi le mani , quando voi abbiale a ve- dere nel giudizio amiri o parenti, o sentir preghi o persuasioni non ragionevoli , o a FATTA AD UN MAGISTRATO. 25 1 ricever cosa alcuna che vi corrompa l'ani- mo , e vi dcvli dalle pie e giuste operazio- ni . 11 che se farele , quando la Giustizia non ci sia , tornerà ad abitare in questa città ; quando la ci sia , ci starà volentieri , né le verrà voi^lia di tornarsene in cielo : e così insieme con lei farete questa città e questo Stato glorioso e perpetuo ; e però a questo io vi conforto , e per debito dell'ufi- zio nostro ve lo protesto ; e voi ser ..... ne sarete rogato . 2S2 RITRATTI DELLE COSE DELLA FRANCIA COMPOSTE PER NICCOLÒ MACHIAVELLI L a t;oronfi e gli Regi di Fraucia sono og- gi più gagliardi, ricchi , e più potenti che mai fiissino , per le infrascritte ragioni : La corona , andando per successione del sangue, è diventata ricca , perchè non avendo il Re qualche volta figliuoli , né clii gli succedesse nella eredità propria , le su- stanzie , e beni propri , e Stati sono rimasti alla Corona . Ed essendo intervenuto questo a molti Regi , la corona viene ad essere arricchita assai per gli molli Stati che gli sono pervenuti ; come fu il Ducato d'An- giò , ed al presente come interverrà a que- sto Re , che , per uou avere figliuoli maschi , DI FRANCIA . 253 perverrà alla corona il Ducalo d' Orlleiis , e lo stato di Milano ; inmodochè oggi tutte le buone terre di Francia sono della coro- ua , e non de' privati Baroni loro . Un'altra ragione ci è potentissima del- la gagliardia di quello Re , che è, che pel passato la Francia non era unita per gli ])otenti Baroni che ardivano , e gli bastava loro l'animo a pigliare ogni impresa contro a' Re , come era un Duca di Gliienna e di Borbone , i quali oggi sono tutù ossc- quenlissimi ; e però viene ad essere più gagliardo . Ecci un'altra ragione, che ad ogni al- tro Principe circonvicino bastava l'animo assfdtare il reame di Francia , e questo per- chè sempre aveva o un Duca di Bertagna , o un Duca di Ghienna , o di Borgogna , o di Fiandra , che gli faceva scala, davagli il passo , e raccettavalo , come interveniva quando gì' Ingbilesi avevano guerra con Francia , che sempre per mezzo di un Du- ca di Bertagna davano che fare al Re , e cosi un Duca di Borgogna , per mezzo di un Duca di Borbore . Ora sendo la Berta- gna , la Gbienua, il Borbonese, e la mag- gior parie di Borgogna , suddita ossequen- tissima a Francia , non solo mancano a tali Principi questi mezzi di ])otere infestare il reame di Francia , ma gli hanno oggi iii- mici ; ed anche il Re , per avere questi Stati, ne è più potente , e il nimico più de- bole . 254 RITRATTI Ancora ci è un'altra ragione, che og- gi li più ricchi e li più polenti Baroni di Francia sono di sangue reale e della linea, elle mancando alcuno de' superiori e ante- cedenti a lui , la corona può perveuire in lui . E per questo ciascuno si mantiene unito con la corona , sperando o che lui proprio , o li f^glinoii suoi pcssino perveni- re a quel grado , e il ribellarsi o inimicar- sela potria più nuocere, che giovare; come fu per intervenire a questo Re quando fu preso nella giornata di Berlagna , dove lui era ito in fa. ore di quel Duca e contro ai IVancesi; e fn dispula, morto clic fu il Pie Carlo, che, per quel mancamento e defe- zione della corona , lui dovesse aver perso il poter succedere . E se non che lui si Irò- ■vò uomo danaroso per la masserizia che aveva fatta , e potette spendere ; e dipoi quello che poteva esser Re , rimosso lui , era piccolo fantino , cioè Monsignor di An- gitlem ; ed anche questo Re , e per le ra- gioni dette , e per avere anche qualche fa- vore , lù crealo Re. L'ultima ragione che ci è, è questa , che gli stali de' Baroni dì Francia non si dividono tra gli eredi , come si fa e nella Alemagna , ed in più parli d' Italia , anzi pervengono sempre neìli primogeniti, e quelli sono gli veri eredi , e gli allri fra- telli stanno pazienti , ed ajutali dal primo- genito e fratello loro si danno Tulli all'ar- me , e s' ingegnano in quel mobiliere di per- ni FRANCrA . 255 "venire a grado ed. a condizione di potersi comperare uno sialo, e con questa sjieran- 7a si uuirlscoiio . E di qui nasce ilie le geuti d'arme Fraiu^esi sono oggi le migliori che siano , poiché si trovano liuti noLiU e figliuoli di Signori , e stanno ad ordine di venire a tal grado . Le fiinterie che si fanno in Francia , non possono essere molto buone , perchè gli è gran tempo che non hanno avuto guerra , e per questo non hanno sperienza alcuna . E dipoi sono per le terre tulli ignobili e genti di mesliero , e stanno lau- to sottoposti a' nobili, e tanto sono in ogni azione depressi , che sono vili ; e però si vede, che il Ile nelle guerre nrai si serve di loit) , perchè fauno cattiva prova , ben- ché vi sieno li Guasconi , di chi il Re, si serve , che sono un poco meglio che gli altri ; e nasce perchè sono vicini a'coni'ni di S{)agna , che vengono a tenere un poco dello Spagnuolo . Ma hanno fallo, per tinel- lo che si è visto da molti anni in qua , più pro\a di ladri, che dì valenti ucmini . Pure, nel difendere ed assaltare terre, fau- no assai buona prova , ma in camj)agua la fanno cattiva , che vengono ad es.ere il contrario de' Tedeschi e S\izzeri , i quali alia campagna non hanno ])ari , ma per difendere e olfendere terre non vjjgìiono . E credo che nasca perchè in questi due casi non possono tenere quell'ordine della milizia che tengono in su i campi j e però 256 RITRATTI il Re di Francia si serve sempre o dì Sviz- zeri o di Lanzicbinec , perche le sue genti d' arme , dove si abbia nimico opposito ^ non si fidano dei Guasconi . E se le fante- rie fussino della bontà che sono le genti d'arme Francesi , non è dubbio che gli basteria l'animo a difendersi da lutti i Prin- cipi . I Francesi sono per natura più fieri , che gagliardi o destri , e in un primo im- peto , clii può resistere alla ferocità loro , diventano tanto umili , e perdono in modo l'animo , che divengono vili come femmi- ne . Ed anche sono insopportabili de' disa- gi , ed incomodi loro , e con il tempo tra- scurano le cose in modo, che è facile, con il trovarli in disordine , superarli . Di che se ne è vista la sperienza nel reame di JNa- poli tante volle , ed idtimamenle al Gari- gliano , dove erano per metà superiori agli iSpagnuoli , e si credeva se gli do vessino ogni ora inghiottire ; tutlavolta , perchè comin- ciava il verno , e le piove erano grandi , cominciarono ad andarsene ad uno ad uno per le terre circonvicine per istare con più agi , e così il campo rimase sfornito e con poco ordine ; inmodochè gli Spagnuolì fu- rono vittoriosi contra ogni ragione. Sareb- be intervenuto il medesimo a'Viuizlani , che non avrebbero perso la giornata di Vaila , ìe fussino ili secondando i Francesi almanco venti giorni; ma il furore di Bar- tolommeo d'Alviauo trovò un maggior fu- DI FRAKCIA . 2^7 Tore . Il meclesimo interveniva a Ravenna agli Spagnuoli , che se non si accostavano a' Francesi , gli disordinavano rispello al poco governo , ed al mancamento delle vet- tovaglio , che impedivano loro i Viniziani verso Ferrara , e quelle di Bologna sarian3 siite impedite dagli Spaguaoli . Ma perchè uno ebbe poco consiglio, Taitro meno giu- dicio , l'esercito Francese rimase vinciiore , benché la vittoria sua fusse sanguinosa . E 6e fu il confili lo grande, e maggiore saria stato, se il nervo delle forze dell'uno cam- po e l'altro fusse sialo della medesima sor- te l'uno che l'altro . Ma l'esercito i'^rancese era gngliardo nelle genti d'arme , lo Spa- gnuolo nelle fanterìe, e per questo non fu tanta grande strage . E però chi vuole su- perare i Francesi si guardi dal primo loro impeto , che con lo andargli intrattenendo , per le ragioni dette di sopra, gli supererà. E però Cesare disse , i Francesi essere in principio più che uomini , e in fine meno che femmine . La Francia per la grande/za sua , e per la comodità delle grandi fiumane è gras- sa ed opulenta , dove e le grasce , e le opere manuali vagllono poco o niente per la carestia de'danari che sono ne' popoli , i quali appena ne possono radunare tanti che paghino al Signore loro i dazi , ancorché siano piccolissimi. Questo nasce perchè non hanno dove finire le grasce loro , perchè ogni uomo ne ricoglie da vendere ; ianio- Macìi. Voi I, 17 !^.:'8 . RITRATTI docile se in una lena fussc uno clie vo- lesse vendere un moggio di grano ,' non troveria, perchè ciascuno ne ha da vende- re. Ed i gentiluomini de' danari che trag- gono da' sudditi , dal vestire in. fuori, non. is pendono niente , perchè da per h^ro han- no bestiame assai da mangiare, poUaggi in- lìnili , laghi , luoghi pieni di venagioni di ogni sorta ; e così universalmente ha cia- , scuno uomo per le terre . In modochè tut- to il danaro perviene neììi Signori , il qua- le oggi in loro è grande ; e però come quclh popoli hanno un fiorino , gli pare , essere ricchi . CH Pi elati di Francia traggono duci . quinti delle entrate e ricchezze di quel re- gno , pei'chè vi sono assai Vescovadi che hanno il temporale e lo spirituale ; e poi avendo per il vitto loro cose abbastanza , però tutti i censi , e li danari , che gli per- vengono in mano, non escono mai, secon- do l'avara natura de' Prelati e Religiosi ; e quello che perviene ne' Capitoli e Collegi delle Chiese , si spende in argenti , gioje , ricchezze per ornamenti àeiÌG. Chiese . In- modochè fra quello che hanno le Chiese proprie , e quello che hanno i Prelati in particolare fra danari ed argenti , vale un tesoro infinito . IXel consultare e governare le cose del- la corona e slato di Francia sempre inter- vengono in maggior parte de' Prelati, e gli altri Signori non se ne curano , perchè san- DI TTIANCIA . 25*) BO che le esecuzioni hanno ad esser fatte da loro. E però ciascuno si contenta, l'uno con l'ordinare , Paltro con Io eseguire, ben- ché v'intervenga ancora de' vecchi già siili uomini di guerra, perchè dove si ha a ra- gionare di simili cose, possino indirizzare i Prelati , che non ne hanno pratica. I benelìcii di Francia per \irtù di cer- ta loro prammatica , ottenuta lungo tempo fa dalli Pontefici, sono conferiti di' loro Collegi; inmodochè i Canonici, quando il loro Arcivescovo o Vescovo muore , ragù- nati in-;lerae conferiscono il benefizio a chi di loro gii pare lo meriti . Inmodochè spes- so hanno qualche dissensione , perchè vi è sempre chi si fa favore con danari , e qual- cuno con le virtù e buone opere. Il simile fanno i monachi nel fare gli Abati . Gli aliri piccoli beneficii sono conferiti da'Ve- scovi, a chi sono sottoposti . E se qualche volta il Re volesse derogare a tal pramma- tica , eleggendo un Vescovo a suo modo , bisogna che usi le forze , perchè nlegano il dare la possessione ; e se pure sono forza- ti , usano ( morto che è un Re ) trarre un tal prelato di possessione, e renderla all'e- letto da loro . La natura de' Francesi è appetitosa di quello (V altri , di che insieme col suo » quello altrui è poi prodiga. E però il Fran- cese ruberia con lo alito per mriuglarselo , e mandarlo male, e goderselo con colui, a «hi lo ha rubato . Natura contraria alla Spa- 26o RITRATTI gnJTola , die di quaììo che li rubo, non ve- di m.'.i iiierte . Teme assai la Francia degl' Tnghilesi per le grandi incursioni e guasti cLe auti- canieule hanno dato a qntl reame ; inmo- d()ch( r.e^ ]-o]ioli quel nome Inghlle^e è lorn3idab:le , c(;me quelli che non disùn- guono , che la Francia è oggi condizionala aì(r?menli che iu quelli lemj)i , perchè è ar- mala, sperinieiiiala ed unita, e tiene quelli siati, iìi su che gl'lnghilesi facevano loro fondamento , come era un Ducato di Ber- lagua e di Borgogna ; e per fopposito gli In-hliesi n*m sono disciplinati , perchè è tanto ciie non ehhono guerra , che degli uomini ehe vivono oggi , non è chi mai abbia visto nimico in viso; e poi gli è man- cato chi gli accosti in terra , dall'Arciduca in fuori . Temeriano assai degli Spagnuoli per la sagacità e vigllanzia loro . Ma qualunque volta quel Re voglia assaltare la Francia , lo fa con gran disagio , perchè dallo slato, donde muoverebbe, fino alle bocche de' Pi- renei , che mettono nel reame di Francia , è tanto cammino e sì sterile, che ognivol- lachè i Francesi faccino punta a tali boc- che, cosi a quelle di verso Perpignano , come di verso Ghienua, polria essere di- sordinato il suo esercito, se non per conto di soccorso , almeno per conto delle vetto- vaglie, avendo a condursi tanta via; per- che il paese che si lascia dietro , è quasi DI FRANCIA . 2f)t per la slerlìità inahit-ito , e quello ohe è abitato, ap]>ena ha da vivere per quelli abi- tanti . E per questo i Francesi di verso i Pirenei temono poco di.'gli Spai^'iuoli . De' Fiamminghi non temono i France- si , e nasce, perchè i Fiaiumin^^^hi non ri- colgono per la fredda natura tiel paese da vivere, e massime di grani e vini, i quali Lisocna che trasfiihino di Bori'onna e di Piccardia , e di ahri stali di Fraiicla. Edi- pei i popoli di Fiandra vivono di opere di mano , le quali merci e mercanzie l(ìro smaltiscono in su le fiere di Francia , cioè di Lione , ed a Parigi ; perchè dalla banda della marina non vi è dove smaltirle, e di verso la Magna il medesimo , ' perchè ne hanno , e ne fanno più che loro . E però ognivoha che mancassero del commercio con gli Francesi , non avrlano dove smal- tire le mercanzie ; e così non solamente mancherlano delle vettovaglie , ma ancora dello smahire quello che laVorasseno . E pero i Fiamminghi mai , se non sono for- zati, avranno guerra con gli Francesi. Teme assai la Francia de' Svizzeri per la vicinità loro , e per gli repentini assalti che li possono fare; a che non è possibile, per la prestezza loro, potere provvedere a tempo. E fanno loro, piuttosto depredazio- ni e correrie che altro ; perchè non aven- do né artiglierie , ne cavalli , e stando le terre Francesi , che gli sono vicine , bene munite, non fanno jjraudi progressi. E poi 262 RITRATTI la natura de Svizzeri è più atta alla cam- pagTia , ed a fare giornata , che all'espu- gnare e difendere terre ; e malvolentieri i Francesi in quelli confini vengono alle ma- r-i con loro , perchè non avendo fanterie buone che stieno a petto agli Svizzeri , le genti d'armi senza fanterie non vagliano . Ed ancora il paese è cjualitìcato in modo , che le lance e genti a cavallo m;de vi sì maneggiano ; e gli Svizzeri malvolentieri si discostano da' confini per condursi al pia- no , lasciandosi indietro , come è detto , le terre gi'osse e ben munite ; dubitando , co- me inlerverria loro, che le vettovaglie non mancassino , ed ancora , conducendosi al piano, non potere ritornare a sua posta. Dalla banda di verso Italia non temo- no ^ rispetto alli monti Appennini, e per le terre grosse che hanno alle radici di quelli , dove ognivoltachè uno volesse assal- tare lo stato di Francia, avesse a soprastare, avendo indietro un paese tanto sterile, bi- sogneria o che affamasse , o che si lasciassi le terre indietro , il che saria pazzia , o che si mettesse ad espugnarle ; benché dal- la banda d' Italia non temono per le ragio- ni dette , e per non essere in Italia Prin- cipe atto ad assaltargli , e per non essere Italia unita , come era al tempo dei Ro- •mani . Dalla banda di mezzodì non teme pun- to il reame di Francia per esservi le ma- rine , dove sono in quelli porli legni assai , DI FRANCIA . 263 parte del Re e di ailri Regnicoli, da poter aitendere quella parte da uno iuopinalo assalto ; ]ìercliò a uno ])remeditalo si ha tempo a riparare , perchè si mette tempo per chi lo vuol tare a prepararlo e mel- :erlo ad ordine , e viene a saiiersi per cia- scuno , ed in tutte queste proviucle tiene 3rdinariamente guarnigioni di gente d'arme per giuocare al sicuro . Spende poco in guardare terre , per- chè gli sudditi gli sono ossequentissimi , e fortezze non usa per far guardare il regno. E a' confini, dove saria qualche hisogiio di spendere , standovi le guarnigioni delle genti d'arme, manca di quella spesa; pei- cìiè da uri assalto grande si ha tempo a ripararvi , perchè vr. )1 tempo a potere es- ser fatto e messo insieme . Sono i popoli di Francia umili e ub- hidientissimi , ed hanno in gran venerazio- ne il loro Re. ^ ivono con pochissima spesa per l'aLhondanza grande delle grasce , ed anche ognuno ha qualche cosa stabile da per sé . Vestono grossamente e di panni di poca spesa , e non usano seta di alcuna sorta uè loro né le donne loro , perchè sariano notati dalli gentiluomini . Li Vescovadi del Regno di Francia , secondo la moderna computazione , sono numero centosei , computati Arcivescovadi diciotto. Le parrocchie un milione e settecento, computate settecento quaranta Badie. Delle Priorie non si tiene conio . 264 RITRATTI L'entrala ordinaria e strasordinaria del- la corona non ho potuto sapere , perchè ne ho domandati molti , e ciascuno mi ha detto esser tanta , quanta ne vuole il Re . Tamen qualcuno dice una parte dell'ordi- nario , cioè quello che è detto presto da- naio del Pie , e si cava di gabella , come pane , vino , carne , e simili ha scudi un nillioue e settecentomila; e lo straordinario cava di taglie quanto lui vuole , e queste si pagano alte , basse , come pare al Re . ' Ma non bastando si pongono preste , e ra- ro si rendono , e le domandano per lettere regie in questo modo : = Il Re nostro Sire si raccomanda a voi , e perchè ha fauta d'argento vi priega gli prestiate la sommi che contiene la lettera . = E questa si pa- ga in mano del ricevitore del luogo , ed in ciascuna terra ne è uno , che riscuote tutti i proventi , così di gabelle , come di taglie e preste . Le terre suddite alla corona non han- no fra loro altro ordine, che quello che gli fa il Re in far danari o pagare dazi , come di sopra . L' autorità de' Baroni sopra i sudditi è mera . L'entrata loro è pane , vino , carne , come di sopra , tanto per fuoco Tanno , ma non passa sei o otto soldi per fuoco , di tre mesi in tre mesi . Taglie o preste non possono porre senza consenso del Re ; e questo raro si consente. DI FRA??CIA . 265 La corona uon trae di loro altra iiti- Utà , che l'entrata del sale , né mai £^li la- gliej2!g!a , se non per qualche grandissima necessità . L'ordine del Re nelle spese straordi- narie , cosi nelle guerre, come in altro , è che comanda ai tesaurieri che paghino i soldati , e loro gli pagano per mano di co- loro che gli rassegnano . I pensionari e gen- tiluomini vanno ai generali, e si fanno da- re la discarica , cioè la polizza del paga- mento loro di mese in mese ; i centiluo- mmi e pensionavi di tre m tre mesi , e vanno al ricevitore della provincia dove abitano, e sono subito pagati. I gentiluomini del Re sono dugento ; il soldo loro è venti scudi il mese, e àono pagati ut supra ; e ogni cento ha un capo, che soleva essere Ravel e Vidames . Delli pensionari non vi è numero , ed hanno chi poco e chi assai , come piace al Re : e gli nutrisce la speranza di venire a grado maggiore ; e però non vi è ordine. L'ufficio de' generali dì Francia è pi- gliare tanto per fuoco , e tanto per taglia col consenso del Re ; ed ordinare che le spese, cosi ordinarie, come straordinarie, siano pagate ai tempi , cioè le discariche , come di sopra . I tesaurieri tengono l'argento ► e pa- gano secondo l'ordine e discariche de' ge- nerali . 266 RITRATTI L'ufilcio del gran Cancelliere è solo lo imperio , e può graziare e coudannar^ co- me gli piace , ancor dove ne va il capo , ancora senza consenso del Re . Può rimet- tere i litiganti contumaci nel buon di . Può conferire i benefica col consenso del Re ; perchè le grazie si fanno per lettere regali sigillate col gran sigillo reale; però lui tie- ne il gran sigillo . 11 salario suo è dieci- mila franchi Tanno , e undicimila franchi per tener tavola. Tavola s'intende per da- re desinare e cena a quelli tanti del con- siglio, che seguono il gran Cancelliere, cioè avvocati , ci altri gentiluomini , che lo seguono , quando a loro piacesse man- giar seco, che si usa assai. La pensione che dava il Re di Fran- cia al Re d' Inghilterra , era cinquantamila franchi Tanno , ed era per ricompensa di certe spese fatte dal padre del presente Re d'Inghilterra nella Ducèa di Beytagna , la quale è finita e non si paga più . Al presente non è in Francia clic un gran Siniscal ; ma quando vi sono più Si- niscal , ( non dico grandi , che non è che lino) l'ufficio loro è sopra le genti d'arme ordinarie e straordinarie, le quali per di- gnilà dell' ìifllcio suo sono obbligale ad ub- bidirlo . I governatori delle provincie sono quanti il Re vuole, e pagali come al Re pare , e si fanno anno per anno , e a vita , come più piace al Re ; e gii altri governa- DI FRAN'CIA . 267 tori, e ancora i liiogoteiienll cleìle piccole terre sono tutti messi dal Re . Ed avete a sapere, che tiilti gli uffici del regno sono o donati , o venduti dal Re , e non da altri . Il modo di fare gli Stati si è cLiscu- uo anno di agosto , quando di ottobre , quando di gennajo , come vuole il Re ; e si porta la spesa e l'entrata ordinaria di quell'anno per mano delll generali , e qui- vi si distribuisce l'entrata secondo l'uscita ; e si accresce e diminuisce le pensioni e pensionari , come comanda il Re . Della quantità delle distribuzioni delli gentiluomini e pensionari non è numero ; ma non si approva niente per la Camera dei conti, e basta loro l'autorità del Re. L'ufficio della Camera de' conti è rive- dere i conti a tutti quelli che ministrano danari della corona ; come sono generali , tesau rieri , e ricevitori . Lo Studio di Parigi è pagato dell' en- trale delle fondazioni de' collegi , ma ma- gramente . Li Parlamenti sono cinque : Parigi , Roano , Tolosa , l^urdeaus , e Delfiuato ; e di nlssuno si appella . Li Studi primi sono quattro : Parigi , Orliens , Borges , e Pottiers ; e dipoi Torsi ed Angleri , ma vagliono poco . Le guarnigioni stanno dove vuole il Re , e tante quante a lui pare , così delle artiglierie , come de' soldati . Nientedimeno 268 RITRATTI tutte le terre hanno qualclie })€zzo d'arti- glieria in munizione, e da due anni incjua se ne sono fatte assai in molti luoghi del regno a spese delle terre , dove si sono fat- te con accrescere un danaio per hestia , o per misura . Ordinariamente , quando il regno non teme di persona , le guarnigioni sono quattro , cioè in Ghienna , Piccardìa, Borgogna , e Provenza : e si vanno poi mu- tando ed accrescendo più in un luogo, che in un altro , secondo i sospetti . Ho fatto dihgenza di ritrarre quanti danari sieno assegnati l'anno al Re per le spese sue di casa e della persona sua , e trovo avere quanti ne domanda . Gli arcieri sono quattrocento deputati alla guardia della persona del Re , tra i quali ne sono cento Scozzesi , ed hanno Fanno trecento franchi per uomo , e uno saio come usano alla livrea del Re. Quelli del corpo del Re , che sempre gli stanno a lato , sono ventiquattro con quattrocento franchi per ciascuno Tanno . Capitano ne è Monsignore Duhegni Cursorcs , ed il Ca- pitano Gahhriello . La guardia degli uomini di pie è di Alemanni , delli quali cento ne sono pa- gati di dodici franchi il mese , e ne soleva tenere fino in trecento con pensione di dieci franchi, e di più a tutti duoi vestì- raienti Fanno per uno , cioè uno la state e uno il verno , cioè giuhhone e calze a li- vrea , e quelli cento del Corpo avevano DI FRANCIA. 269 gìuLboni di seta , e questo a tempo del ile Carlo . Forieri sono quelli che sono preposti ad alloggiare la corte , e sono trentadue , ed hanno trecento franchi ed un saio Tan- no a livrea . Li loro Maniscal sono quat- tro ; ed hanno seicento franchi })er uno ; e nello alloggiare tengono quesl' trdine , cioè si dividono in quattro , ed un quarto con un Maniscal o suo luogolenente, quan- do non f'usse in corte, rimane donde la corte si partì , acciò sia l'alto il dovei e ai padroni degli alloggiamenti ; un quarto ne va con la persona del Pie ; ed un quarto dove il dì debbe arrivare il Re a prepara- re alla corte gli alloggiamenti , e l'altro quarto ne va dove il Ile debbe andare il di ditjoi . E tengono un ordine mirabile ; inmodochè all'arrivare ciascuno ha suo luo- go , fino alle meretrici . Il Preposto deir ostello è un uomo che seguita sempre la persona del Re , e ruRì- cio suo è mero imperlo, ed in tutti quelli luoghi che va la corte , il banco suo è il primo, e puonsi quelli della terra propria, dove si trova, gravare da lui, come dal pro- prio luogolenente . Quelli che per cause criminali sono presi per sua mano , noa possono a]ipellare alll Parlamenti . Il sala- rio suo ordinario è seimila franchi . Tiene due giudici in civile , pagati dal Re di sei- cento franchi Tanno jier uomo ; così un luogolenente in criminale che ha trenta ar- 270 RITRATTI cìeri pagati , come di sopra . Ed espedisce cosi in civile, come in criminale ; ed" una sola volta die l'attore si abbocchi coi reo alla presenza sua , basta ad espedire la causa . Mastri di casa del Re sono otto , ma non ci è ordine fermo in loro di salario , perchè chi ha mille franchi , chi più e chi meno, come pare al Pie . E dipoi il gran Mastro che successe in luogo di Monsignor di Cìamonle, è Monsignor della Palissa , il padre del quale ebbe già il medesimo uffi- cio , clie ha undicimila franchi , e non ha altra autorità, che essere sopra gli altri Ma- stri di casa . Lo Ammiraglio di Francia è sopra tut- te le armate di mare, ed ha cura di quel- le, e di tutti i porti del Regno. Può pren- dere dei legni , e fare come piace a lui de' legni dell'armata. Ed ora è Preianni , ed ha di salario diecimila franchi . Cavalieri dell'ordine non hanno nu- mero , perchè sono tanti quanti il Re vuo- le . Quando sono creati , giurano di difen- dere la corona , e non venire mai contro a quella, e non possono mai essere privati se non alla morte loro . La pensione loro è il più quattromila franchi , e ne è qual- cuno di meno , e il simile grado non si dà ad ognuno . L' ufiìcio de' Ciambcrlani è intrattenere il Re , prevenire alla camera del Re, con- sigliarlo ; ed inflitto sono i primi del regu» DI FRANCIA . 271 per riputazione. Hanno gran pensione, sei, otto, diecimila franchi, e qualcuno niente, perchè il Re ne la spesso per onorarne qualche uomo da hene , ancor che fore- stiere . Ma hanno privilegio nel regno di non pagare gahelle, e sempre in corte han- no le spese alla tavola de' Ciamberlaui , che è la prima dopo quella del Re . 11 grande scudiere sta sempre appresso del R^e , L'ufficio suo è sempre essere sopra gli dodici scudieri del Re , come è il gran Siuiscal , il gran Mastro, ed il gran Ciam- bedano sopra gli suoi ; ed ha aver cura de' cavalli del Re , metterlo e levarlo da cavallo , aver cura agli arnesi del Re , e portargli la spada avanti . I Signori del Consiglio del Re hanno tutti pensione di sei in ottomila franclii, co- me pare al Re ; e sono IStonsignor di Pa- rigi , Monsignor di Buovaglia , il Bagli dì Amiens , Monsignor di Bussi , ed il gran Cancelliere ; ed in fatto Rubertet , e Mon- signor di Parigi governano il tutto . Non si tiene adesso tavola per nissuno di poi mori il Cardinale di Roano. Perchè il gran Cancelliere non ci è , fa l' ufficio Parigi . La ragione che pretende il Re di Fran- cia in su lo stato di Milano, è , che l'avolo suo ebbe per donna una figliuola del Du- ca di Milano , il quale morì senza figliuoli maschi . 272 RITRATTI Il Duca Giovanni Galeazzo ebbe due figliuole femmine , e non so quanti "ma- schi . Tra le femmine ne fu una che si chiamò Madonna Valentina , e fu maritata al Duca Lodovico d'Orliens , avolo di que- sto Re Luigi , disceso pure dalla schiatta di Pipino . Morto il Duca Giovanni Galeaz- zo» gli successe il Duca Filippo suo figliuo- lo , il quale mori senza figliuoli legittimi , e lasciò solo di se una femmiua figlia ba- starda . Fu poi usurpato quello stato da questi Sforzeschi illegittimamente, secondo che si dice ; perchè costoro dicono quello stato pervenire alli successori ed eredi di quella Madonna Valentina ; e dal giorno che Orliens s' imparentò col Milanese , ac- compagnò l'arme sua de' tre gigli con una biscia , e così ancora si vede . In ciascuna parrocchia di Francia è un uomo pagato di buona pensione dalla della parrocchia , e si chiama il franco ar- ciere , il quale è obbligato tenere un ca- vallo buono , e stare provvisto d'armature ad ogni requisizione del Pie , quando il Re fussc fuori del regno per conto di guerra , o di altro . Sono obbligati a cavalcare in quella provnicia dove fusse assaltato il re- gno , o dove si mostrasse sospct to ; che, se- condo le parrocchie, sono un milione e set- tecento . Gli alloggiamcnlì per obbligo dell'uf- ficio loro danno i forieri a ciascuno che segue la corte ; e comunemente ogni uo- BI FRANCIA. 2^3 mo da bene della terra alloi!;gìa corllgiani. E perchè nessuno abbia causa di dolersi , così colui che alloggia , come colui che è alloggiato , la corte ha ordinato una tassa , che universalmente si usa per ciascuno, cioè soldi uno per camera il dì , dove ha ad essere letto e cuccietta , e mutali almanco ogni otto dì . Danari due per uomo il giorno per i lingi , cioè tovaglie , tovagliolini , aceto , agresto , e sono tenuti a mutare detti lingi almanco due volte la settimana ; ma , per averne il paese abbondanza, gli mutano più. e meno , secondo che l'uomo chiede . E di più sono obbligati di governare , spazzare , e rifare i letti. Danari due ciascuno giorno e per cia- scuno cavallo per lo stallaggio ; e non so- no tenuti per li cavalli darvi cosa alcuna , salvo che vuotarvi la stalla dal letame . Sono assai che pagano meno o per la buona natura loro , o del padrone ; ma luttavqlta questa è la tassa ordinaria della corte . Le ragioni che pretendono avere gl'In- ghilesi in sul reame di Fraucia , e più fre- sche , ritraggo e trovo essere queste. Carlo VI di questo nome Re di Francia maritò Caterina figliuola sua legittima e naturale a Enrico figliuolo legittimo e naturale di Enrico Re d' Inghilterra , e nel contratto , senza far menzione alcuna di Carlo VII che fu poi Re di Francia , oltre alla dote Mach. Voli. i8 274 RITRATTI (lata a Caleriiia , inslituì erede del reame di Francia dopo la morte sua, cioè di Car- lo VI , Enrico suo genero e marito di Ca- terina ; ed in caso che detto Enrico moris- se avanti a Carlo VI suo suocero e lascias- se di se figliuoli maschi legittimi e naturali, che in tal caso ancora i detti figliuoli di Enrico succedessino a Carlo VI. Il che per essere stato preterito dal padre Carlo VII non ebbe effetto , per essere contro le leg- gi. All'incontro di che gì' Inghilesi dicono, detto Carlo VII esser nato d'incestuoso concubito . Gli Arcivescovadi d'Inghilterra sono duoi , Vescovadi ventidue , Parrocchie cin- quantaduemila . Fiìie d<^' lìilratùì della Francia. 275 DELLA NATURA DE' FRANCESI . O limano tanto l'utile e il danno presente, che cade iu loro poca memoria delle in- giurie o benelìzi passati , e poca cura del Bene o del male futuro . Sono piuttosto taccagni che prudenti . Non si curano molto di quello si scriva o si dica di loro . Sono più cupidi de' danari che del sangue. Sono liberali solo nelle au- dienze . Ad un Signore o gentiluomo che di- subbidisca il Re in una cosa che apparten- ga ad un terzo, non ne va altro che avere a ubbidire ad ogni modo quando egli è a tempo ; e quando egli non è , stare quattro mesi che non capiti in corte ; e questo vi ha tolta Pisa due volte , l'una quando En- traghes avea la cittadella , l'altra quando il campo Francese vi venne . Chi vuole condurre una cosa in corte , gli bisognano assai danari , gran diligenza , e buona fortuna . Richiesti di un benefizio, pensano pri- ma che utile ne hauno a trarre , che se possono servire . 276 NATURA de' francesi , Li primi accordi con loro sono sempre i Ailgliori . Quando non ti possono far bene , tei promettono ; quando te ne possono fare , lo fauno con diflìcultà , o non mai . Sono umilissimi nella cattiva fortuna , nella buona insolenti . Tessono bene i loro male orditi con la forza . Chi vince è a tempo moltissime volte con il Re, chi perde rarissime volte; e per questo chi ha da fare un' impresa , debba più presto considerare se la è per riuscir- gli o no, che se la è per dispiacere al Re o no ; e questo capo conosciuto dal Valen- tino , lo fece venire a Firenze con l'eser- cito . Stimano in molte cose l'onor loro gros- samente , e disforme al modo de' Signori Italiani ; e per questo teunono poco conto di avere mandato a Siena a chiedere Mon- tepulciano , e non essei'C ubbiditi . Sono varii e leggieri . Hanno fede di vincitore . Sono inimici del parlare Roma- no , e della fama loro . Degl' Italiani , non ha buon tempo in corte , se non chi non ha più che perde- re , e naviga per perduto . 277 RITRATTI DELLE COSE DELL'ALAMAGNA COMPOSTI PER NICCOLÒ MACHLAVELLI . D 'ella potenza dell'Alamagna alcun noit dcblie dubitare , perchè abbonda di uomi- ni , di ricchezze, e di armi. E quanto alle ricchezze , non vi è comunità , che non ab- bia avanzo di danari in pubblico ; e dice ciascuno che Argentina sola ha parecchi milioni di fiorini . E questo nasce perchè 7ion Iranno spese , che tragghino loro più. danari di mano , che quelle fanno in te- nere vive le munizioni , nelle quali avendo speso un tratto , nel rinfrescarle spendono poco , ed hanno in questo un ordine bel- lissimo , perchè hanno sempre in pubblico da mangiare, bere e ardere per un anno; 278 RITRATTI e cosi da lavorare le industrie loro , per potere in una ossidione pascere la plebe , e quelli che vivono delle braccia per un anno intero senza perdita . In soldati non ispendono , perchè tengono gli uomini loro armati ed esercitati ; e li giorni delle feste tali uomini , in cambio di giuochi , chi si esercita con lo scoppietto , chi con la ])ic- ca , e chi con un' arma , e chi con un' al- tra , giuocando tra loro onori, e simili co- se . I quali tra loro poi si godono in sala- ri, e in altre cose spendono poco. Talmen- techè ogni comunità si trova in pubblico ricca . Perchè li popoli in privato sieno ric- chi, la cagione è questa, che vivono come poveri; non edificano, non vestono, e non hanno masserizie in casa . Basta loro lo ab- bondare di pane , di carne , ed avere una stufa , dove rifuggire il freddo : e chi non ha dell'altre cose, fa senza esse , e non le cerca . Spendonsi in dosso duoi fiorini in dieci anni, ed ognuno vive secondo il gra- do suo a questa proporzione , e nissuno fa conto di quello gli manca , ma di quello che ha di necessità , e le loro necessitadi sono assai minori che le nostre. E per que- sti loro costumi ne risulta, che non escono danari del paese loro , sendo contenti a quello che il loro paese produce; e nel lo- ro paese sempre entrano , e sono portati danari da chi vuole delle loro robe lavora- te manualmente , di che quasi condiscono dell' al amagna . 279 tiitki Italia . Kd è tanto magLjiorc il «uada- gno che fanno , quanto il forte che pervie- ne loro nelle mani, è delle fatture e opere di mano , con poco capitale loro d'altre ro- be. E cosi si g«xlono questa loro rozza vita e libertà , e per questa causa non vogliono ire alla guerra , se non soprappagati ; e questo anche non bastei-ebbo loro , se non fusslno comandati dalle loro comunitadi . E però bisogna ad un Imperatore molto più danari che ad un altro principe ; per- chè quanto meglio stanno gli uomini, peg- gio volentieri escono alla guerra . Resta ora che le comunitadi si nnischi- no con li Principi a favorire le imprese dell'Imperatore, o che loro medesime lo vogliano fare , che basterebbono . Ma né l'una , né l'altra vorrebbe la grandezza del- l' Imperatore , perchè o[ualunque volta in proprietà lui avesse stati , o fusse polente , domerebbe ed abbasserebbe i Principi , e gli ridurrebbe ad una ubbidienza di sorte da potersene valere a posta sua , e non quando pare a loro ; come fa oggidì il Re di Francia , e come fece già il Re Luigi , il quale con le armi , ed ammazzarne qual- cuno , gli ridusse a quella ubbidienz^a clie ancora oggi si vede. Il medesimo interver- rebbe alle comunitadi , perchè le voneb])e ridurre in modo, che le potesse maneggia- re a suo modo, e che avesse da loro quel che chiedesse, e non quello che pare a lo- ro. Ma s' intende la cagione della disunione 28o RITRATTI Ira le comiiDitadi , e gli Piiucipi essere i molti umori contrari , che sono in quella jirovincia , che venendo a due disunioni ge- nerali , dicono che gli Svizzeri sono nimi- cati da tutta TAlamagna, e li Principi dal- l' Imperatore. E pare forse cosa strana a di- re , che gli Svizzeri e le comunitadi sieno nimiche, tendendo ciascuno ad un medesi- mo segno di salvare la libertà , e guardarsi dai Principi . Ma questa loro disunione na- sce, perchè gli Svizzeri non solamente sono nlmici alli Principi « come le comunitadi , Ina eziandio sono nimici alli gentiluomini , perchè nel paese loro non è dell'una specie né dell'altra , e godonsi senza distinzione alcuna d'uomini , fuori di quelli che seggo- no nelli magistrali , una libera libertà . Questo esempio degli Svizzeri fa paura alli gentiluomini , che sono rimasti nelle comu- nitadi ; e tutta l' industria de' delti gentil- uomini è in tenerle disunite , e poco ami- che tra loro. Sono ancora nimici de' Sviz- zeri tutti quelli uomini delle comunitadi , che attendono alle guerre , mossi da una invidia naturale , parendo loro d'essere me- no stimati di quelli; inmodochè non sene può raccozzare in un campo sì poco , uè sì gran numero , che non si azzuflìno . Quanto alla nimiclzia delli Principi con le comunitadi e con gli Svizzeri , non biso- gna ragionare altrimenti , sendo cosa nota , e cosi di quella fra l' Imperatore e detti Principi. Ed avete ad iuteuaere , che avendo dell' ALAMAGNA . 28r l'Imperatore il principal suo odio conlro ai Principi , e non polendo per sé medesimo abbassarli, ha usalo i favori delle comuni- tadi; e per questa medesima cagione da uii tempo in ([ua ha intrattenuti gli Svizzeri , con li quali li pareva già esser venuto in qualche ooniìdanza . Tantoché considerato tulle ([uesle disunioni in comune , ed ag- giuntovi poi quelle , che sono tra l'un Prin- cipe e Tallro , e l'una comunità e l'altra , fauno difficile questa unione dello Impero, di che uno Imperatore avrebbe bisogno. E benché chi fa le imprese della Magna ga- gliarde e liuscibili , pensi che non è nella Magna alcuno Principe , che potesse o ar- disse opporsi alli disegui di uno Imperato- re , come hanno usato da qualche tempo indietro ; tuttavolta non pensa , che ad uno Imperatore è assai impedimento non esser dalli Principi ajulato ne' suoi disegni; per- chè chi non ardisce fargli la guerra , ardi- sce negargli ajuti ; e chi non ardisce ne- gargliene , ha ardire, promessi che gli ha , non li osservare ; e chi non ardisce ancora questo, ardisce differire tanto le promesse, che non sono in tempo che se ne vaglia ; e tutte queste cose impediscono o pertur- bano li disegni . E si conosce così essere la verità, quando l'Imperatore la prima volta volle passare conlra la volontà de' Viniziani e Francesi in Italia , che gli fu promesso dalle comunitadi della Magna nella dieta tenuta in quel tempo a Costanza sedicimila 282 RITRATTI persone , e tre mila cavalli , e non se ne essere mai potuto mettere insieme lauto che aggiugnessino a cinquemila ; e questo per- che quando quelli ti' una comunità arriva- vano , quelli d'un' altra si partivano per avere finito , e qualcuna dava in cambio danari ; i quali per pigliar luogo facilmen- te , e per questa , e per l'altre ragioni , le genti non si raccozzavano ^ e la impresa andò male . La potenza della Magna si tiene certo essere ])iù assai nelle comunitadi , che nelli principi , perchè li Principi sono di due ra- gioni , temporali , e spirituali. Li temporali sono quasi ridotti ad una gran debilità , parte per loro medesimi, (sendo ogni Prin- cipato diviso in più Principi , per la divi- sione delle eredità ch'egli osservano) parte per averli abbassati l' Imperatore con il fa- vore delle comunitadi , come è detto ; tal- mentechè sono inutili amici . Sonvi ancor.i li Principi ecclesiastici , i quali se le divi- sioni ereditarie non gli hanno annichilati , £;li ha ridotti al basso Tambi/ione delle co- munitadi loro , ed il favore dell' Imperato- re ; inmodochè gli Arcivescovi Elettori , ed altri simili non possono niente nelle comu- nitadi grosse proprie . Di che ne è nato , che loro né intra le loro terre , sendo di- vise insieme , non possano favorire le im- prese dell' Imperatore quando bene volessl- no . Ma vcgniamo alle comunitadi franche ed Imperiali , che sono il ncr\o di quella dell' ALAMAGNA. 283 pix)vincia , dove sono danari , e l'ordine . Costoro per molte cagioni sono per essere fredde nella loro libertà , non che di ac- quistare im]icrio; e quello che non deside- rano pei- loro , non si curano che altri lo abbia . Dipoi , per essere tante , e ciascuna fare capo da per sé , le loro provvisioni , 3uando le vogliono fare, sono tarde, e non i quella utilità che si richiederebbe . Ed in esempio ci è questo , che non molti an- ni sono gli Svizzeri assaUarono lo stalo di Massimiliano e la Svevia . Convenne Sua jNIaestà con queste comunitadi per repri- merli, e loro si obbligarono tenere in cam- po quattordici mila persone , e mai vi si accostò la metà ; perchè quando quelli di lina comunità venivano, gli altri se ne an- y 26 Cap. vii. De' Principati nuovi, che con forze d'altri e per fortuna si ac- quistano • » 3r Cap. mi. Di quelli che per scelle- ratezze sono pervenuti al Prin- cipato » 41 Cap. IX. Del Principato civile . » 46 Cap. X. In che modo le forze di tutti i Principati si debbino misurare » 5 1 Cap. XI. De Principati Ecclesiastici » 54 Cap. XII. Quante siano le spezie del- la milizia , e de' soldati merce- nari » 58 Cap. XIII. De' soldati ausiliari , misti , e propri » 64 Cap. XI r. Quello che al Principe si appartenga circa la milizia . » 69 Cap. X r. Delle cose , mediante le qua- li gli uomini j e massimamente i Principi , sono lodati o vituperati » ^3 Cap. XVI. Della liberalità e miseria » ^5 Cap. XVII. Della crudeltà e clemen- zia; e se egli è meglio essere amato , che temuto . . . . » yS Cap. XVIII. In che modo i Principi debbiano osservare la fede . » 82 Cap. XIX. Che si debbe fuggire V es- sere disprezzato e odiato . » ^^ Cap. XX. Se le fortezze, e molte altre cose clic spesse volte i Principi INDICE 289 fanno y sofio utili o dannose » 100 Cap. XXI. Con/e .si debba governare un Principe per acquistarsi ripu- tazione » 106 Cap. A' a il. Delli segretari de' Prin- cipi » j 1 1 Cap. xxiii. Come si debbino fuggire gli adulatori » 1 1 3 Cap. XXIV. Perchè i Principi d' Italia abbino perduto i loro Stati . » 116 Cap. XXV. (guanto possa nelle umane cose la fortuna , e in che ìnodo se gli possa ostare . . . . » 1 1 8 Cap. XXVI. Esortazione a liberare la Italia da barbari . . . . » j23 La T^ita di Cas traccio Castracani » 129 Descrizione del modo tenuto dal duca J^alentino nello ammazzare T^itel- lozzo Vitelli , Oliv erotto da Fer- mo , il signor Pagolo , e il Duca di Gravina Orsini .... » lyo Istruzione a un Ambasciatore . » i8r Dell' Ira y e de' modi di curarla . » 188 Descrizione della Peste di Firenze » 222 Capitoli per una Compagnia di pia- cere » 240 Allocuzione fatta ad un Magisti^ato » 248 Ritratti delle cose della Francia » 262 Della natura de Francesi ...» 275 Ritratti delle cose dell' Alamagna » 277 Mach. Voi. I 19 Niccolò Machiavelli Volume primo ERRORI CORREZIONI jp. xxxrv 1. 26 Chimenta Clemente » i35 » 21 liittore tutore » 184 » 20 perche perchè » 197 » 28 Ipocrate Ippocrat© » 2ié » 14 viepiù \ie più / PLEASE DO NOT REMOVE CARDS OR SLIPS FROM THIS POCKET UNIVERSITY OF TORONTO LIBRARY DG I^chiavelli , Niccolo 731 Opere .5 M3 1804. v.l GS